Un giorno ti svegli e non sai più chi sei, i tuoi ricordi sono andati persi a causa di un incidente e ti senti un'estranea nella tua stessa vita.
Ma non nei tuoi sogni, che continuano a lasciare briciole di pane da seguire per riconquistare ciò che...
La resa dei conti è arrivata. Osservo l’espressione tesa di mio padre, fisso la mandibola serrarsi, noto la fronte che da aggrottata, piena di rughe, si distende e diventa più liscia, i suoi occhi, così simili ai miei, sembrano diventare vuoti, privi di sensi di colpa, in realtà, di ogni emozione. Mi ricorda una maschera di cera il suo volto. Mia madre resta in silenzio, seduta dietro la scrivania, le sue iridi non hanno più incontrato le mie dal momento in cui ho rivelato loro di essere al corrente di tutta la verità. “ Che cosa ti aspetti adesso?” La domanda di mio padre mi sconcerta, pronuncia queste parole come se ciò che hanno fatto non fosse grave. “ Non devo giustificarmi con te, sei solo una bambina che ha commesso degli errori, io il genitore che li a dovuti risolvere.” Mi da le spalle e si avvicina alla sua scrivania, inizia a sfogliare una delle tante cartelle mediche che si trovano lì, come se per lui il discorso fosse chiuso, come se per lui non ci sia nulla di cui parlare. “ Si tratta della mia vita.” Urlo con rabbia, il mio corpo schizza in avanti e mio fratello è costretto a tenermi, ma ciò che ho in cambio dall’uomo che ho di fronte è un semplice cenno con la mano che sminuisce tutto il mio dolore, tutta la sua colpa. “Ho solo preso in mano la situazione, come al solito sono dovuto intervenire per rimediare regalandoti la possibilità di una nuova occasione per fare meglio, ma la stai di nuovo sprecando.” Mi risponde con sufficienza, dall’alto del suo piedistallo di perfezione. Stringo i pugni con forza per scaricare la frustrazione e l’impotenza che mi fa provare colui che invece avrebbe dovuto solo sostenermi in ogni scelta della mia vita, invece, ha sempre sminuito le mie capacità, mi ha sempre fatta sentire sbagliata. “ Sei suo padre, oltre che un medico, come hai potuto tenerle nascosta una cosa così importante, come hai potuto falsificare la sua cartella clinica.” Le accuse di mio fratello smuovono la corazza di freddezza che stava mostrando nostro padre provocandogli ira. “Attento a ciò che dici, moccioso.” Ciò che è sempre importato ai nostri genitori è il loro lavoro e il buon nome della famiglia, Jordan, lo ha colpito nella sua parte più debole, è stato più lucido e intelligente di me, che ancora come una bambina sciocca, crede di poter puntare nel suo lato umano, nel legame padre-figlia che forse non è mai esistito. “Quanti medici e infermieri hai minacciato per far sì che tenessero la bocca chiusa.” Nostro padre si scaglia contro mio fratello nell’udire queste parole, afferra il bavero del suo cappotto e lo strattona con rabbia imponendogli di fare qualche passo indietro per mantenere l’equilibrio. “ Ricorda che la tua carriera è nelle mie mani, non inizierei questo gioco con me.” Sibila Jordan con estrema calma, mostrandomi un nuovo lato di sé che non avevo mai visto, lui è sempre stato un tipo giocoso e razionale, di sicuro non un attaccabrighe, anzi, il suo lato pacato è sempre stata la sua forza, quindi per reagire così deve essere molto scosso. Io e mia madre ci precipitiamo a tentare di dividerli e solo quando Jordan lo avverte di poter far andare in fumo anni e anni di carriera e di fama, lui lo lascia andare. Notando come mia madre cerchi di calmare suo marito, continuando a comportarsi come se io non fossi qui, mi sento abbandonata da lei, come sempre. “Nessuno dei due prova un minimo rimorso per ciò che avete fatto.” Ogni parola che esce dalle mie labbra ha un sapore amaro, li osservo con profonda delusione. “Iris, abbiamo cercato di proteggerti, di darti l’occasione di avere opportunità diverse, migliori, e soprattutto, di non soffrire per le scelte sbagliate che avevi fatto, o per quello che avevi perso.” Sembra davvero convinta di aver agito nel modo migliore per me, ma non dubito che, sia per lei che per mio padre, sia così, perché lo hanno sempre fatto, come ogni genitore, ma loro, a dispetto degli altri, hanno sempre voluto che io e Jordan facessimo le loro scelte, non le nostre. Non credo che si siano mai chiesti se stessero sbagliando, oppure semplicemente, se noi fossimo felici nel seguire la vita che ci avevano imposto, a partire con gli studi, per finire con il lavoro. Non sono mai stati in grado di scegliere le nostre amicizie, e cosa più importante, che li mandava in bestia, chi dovessimo amare. Anche se mio fratello, rispetto a me, è stato in grado di dargli molte più soddisfazioni seguendo le orme di mio padre nella medicina. “Non avevate nessun diritto di scegliere per me, la vita di un figlio non è una proprietà della quale decidere a proprio piacimento ogni dettaglio, questo non lo avete mai capito.” Per quanto io mi fossi ripromessa di non piangere, di non farmi vedere debole, i miei occhi sono colmi di lacrime che annebbiano la mia vista, riesco a mettere a fuoco la figura di entrambi i miei genitori solo quando le lacrime cadono lungo le mie guancie. “Non dire sciocchezze, noi vi abbiamo cresciuto nel migliore dei modi, dandovi grosse possibilità, invece tu hai mandato all’aria tutto quanto scappando a New York, volendo inseguire un hobby, innamorandoti di quel…” Come al solito, mio padre minimizza le sue azioni, addossando ogni responsabilità a me e cercando di incolpare Brian, ma non posso permetterlo. “Non osare continuare la frase, non osare metterlo in mezzo, lui non c’entra in tutto questo.” Lo avviso in malo modo quasi ringhiando e strindendo i denti fra loro. “Iris, come puoi difendere l’uomo che ti ha messa incinta e poi ha causato il tuo incidente, per non parlare del fatto che sia sparito subito dopo.” Non mi sorprende che lei non riesca a capire e veda solo ciò che vuole. “ Lui non è stata la causa del mio incidente, lui non mi ha messa incinta, mamma, eravamo in due a fare l’amore senza stare attenti, in due abbiamo sofferto, anzi, lui più di me, colpevolizzandosi tutto questo tempo, ricordando quei momenti orribili che io, purtroppo, ho perso.” La rabbia mi acceca letteralmente per un attimo, facendomi mancare la vista, sbatto gli occhi più volte e mi fermo solo quando il nero che copriva tutto si dirada. “Ma siete stati voi a rubarmeli, a privarmene fin’ora, e questo, non ve lo perdonerò mai.” Punto il dito verso i miei genitori, la voce graffia la mia gola a causa dell’irruenza con la quale è venuta fuori, il respiro si blocca nei polmoni non trovando la via d’uscita e ad un tratto i miei occhi si chiudono per via di un dolore lancinante alle tempie, percepisco le mani di qualcuno intorno al mio corpo e riesco a fatica ad udire il mio nome pronunciato da qualcuno, poi il nulla. Apro gli occhi a fatica, le palpebre sono così pesanti da volerle quasi richiudere immediatamente, la mano si muove verso la testa dolorante. “Attenta, hai la flebo.” Una voce, la sua voce, mi fa voltare verso destra, Brian è accanto al mio letto, seduto. Confusa mi guardo intorno per poi riposare lo sguardo su di lui. “Ma che cosa è successo, perché sei qui, perché sono in questo letto?” Mi ritrovo spaesata a stilare un mucchio di domande, sono sdraiata in un letto d’ospedale e l’ultima cosa che ricordo è il litigio con i miei genitori. “Sei svenuta, mentre urlavi contro i tuoi, almeno così mi ha raccontato Jordan.” L’immagine dei miei genitori che mi fissano come se li stessi accusando ingiustamente, mi torna in mente, nitida, facendomi di nuovo sentire delusa. “Per quanto tempo sono rimasta svenuta?” Per un attimo il terrore di aver perso anche solo poche ore o giorni o minuti mi fa spalancare gli occhi allarmata. “Per quasi venti minuti, poi ti sei ripresa ed eri così debole che ti sei messa a dormire immediatamente per via dei valori di pressione troppo bassi, ti hanno aiutata con una flebo.” Solo ascoltando le sue parole ora riesco a ricordare il mio risveglio e mio fratello che mi metteva la flebo dopo essersi assicurato che stessi bene. “Come fai ad essere qui?” Un leggero senso di nausea attanaglia il mio stomaco e un sapore amaro arriva fin nella mia bocca . “ Kate mi ha chiamata subito, li hai fatti preoccupare, hai fatto spaventare tutti, sono salito in auto e sono corso da te.” La mia mano cerca la sua, che trova subito, le nostre dita si intrecciano e scioccamente mi sento meglio, soprattutto nel notare come lui osserva questo contatto fra noi, con un sorriso sulle labbra. “Vuoi che ti lasci riposare?” Chiede vedendo che mi risistemo meglio sul letto, sdraiandomi e chiudendo gli occhi. “No!” Dico a gran voce spalancando le palpebre e cercando le sue iridi azzurre chiarissime. La presa fra le nostre mani è sempre più forte, come quello che mi lega a lui, che lo voglia o meno. “Allora, posso mettermi comodo anche io?” Non capisco la sua domanda, fino a quando non scosta la sedia e sale sul mio letto, accanto a me, sdraiandosi al mio fianco. Io, felice, gli faccio spazio e senza chiedergli il permesso, poso la testa sul suo petto muscoloso, il mio braccio stringe il suo sterno e solo adesso mi sento davvero meglio. “E’ stata molto dura, vero?” Chiede dolcemente accarezzandomi i capelli. “Sì. Non hanno ripensamenti o sensi di colpa per ciò che hanno fatto.” Sarebbe bastato un accenno sui loro volti, ma non vi era traccia nemmeno nei loro occhi. Avrei capito con il tempo la loro buona fede, ma non posso farlo.
“Brian, io, non posso.” Le sue dita si fermano, mi sembra di non percepire neanche il suo respiro e perfino il suo cuore in questo istante. Non serve aggiungere altro o specificare che mi stia riferendo a noi. Vorrei dirlo ad alta voce, vorrei avere la forza per dirgli che ora ho bisogno di pensare a me, di ritrovarmi e prendere in mano la mia vita. Vorrei dire ad alta voce che è difficile al momento per me perdonare fino in fondo anche lui, ma non riesco a farlo, perché significherebbe far diventare reale qualcosa che mi spezza il cuore.
Poi, nel silenzio, la sua stretta su di me si intensifica, come se sapesse che questo sarà il nostro ultimo abbraccio. Restiamo così, a goderci questi attimi fatti ancora di noi.
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