Stesso posto, stesso riflesso...

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"Dopo gli ultimi due anni, ormai, ci dovrei essere abituata" penso, entrando nel bagno subito accanto alla mensa: "È vero che prima nessuno sembrava accorgersi della mia esistenza, ma ora non dovrebbe essermi poi così estraneo avere una discreta quantità di occhi puntati addosso."
Mi appoggio al lavandino, fissando la mia immagine nello specchio.
"Elliot ed Anderson possono dire quello che vogliono" rifletto, aprendo il rubinetto e  mettendo i polsi sotto l'acqua gelata.
"Non si tratta di egocentrismo, semplicemente le cose stanno così. È solo un dato di fatto."

Eppure, nonostante provi da molto tempo a convincermene, non è sempre stato tutto rosa e fiori.
Anzi, all'inizio, fu tutt'altro che semplice sorbirsi gli sguardi divertiti, le risatine, i commenti taglienti; non sapevo se fosse meglio non esistere o essere costantemente presa per i fondelli.
Ma ormai non potevo più tornare indietro. Avevo preso una decisione.
Ciò che prima, nella rabbia, ho confessato ad Elliot, era e resterà sempre la verità. Ho vissuto nella sua ombra per un anno, tanto da non essermi mai riuscita davvero ad ambientare nella scuola. Ero priva di un'identità, di una personalità ed era per quello che nessuno si ricordava chi fossi o quale fosse la mia faccia. Ero totalmente anonima, uguale a tante altre ma senza la loro stessa capacità di emergere e farmi valere. 
Ricordo perfettamente il momento in cui mi resi conto di tutto questo, come se fosse ieri: quell'ultimo, tremendo pomeriggio d'estate di tre anni fa.

Ero sola, totalmente sola ed in crisi. Non conoscevo ancora Nicole o Josephine, in quanto, piuttosto che provare a farmi degli amici, per tutta la prima superiore ero stata troppo occupata a trotterellare dietro ad Elliot, il quale, anche quel giorno, non ci aveva pensato due volte a scaricarmi per la ragazza di turno e a rifiutare ognuna delle mie circa dieci chiamate. 
Melodie non faceva parte della mia vita ormai da tempo: erano praticamente due mesi che non mi parlava o cercava. 
La mia unica "amica", l'unica valvola di sfogo in quello schifo che, inconsapevolmente, io stessa avevo creato, ora mi ignorava totalmente. Non eravamo inseparabili o le classiche ragazze che fanno tutto insieme, ma c'eravamo, quando l'una aveva bisogno dell'altra. C'eravamo per un gelato, per un film, per parlare e per sfogarci. Niente smancerie, niente amicizie plateali.

Ma io ci tenevo sul serio... 

Ed ora non c'era più nemmeno lei, esattamente come non c'era mio fratello, già allora sempre in giro fino tardi, o i miei genitori, perennemente in viaggio per lavoro.
Mi mancava mia madre, mi mancava ogni giorno di piu non averla accanto.
Avrei voluto chiederle qualche consiglio per farmi notare da Cameron, l'amico rosso di Elliot che mi piaceva tanto, o per inserirmi un po' di più tra i miei coetanei. Avrei voluto che facessimo qualcosa insieme; parlare di ragazzi, fare shopping...
Avrei voluto sentirmi amata da lei, o da mio padre, o da chiunque altro.
Ma io ero Alexis Delany, la ragazza più banale della storia, invisibile agli occhi di tutti. 

Ero sola. 
In casa in quel momento ma, soprattutto, nella vita.

Quel giorno di fine estate scesi dal mio letto, dirigendomi verso la cucina ed aprendo il frigorifero, con l'intenzione di consolarmi mangiando schifezze e prendendo qualche kilo; tanto nessuno ci avrebbe fatto comunque caso... 
Ma, ad un tratto, eccole lì, le sette lattine di birra reduci della serata tra amici organizzata il giorno prima da mio fratello.
Le guardai per un paio di secondi, per poi prenderle e sedermi contro la parete.
Ne aprì una e buttai giù un sorso. 
La gola cominciò a bruciarmi terribilmente, essendo la prima volta che bevevo.
Avevo quindici anni.
Eppure non smisi; non perché mi desse conforto, o perché pensassi che mi avrebbe aiutato a risolvere i miei problemi. Penso che fosse più una sfida con me stessa. Alla terza lattina il bruciore iniziò ad attenuarsi e ad alla quinta scomparve quasi del tutto.

Le finì, con la sensazione di star per vomitare da un momento all'altro, ma le finì. Totalmente ubriaca, mi alzai barcollando e mi diressi verso il bagno.
Lì mi guardai allo specchio.
Vidi tutto quello che avrei dovuto essere e che non ero, tutto ciò che odiavo di me.
Il mio viso normale, il mio corpo normale, i miei capelli scuri terribilmente normali e che mi ostinavo a lisciare per sembrare più carina.
Uguale, uguale, uguale. Uguale a tutte le altre.
Ma non capivo perché queste ragazze invece avessero successo in amore, nella scuola, con gli amici... IN TUTTO!
Io ero esattamente come loro, eppure sembravo una perdente, una totale perdente. 

Mi toccai i capelli, con gli occhi lucidi e le guance rosse. 
E se fosse stato quello il motivo?
Forse non dovevo essere come le altre.
Forse dovevo essere diversa, dovevo cambiare. Dovevo trovare qualcosa che mi portasse ad avere una vita nuova, ad essere finalmente riconosciuta.
Le birre mi stavano dando alla testa, ma non me ne importava un granché: credevo di aver appena trovato una qualche soluzione a tutti i miei problemi.
Iniziai ad aprire tutti i cassetti del bagno, e, finalmente la trovai. Una tinta per capelli che mia madre mi comprò a carnevale, qualcosa come un paio di anni prima.
Non la usai mai, era verde acqua.
Pensavo che tutti, all'epoca, mi avrebbero presa per pazza, che mi avrebbero considerata strana qualora me la fossi messa.
La osservai come se avessi trovato un piccolo tesoro. Abbassai la testa nel lavandino e mi lavai i capelli, applicandola. Una volta finito sollevai il viso gocciolante e giallognolo per la sbronza.
Mi osservai con curiosità, ma ancora non ero soddisfatta e, così, corsi in cucina lasciando macchie dappertutto.
Presi le forbici.
Tornai in bagno, piazzandomi davanti allo specchio.
Ed iniziai a tagliare, una ciocca dopo l'altra. Mi ritrovai con una massa informe di capelli ricci che mi arrivavano poco sopra le spalle.
Erano strani, sicuramente.
Ma mi piacevano. Per la prima volta in quell'anno, quello che vedevo non era poi così male.
Potevo essere una persona diversa, in tutti i sensi.
Iniziai a ridere, fissando il mio riflesso, ma subito dopo la nausea prese il sopravvento.
Vomitai, da sola in quel bagno, reggendo ancora in mano le forbici sporche di tinta e con i capelli gocciolanti sulle spalle.

Mi sembra di rivivere tutto, chiusa nel bagno della scuola a vomitare, da sola e nel silenzio più assoluto, mentre tutti sono in mensa a ridere ed a sparlare di ciò che ho fatto questa mattina.
Eccomi qui, tre anni dopo, i capelli tornati "normali" e di nuovo nella stessa situazione.
Pensavo che cambiare mi avrebbe reso per sempre più forte, diversa dagli altri, inattaccabile, invincibile.
Avevo smesso di preoccuparmi delle voci da una vita, dei pettegolezzi e dei giudizi degli altri. O, almeno, pensavo che fosse così.

In fila per il cibo fino a cinque minuti fa mi fissavano tutti, borbottando cose poco carine su di me. Si appropriano di situazioni che non conoscono, dicendo che sono un'egocentrica la quale farebbe di tutto pur di apparire, che mi sono comportata come una troietta, che SONO una troietta...
Non pensavo che sarei mai potuta crollare di nuovo fino a questo punto, vomitando qualcosa che non ho neanche mangiato per una paio di stronzate.
Ma, forse, sono arrivata ad un limite.
Perché loro non sanno, parlano senza conoscere. Non sanno cosa si prova a non esistere per nessuno. Non sanno perché sono così, perché sono DOVUTA diventare così. Non sanno perché ho baciato Elliot, non sanno come mi sono sentita quando ho scoperto quello che Walker mi aveva fatto. Non sanno quanto vorrei avere un fratello che mi abbracci quando mi sento giù, un padre che mi voglia proteggere dai ragazzi, una madre che mi tenga i capelli e mi massaggi la testa se mai dovessi vomitare di nuovo. Ora, invece, i ricci arruffati che ho dovuto per forza sciogliere me li sto tenendo da sola con una mano, mentre con l'altra stringo spasmodicamente la tazza del lavandino.
Alzo la testa, guardando per l'ennesima volta la mia gemella di vetro.

"Cambiare non è servito a nulla" penso: "Che sia strana o che sia invisibile, che abbia i capelli lisci od i vestiti di mille colori. La sostanza è sempre la stessa. L'immagine che vedo ora nello specchio è identica a quella che avrei potuto osservare già tre anni fa.
Ero e sono solo una perdente." 

Buonasera a tutti. So che forse questo non è il capitolo che mi aspettavate, o che non sia scritto con la stessa ironia solita.
Ma volevo che la storia di Alexis venisse fuori, volevo che si capisse un po' quello che ha passato e come mai a volte sembra esageratamente egocentrica e vendicativa.
Ditemi che ne pensate, ci tengo molto ai vostri pareri. Spero il capitolo vi piaccia nonostante sia molto diverso dai soliti.
Un bacione.
Aurora ❤️

P.s. presto torneranno le storie d'aaammmmmooore tranquilli❤️❤️

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