Capitolo 5 - Furia e Ragione

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Clizia osservava con un certo nervosismo i Duchi Del Tuono. Erano dei Nobili di alto rango che giravano tutti i Regni del continente Callisto. La Regina li temeva, poiché suo padre le raccontava di non cercare compassione nei Duchi Del Tuono. Infatti il Re, Gregorio Della Roccia, discendeva da quella dinastia. Quegli uomini vivevano ai confini della foresta ed erano crudeli e malvagi. Non si ritiravano mai in una guerra.

Ma la situazione sta volta era diversa. I Duchi Del Tuono avevano trovato dei degni avversari ed erano stati sconfitti dai alcuni barbari. Clizia si toccò le labbra con le dita, osservando con serietà i tre Duchi. Erano alti e robusti, indossavano un'armatura d'argento, decorata con ossa e stoffe di nere, dietro di loro c'erano quattro prigionieri. I Messaggeri portarono delle carte alla Regina. Il più robusto dei tre Duchi si avvicinò.

Enrico - Mia Signora. Siamo venuti qui per chiederle giustizia. È vero, abbiamo perso in battaglia. Ma questi uomini - indicò i prigionieri - sono dei vigliacchi. Uno di loro ha ucciso i figli di mio fratello. I miei nipoti erano disarmati! Pretendo giustizia!

Clizia - Che genere di giustizia? - si toccò il mento e guardò i prigionieri.

Enrico - La pena di morte!

Clizia aveva fatto chiamare Rubellius poche ore fa, ma non era arrivato. Era spazientita per il ritardo del Consigliere in quella udienza. Gli occhi si posarono sull'uomo con la folta barba nera. I prigionieri indossavano delle tuniche marroni, mentre i volti erano ricoperti da dei piccoli tribali neri.

Clizia - Se vi concedessi la morte, il vostro animo non si placherebbe.

Enrico - No, non è vero. Cercherebbe la pace.

Clizia - Datemi alcuni minuti per riflettere sulla questione. A breve avrete la mia risposta - si alzò dal trono e mostrò la mano al Duca, chiedendogli un po' di tempo per riflettere.

Il Duca Enrico Del Tuono annuì avvicinandosi al suo famigliare. Clizia si avvicinò ad un servitore e gli ordinò di chiamare immediatamente Rubellius. Il servitore fece una riverenza e partì verso una porta della Sala del Trono.

Quando entrò all'interno della porta, camminò per un lungo corridoio, scese una scalinata stretta e ben illuminata dalle torce. Le pareti grigie erano decorate con dei stendardi. Egli scese ancora un paio di scale, finché non si ritrovò in un lungo corridoio a chiocciola. Alla fine del corridoio notò le porte delle varie stanze, si avvicinò all'ultima porta e bussò, incrociò le braccia mentre sentiva delle voci. Nessun risposta provenne da quella camera, continuò a bussare con insistenza cercando l'attenzione del demone, anche se era ben impegnato.

Rubellius sentì l'uomo che bussava alla sua porta, ma non rispose, poiché voleva continuare quel piacere. La sua mano destra stringeva con affanno la mandibola di Giada. Le labbra sottili sfioravano il collo della giovane, mentre la sentiva ansimare. I loro corpi uniti erano in ginocchio sul letto. La schiena di Giada era appoggiata sul petto umido di Rubellius, mentre le gambe del demone bloccavano la Sacerdotessa Benedetta. Rubellius sentì ancora quel rumore sulla porta, un ghigno di rabbia dipinse le sue labbra. Il demone ansimò e lasciò dalla ragazza, le mani libere la voltarono, mettendola distesa a pancia in su. Le dita ruvide sfiorarono quei fianchi morbidi, mentre gli occhi ametista si chiusero. Si inginocchiò di fronte a lei, prendendole con la mano destra un suo ginocchio. La schiena del Consigliere si inarcò baciando lo sterno della Sacerdotessa, passando per un seno e poi l'addome. I suoi capelli rossi scivolarono sul petto di Giada, mentre le sue gambe si avvinghiarono al bacino del demone. Il rumore alla porta continuò. Rubellius fissò per una manciata di secondi quella soglia e si mise con la schiena dritta. La mano sinistra strinse il collo di Giada, mentre la sottometteva.

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