Capitolo trentasei.

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Sto aspettando ormai da ore Cameron su questo divano leggendo e rileggendo la lettera che ormai ho ormai imparato a memoria, non so cosa aspettarmi, come tornerà? Cosa gli dirò? Non avrò risposta alle mie domande finché lui non si decide a tornare a casa.
Sono le due di notte ma il mio cervello non ha intenzione di spegnersi i miei occhi di chiudersi e il mio corpo di riposarsi, forse sarà la tensione, la rabbia o questa leggera ansia che mi sta accompagnando in questa infinita attesa.
Il rumore della serratura mi sveglia dai miei pensieri facendomi spaventare. Dalla porta entra un Cameron tranquillo e rilassato.
Lo guardo per un po' in attesa di una sua relazione ma ancora niente, si avvicina piano a me e solo ora mi accorgo che i suoi occhi non sono il suo solito verde, ma di un verde scuro contornato da un rossore forte.

"Ciao" dice.

"Hai bevuto?"

"Un po'"

"Solo?" chiedo e lui si gira di scatto verso di me.

"Cosa vuoi dire?" chiede.

Gli butto la lettera che mi ha portato Jim "É passato il tuo vecchio amico" dico salendo di sopra.

Mi metto il pigiama e mi butto sul letto, vorrei solo dormire, davvero, vorrei non pensare a niente e dormire ma non é così semplice.
Infatti non riesco neanche a chiudere gli occhi che la porta della mia camera si apre e la luce si accende, quello che vedo non é il solito Cameron, é diverso e mi fa quasi paura, si avvicina minacciosamente a me.

"L'hai letta?" chiede furioso.

"Si"

"Come ti sei permessa? Hai mai sentito parlare di privacy?" urla furioso.

"E tu hai mai sentito parlare di rispetto per una persona che ti é vicina?" mi alzo dal letto e urlo più di lui.

"Tu non dovevi permetterti" mi ributta sul letto, dal quale mi ero alzata solo poco prima.

"Non mettermi le mani addosso" gli urlo contro.

Ma lui sembra non sentirmi, si butta sopra di me e mi tiene i polsi fermi.

"Levati ho detto" provo a spingerlo via, inutile a dire che non lo muovo neanche un po'.

Mi guarda ancora con quello sguardo minaccioso, mi tiene i polsi ancora stretti e ora inizia a baciarmi e a farmi dei succhiotti sul collo, ma cosa sta facendo?
Continua scendendo su tutto il petto, mi dimeno ma non riesco a impedirgli di fare ciò che vuole.

"Fermati cazzo" dico iniziando a pensare alle migliaia di volte che ho vissuto questa scena.

Non riesco a fare a meno di sentire un dolore al petto, dovevo  aspettarselo, appena mi fido un minimo di una persona questa mi delude, mi fa del male, sembra un hobby che accomuna tutti qui. In realtà non mi ero mai fidata tanto di nessuno e non so perché con lui era diverso, mi ha vista debole, ho pianto avanti a lui come non avevo mai fatto con nessuno, mi ha visto sul lettino di un ospedale fragile e senza forze. Tutti i suoi discorsi sul fatto che mi voleva fare sua, che tutti dovevano sapere di noi. Non capisco, perché? Se il suo scopo era quello dall'inizio perché non mantenere il segreto? Perché dirlo a mio fratello? Sono così confusa ma l'ho detto mi sembra solo una cosa che li diverte tanto e come se tutti si incontrassero senza di me e si mettessero d'accordo su un novo modo per procurarmi dolore. E come se dicessero é Sam, può sopportarlo, quindi deludiamola, facciamola soffrire, deve provare una tale frustrazione che la porti quasi alla morte, quella frustrazione interiore che fa più male di tutto, quella che ti fa sentire impotente, un giocattolo.

Non urlo, non piango, non mi dimeno più,il mio corpo si é stancato di lottare, lui sta levando la mia maglietta e io sto rivivendo tutto. Sta colpendo il mio punto debole e io non riesco a porre resistenza, non riesco a fermare la mia umiliazione. Non ci riuscivo da piccola e non ci riesco ora.
Lui prende piano il mio seno tra i denti e mi fa male ma non urlo, é inutile e lo farebbe solo eccitare di più, é un malato, come lo era mio padre o Jece o anche Jeremy. Tutti fottutamente malati.

Non c'é odio senza amore #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora