Quattro parole: Cena, Gelosia, Avance, Collega

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«Mo’ me spieghi perché sei venuto qua fori co’ ‘a scusa de fuma’»«Perché Vincenzo, Vittorio o come diavolo si chiama, non lo sopporto più

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«Mo’ me spieghi perché sei venuto qua fori co’ ‘a scusa de fuma’»
«Perché Vincenzo, Vittorio o come diavolo si chiama, non lo sopporto più. Non fa altro che starti addosso e tentare di provarci con te. E sai, Manuel, cos’è la cosa che mi fa più incazzare? Che tu non gli dici nulla! Stai lì, con una faccia da ebete a fissarlo! Vai, torna dentro da lui, dovesse poi sentire la tua mancanza!»

Era furioso, Simone.

Ché quando aveva chiesto – in segno di cortesia – a Valerio, un collega di Manuel, di rimanere a cena, non immaginava neanche lontanamente che quel tipo provasse una spudorata attrazione verso Manuel.

Eppure, durante quella cena, Valerio non aveva fatto altro che lanciare occhiate languide, allungando, di tanto in tanto, la mano verso quella – prontamente ritratta – di Manuel.

«Ma Simò, ma te pare che a me me ne possa frega’ qualcosa de quello?»
«A me sembra proprio di sì. Tu…tu non te ne rendi conto. Non ti rendi conto della figura che sto facendo io davanti a mio padre e a tua madre. La figura dell’idiota, ecco la figura che sto facendo»
«Simò, stai a esagera’»
«Certo, sto esagerando! Perché adesso sono anche un pazzo visionario! Che c'è, vuoi dirmi che la sua manina da trota che tentava di afferrare la tua, l'ho sognata?»
«Visto che eri così attento, avrai visto pure che me so’ tirato indietro, no?»
«E ci mancherebbe, Manuel! Vedi un po' che devo anche dirti grazie per avermi concesso il minimo del rispetto»
«Senti, torno dentro, ché tanto co’ te ‘n ce se po’ parla'»

E lo aveva liquidato così, Manuel, lasciando che Simone rimanesse fuori con la sua sigaretta che si consumava con la stessa velocità alla quale la gelosia stava consumando lui.

***

Fu al termine della cena, quando Manuel tornò nella sua stanza, che gli sguardi dei due ragazzi tornarono ad incontrarsi nuovamente.

Simone se ne stava lì, in piedi, di fronte al letto, con un borsone colmo di vestiti aperto davanti a sé.

«Beh? Che vor di’ ‘sta cosa?» la domanda curiosa di Manuel, indicando il borsone.
«Vado a Glasgow da mia madre»
«Stai a scherza’?» rispose Manuel, incredulo.
«No, Manuel, non sto scherzando. Ho bisogno di stare da solo»
«E pe’ ‘sta da solo devi anna’ fino in Scozia?»
«Se stare da solo significa stare lontano da te, sì, Manuel»
«Io ‘n ce posso crede che stai a fa' ‘sta scenata pe’ le avance de ‘n cojone. ‘N c’hai più sedici anni, Simò, che litigamo e scappi a Glasgow de notte. Affrontali i problemi. Cresci, Simò»
«Neanche tu ne hai più diciassette, Manuel, che stai con una persona e te ne scopi altre dieci»
«Stai a farnetica’»
«Va bene. Ora scusami, ho da fare»
«Seh, fa' buon viaggio»

E sebbene l’idea che Simone partisse e lo lasciasse da solo, lo ferisse, in quel momento, l’orgoglio ebbe la meglio.

Lo lasciò andare, fingendo indifferenza, fin quando non sentì la porta d'ingresso della villa chiudersi.

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