La casa è vuota e silenziosa, meno vuota di ciò che ho dentro, ma più silenziosa di quello che vorrei urlare. Sì, vorrei urlare, perché vorrei sfogarmi, togliermi questo peso lancinante dalle spalle, togliere la spada che sembra io abbia conficcata nel petto, mi ha lacerato il cuore strappandomelo dal petto. Tre giorni che sembro morta, non esco dalla camera se non quando sono sola o nel cuore della notte per mettere qualcosa sotto i denti, ma il problema è che il mio corpo sembra che non risponda ai miei comandi. Appena tocco del cibo, una forte sensazione di nausea mi fa allontanare dalla cucina e mi rinchiudo in bagno, pronta per rigettare ciò che ho sullo stomaco, ma il problema è che non ho nulla. È notte fonda e tutti dormono eccetto io, se chiudo gli occhi vedo i suoi che mi risucchiano trasportandomi in quello che era il nostro piccolo mondo, tutti i ricordi, i sorrisi, i baci, gli abbracci, gli scherzi. Tutto mi fa soffrire e devo smettere di ripensarci. Mi alzo dal letto come ogni notte e silenziosamente faccio scattare la serratura della porta, scendo lentamente le scale uscendo sul giardino posteriore. I nostri genitori non sanno ancora nulla del motivo del nostro litigio che ha messo sottosopra tutti quanti, perfino Kate mi sembra strana. Come minimo ogni giorno la si sente correre per la casa rincorsa da mia madre per aver combinato qualche guaio, ma ora sembra che anche lei si sia spenta. Mi siedo sulla sedia alzando lo sguardo verso il cielo stellato, fuori si congela, credo. Non sento nulla sulla mia pelle, ormai sono impassibile a tutto e, come ho detto prima, sembro morta. Questo era ed è ciò che voglio evitare, essere la vittima della situazione e, piano piano, essere odiata da tutte le persone che mi circondano. Sam è passata almeno due volte al giorno e si è piazzata davanti alla mia camera provando a parlarmi senza ottenere una mia risposta. Spero almeno di non aver perso le corde vocali. Sospiro e dopo questo sospiro sento qualcosa di freddo scorrere sulla mia guancia, una lacrima, ormai è naturale che io pianga, potrei abituarmici. Un rumore dentro casa mi fa sobbalzare, volto lo sguardo verso la cucina dove riesco a vedere Kate seduta sopra una sedia. Mi affretto a raggiungerla confusa dal suo risveglio, sono circa le due ed è strano vederla in piedi a quest'ora. Mi metto seduta accanto a lei, non appena mi sente alza la testa e sorride gettandosi fra le mie braccia "Pensavo te ne fossi andata" parla con voce rotta dal pianto, la prendo in braccio camminando verso il soggiorno "Senza salutarti non me ne vado" sussurro accarezzandole la schiena, mi siedo sul divano stringendola. "Come mai sei sveglia?" le domando non appena sembra che si sia calmata, mi guarda con aria assonnata "Derek urla nel sonno e non riesco a dormire". Serro le labbra in una linea dura "Come.. come fai a sentirlo?". "Lo vedo triste in questi giorni quindi dormo con lui. Voglio rivedervi felici". Stringo gli occhi abbracciandola più forte, è quello che vorrei anch'io, essere di nuovo felice. "Cosa dice lui?" le domando con esitazione, si sistema la magliettina del pigiama giocando con l'orlo delle maniche "Urla il tuo nome e poi altre cose che non capisco. Avete litigato?". "Sì" rispondo in un sussurro, mi guarda alzando le sopracciglia "Perché non chiedi scusa? Con mamma funziona sempre". "Un semplice scusa in questo caso non funziona Kate, ma lo vorrei tanto" sospiro, appoggia la testa sulla mia spalla e dice una cosa che mi lascia di stucco "Stavate bene insieme. È ancora il tuo principe azzurro?". "Il mio.. principe azzurro?". "Sì, come con Cenerentola". Apro la bocca per parlare, ma non esce nulla dalla mia bocca, fino a quando non prendo coraggio "No Kate. Il principe ha fatto scappare la principessa" sussurro, ma ormai lei è caduta in un sonno profondo. La lascio sul divano mettendole una coperta addosso e decido di fare l'unica cosa che so che mi aiuterà. Entro in camera mia prendendo la valigia e ci metto dentro i vestiti e tutto ciò che mi appartiene e che mi potrà essere utile. Prima di scendere le scale apro la porta di camera sua, la sua fronte è grondante di sudore e continua a muoversi lamentandosi. Mi faccio coraggio avanzando verso di lui, poso le labbra sulla sua fronte per l'ultima volta "Va tutto bene" sussurro e a malapena sento io la mia voce. Scendo le scale e prendo le chiavi della mia macchina. Lascio un bigliettino sul tavolo della cucina e me ne vado. Guido nelle strade semideserte di Atlantic City e raggiungo il palazzo di mio padre, prendo l'ascensore e suono al suo campanello un paio di volte. Al terzo suono la porta si apre e mio padre assonnato mi guarda confuso. Mi getto fra le sue braccia lasciandomi sfuggire le lacrime dagli occhi "Ash, cosa ci fai qui?" sussurra facendomi entrare, porta la mia valigia in camera mia e ci sediamo sul letto "Ci siamo lasciati" sussurro, dirlo ad alta voce è ancora più sofferente che pensarlo e basta. Mi bacia la fronte stringendomi in uno di quegli abbracci che solo lui riesce a darmi, non sono differenti da un abbraccio qualsiasi, ma quando lo fa mio padre non so come o perché, ma sento che sono diversi, migliori. "Mi dispiace tesoro" sussurra e solo quando finisco di sfogarmi con le lacrime lascia la mia stanza tornando nella sua a dormire. Mi sistemo sotto le coperte abbracciando forte un cuscino contro il mio petto, chiudo gli occhi e subito desidero che questo cuscino sia lui, il suo petto e le sue braccia a stringermi forte. Il disgusto che provo per lui è alto, ma non alto quanto io continuo ad amarlo pur sapendo che mi ha tradita. Non so se mai riuscirò a riempire il vuoto dentro di me, eppure sento che non sono vuota, che quello spazio è già coperto dall'amore, ma questo viene tolto dall'odio e fugge ritornandoci dentro. Sembra assurdo, ma è così, lo sto amando e odiando allo stesso tempo. Lo odio perché mi ha fatto soffrire e sta continuando a farlo, semplicemente perché non ci ha nemmeno riprovato, si è subito arreso, forse non mi ha mai amata davvero, magari, come Jason, mi tradiva già da tempo. Se così fosse, sinceramente, non so cosa farei. Ormai non stiamo più insieme, quindi non potrei più aver voce in capitolo, ma se non è così mi sentirei un po' meglio, perché vuol dire che voleva me. Può sembrare un pensiero egoista, ma chi non l'ha mai pensato? Non so più cosa pensare e più penso a lui meno tempo mi resta per dormire, ormai però Derek è nella mia testa, sembra che sia il centro del mio mondo. Volto lo sguardo verso la finestra, l'alba sta sorgendo il che vuol dire che è ora di alzarsi per andare a scuola, non posso fare altre assenze, ma soprattutto non voglio fargli vedere che sto soffrendo ulteriormente.
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Uno sbaglio da commettere insieme
Teen FictionAshley Evans è una ragazza di diciassette anni come tutte le altre proveniente da Atlantic City, nel New Jersey, e crede di avere una vita perfetta con un ragazzo perfetto, Jason Miller. Ma cosa accadrebbe se un giorno il suo odiato fratellastro De...