sessantadue

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Dopo aver mangiato torniamo in camera per l'ultima volta per prendere le nostre valigie e ci dirigiamo verso l'ingresso. Se mai dovessi tornare in questa magnifica città vorrei alloggiare in questo albergo perché non credo esista di meglio.

Arrivate all'entrata aspettiamo ancora qualche minuto prima che l'autista ci dia il permesso di salire sul pullman.

Mi volto e guardo per l'ultima volta l'immensa struttura che mi ha ospitata per una settimana, il luogo dove ho stretto amicizia con Miriam e rafforzato quella con Serena, il luogo dove ho baciato per la prima volta Jordan.

A questo pensiero un brivido mi percorre, è inutile, per quanto ci provi non riesco a non pensare a lui.

Domani a scuola lo vedrò e non ho idea di come mi dovrei comportare, dovrebbe essere lui a venire da me per darmi spiegazioni di questa sua scomparsa improvvisa o dovrei essere io ad andare da lui per chiederle?

Ho paura che quando lo avrò davanti a me il senso di colpa per aver baciato il suo migliore amico mi schiacci e mi distrugga.

Ho paura di scoppiare a piangere davanti a lui, ancora non so se merita o no la mia fiducia.

Ancora non so quale sia il motivo della sua scomparsa, se sia un motivo valido o semplicemente sia andato da una troia qualsiasi.

Non so se ha torto o ragione e nel caso avesse ragione io sarei la peggiore bastarda su questo pianeta.

Salgo finalmente nel pullman sedendomi al fianco di Miriam mentre Serena si siede dietro di noi.

Non voglio che a causa mia passi tutto il viaggio da sola e sicuramente a metà percorso le darò il cambio.

Vedo Chantal entrare da sola nel pullman con il segno rosso di uno schiaffo sulla guancia.

Si avvicina a noi e non posso far a meno che notare i suoi occhi lucidi.

«Posso sedermi vicino a te?» domanda a Serena.

Penso di aver capito il motivo di quel segno, deve aver litigato con Cristina.

«Certo.» dice la mia amica sorridendo.

Chantal le sorride, ma riesco chiaramente a distinguere un velo di tristezza in quella smorfia.

È una ragazza debole che si è finta quella che non è per troppo tempo solo per paura di non essere accettata, non capendo che la cosa più importante è essere amate per quello che si è realmente.

«Tutto bene?» le domando con voce dolce.

«Più o meno.» dice sorridendo e portando i capelli davanti al segno rosso coprendolo.

«Chi è stato?» domando.

Non ho bisogno di specificare a cosa mi riferisca, si capisce che le sto chiedendo chi le abbia tirato uno schiaffo così forte.

«Cristina.» dice diventando seria, i suoi occhi diventano ancora più lucidi.

«Se ti va di parlarne, siamo qui.» dice Serena sorridendo e stringendo la sua mano.

Serena riesce sempre ad essere comprensiva e dolce con tutti, riesce sempre a dire la cosa giusta per farti stare meglio. Ti lascia confidare con lei senza giudicarti e mi sento davvero in colpa per averle nascosto cosa ho trovato nel telefono.

«Grazie.» dice la ragazza sorridendo.

La vedo debole e vorrei abbracciarla, è assurdo pensare che qualche giorno fa questa ragazza mi gridava di stare lontana da Peter.

Peter non ha idea di come questa ragazza sia realmente e sono sicura che se la conoscesse per quella che è le piacerebbe davvero.

Lei per tutto questo tempo ha portato una maschera, come io mi ero costruita un muro per evitare di soffrire, non posso biasimarla perché io per difendere il mio cuore ammaccato ho dovuto fare lo stesso.

È un meccanismo di difesa volontario o involontario della nostra mente.

I love you more than my MarlboroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora