Tre parole: Caramelle, Mal di pancia, Scuola

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«Sveglia, dormiglione!»

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«Sveglia, dormiglione!»

Esordisce così, Simone, entrando nella stanza del piccolo Jacopo.

«Se mi’ madre m’avesse svegliato così, le urla se sarebbero sentite fino a Frattocchie» commenta Manuel, accanto a Simone.

Ché quello, per Jacopo – e per loro – è un giorno importante.

È il primo giorno di scuola elementare e anche se cercano di nasconderlo, sono – soprattutto Simone – emozionati.

«Dai, Jà, che famo tardi» aggiunge Manuel.
«No, papà – mugugna il piccolo – io non ci vado a scuola»

In quel momento, sia Manuel che Simone scoppiano a ridere.

Se il primo ride divertito, il secondo sbotta in una risata isterica.

«Jacopo, non è il momento di fare i capricci – risponde, serio, Simone – Tu ora ti alzi e vieni a fare colazione»
«No, mi fa male la pancia»
«Jacopo, per-»
«Simò – lo interrompe Manuel – sta’ tranquillo. Ce lasci parla’ n'attimo da uomo a uomo?» chiede, strizzando un occhio verso Jacopo.

E Simone, non troppo convinto, annuisce e abbandona la stanza.

***

Sin da quando Jacopo è entrato nelle loro vite, Simone è consapevole che quello, tra i due, più tagliato per fare il padre è Manuel.

Manuel è paziente, cerca di ascoltare ogni esigenza di Jacopo e di trovare, insieme a lui, delle soluzioni.

Simone, invece, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, è quello con più polso, quello più fermo nelle decisioni e più infastidito dai capricci.

Come in quel caso.

Ché è perfettamente cosciente del fatto che quella di Jacopo è soltanto una scusa per non andare a scuola – in questo somiglia molto a Manuel – e che non esiste alcun mal di pancia.

Ma la richiesta di Manuel di avere del tempo da solo con il bambino, forse, l’ha infastidito ancora di più.

Perché dovrebbero fare squadra, non ostacolarsi a vicenda.

Non dovrebbero dare a Jacopo la sensazione che in quella casa ci sia un poliziotto buono e un poliziotto cattivo.

Eppure è ciò che è appena successo.

E Simone non può non ribadirlo non appena Manuel – in compagnia di Jacopo – esce dalla stanza.

«Visto, Simò? Più facile de ‘r previsto»

Finge un sorriso, Simone, e non appena il piccolo si sposta in cucina per consumare la colazione, Simone approfitta per parlare, sottovoce, con Manuel.

«Ma che ti salta in mente?»
«De che parli?»
«Di Jacopo e di come, per l’ennesima volta, ti metti a fare il supereroe davanti a quello che, vorrei ricordartelo, è nostro figlio, non solo tuo»
«C’ho solo parlato, mica l’ho venduto a ‘r mercato»
«Sì, gli hai parlato allontanandomi, come se il problema fossi io»

Davanti a quella frase, Manuel si rende conto che il problema non è che lui abbia parlato con Jacopo in sua assenza.

Non solo, almeno.

Il problema è la competizione che Simone ha ingaggiato con sé stesso.

«Guarda che sei ‘n bravo padre, Simò. Dovresti smettela de vive ‘a paternità come ‘na gara» dice, sapendo di centrare il punto.
«Non…io non-»
«È inutile che provi a nega’, Simò. Te sei fatto tutto rosso perché sai che c’ho preso in pieno»
«Mi sembra di sbagliare qualsiasi cosa – cede – e che come io faccia, sbagli. Provo a pensare che sia l’inesperienza a farmi pensare questo, ma poi guardo voi due e penso che da mio padre ho ereditato l’unica cosa che non avrei dovuto ereditare: l’incapacità di essere padre»
«’N sei incapace. Sei solo troppo severo – prova a rincuorarlo, Manuel – Severo co’ te stesso e severo co’ lui, come co’ ‘a storia delle caramelle»
«Ne abbiamo già parlato, Manuel»
«Seh, ma continuo a pensa' che in quella situazione dovevi esse ‘n po’ più elastico»
«Le caramelle rovinano i denti, Manuel. Pensi io mi diverta a negare cose a nostro figlio?»
«T’ha chiesto ‘na lecca lecca, Simò, mica ‘a casetta de Hansel e Gretel»

Abbassa lo sguardo, Simone, colpito da quella affermazione.

Ché forse è vero.

Forse ha esagerato.

Forse dovrebbe seguire un po’ di più il suo istinto e meno la TV e il web.

«Hai ragione» dice, con un filo di voce.
«Mh?»
«Hai ragione. Sono troppo severo con Jacopo. Forse dovrei…dovrei lasciare che viva e vivere insieme a lui. È che...io vorrei solo proteggerlo, Manu»
«È nostro figlio, Simò. Pensi che io ‘n voglia proteggelo? Me pijerei tutti i mali de ‘r mondo pur de ‘n fargli spezza’ nemmeno n’unghia. Però manco a fa’ ‘a mamma pancina»

Sorride, Simone, mentre passa i palmi delle mani sotto gli occhi con lo scopo di asciugarsi le lacrime.

Ma quel gesto non passa inosservato all’occhio attento del piccolo Jacopo.

«Papà, perché piangi?»

E l’ingenuità di quel bambino non fa che aumentare la sua commozione.

«Non…non è niente, amore»
«Infatti – interviene Manuel – co’ papà stavamo a parla' de quanto sei bello co’ ‘sto grembiulino e s’è emozionato»

E poi accade davvero, e Simone non è l'unico ad emozionarsi.

Ché anche Manuel, alla fine, davanti a suo figlio pronto per il suo primo giorno di scuola, butta qualche lacrima.

Jacopo sta crescendo.

Jacopo sta crescendo davanti ai loro occhi e Simone e Manuel faticano ancora a rendersene conto.

Quella mattina, mentre lo guardano salire le scale della scuola con il grembiule blu e lo zaino di Spiderman, a loro passa tutta la vita davanti.

Ricordano i tempi in cui a salire quelle scale erano loro.
Ricordano la classica domanda delle loro mamme che avete fatto oggi a scuola e il loro conseguente niente come risposta.
Ricordano l’attesa del suono di quella campanella che avrebbe decretato l’uscita da scuola.
Ricordano l’abbraccio con le loro mamme, perché quelle cinque ore lontani da casa, sembravano un’eternità.

Ricordano tutto solo nella loro mente ma gli basta guardarsi per capire di star elaborando i medesimi pensieri.

«Manu?»
«Mh?»
«Ma gli mancheremo?»
«Simò, sta a scola, mica in guerra! E poi già quanno annava all’asilo stava lontano da noi, no?»
«Sì, ma era diverso, non-»
«Te stai a fa’ ‘n sacco de pare inutili, Simò» lo interrompe Manuel.

E Simone è costretto a dargli ragione e a ribadirglielo nel momento in cui – sempre insieme – tornano a prendere Jacopo a scuola.

Già da lontano lo vedono sereno, felice e il cuore di Simone si alleggerisce.

«’O vedi com'è tranquillo?»
«Sì…è tutto suo padre»
«Quale?»
«Quello che ho sposato e che è il miglior padre che avrei potuto scegliere per i miei figli»

Senza più paura.
Senza più competizione.

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