In the lap of the gods

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-Non riesco a capire per quale stracazzo di motivo dovrei andare con lui!-

-Non lo capisci, mia cara Alexis, perché il tuo è un cervello sottosviluppato, soprattutto se in confronto al mio.-

Alzo gli occhi al cielo. Nicole è sempre stata una ragazza sarcastica e molto cinica, ma ultimamente le cose stanno degenerando.

-Se dovesse sentirsi nuovamente male durante il tragitto? Lo lasciamo schiantare?-

Sto per risponderle di sì, ma decido di trattenermi, vista la presenza del diretto interessato giusto dietro di me.

-Ma non potrebbero occuparsene Colin, o Walker, o meglio ancora Elliot visto che è già qui fuori?- domando, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

-No, Walker è già andato via, visto che sua madre l'ha chiamato a rapporto poco fa. Elliot aveva già promesso di riaccompagnare me a casa, visto che abitiamo dalla stessa parte e vive a casa del tuo amico senza le sue cose da parecchio...e Colin- aggiunge, gettando un'occhiata verso la veranda: -sta giocando a scacchi con tua madre. Mi sembrava scortese disturbarli.-

Sbuffo, cercando in tutti i modi di arrampicarmi sugli specchi ed evitare venti minuti d'auto seduta accanto al noioso e rompiscatole Rodrick Anderson.

-Scusami, ma se anche dovesse sentirsi male e perdere il controllo dell'auto, io che potrei farci? Non so guidare e tu questo dovresti saperlo. Come farei a salvare la situazione?

-Oh, sono sicura che qualcosa ti verrà in mente. Sotto strati e strati di scemenze, anche tu sei un ragazza intelligente, Al.-

Detto questo prende a braccetto Elliot, il quale mi rivolge un timido cenno di saluto prima di svoltare l'angolo che conduce al parcheggio dietro casa mia.

-Cerca di muoverti, non voglio rimanere in tua compagnia un secondo di più- esclama il mio acerrimo nemico, allontanandosi traballante nella loro stessa direzione.
Sto per urlargli dietro che nemmeno a me fa troppo piacere passare più tempo del dovuto insieme alla sua persona, ma decido di lasciar perdere. Dopotutto, queste è un piano delle altre e ne sono certa; puntano sul mio preoccuparmi davvero per le sue condizioni.
Rientro in fretta in casa, salendo le scale ed ignorando le urla esagitate di mia madre, la quale sembra essere ancora impegnata in una furiosa battaglia a scacchi contro il simpatico energumeno. Le scrivo un bigliettino nel quale spiego che dovrà venirmi a ritirare a casa del precisino, visto che, una volta assicuratami che quest'ultimo torni dal suo papino sano e salvo, non avrò la più pallida idea di come tornare alla mia amata dimora. Preciso che l'indirizzo glielo invierò per messaggio una volta giunta a destinazione.

Devo davvero muovermi a prendere la patente.

Afferro lo zaino e vi ci ficco dentro il telefono; appiccico il post-it sul frigo ed esco del retro.

Mi dirigo verso il parcheggio, dove trovo Anderson già in macchina, visibilmente scocciato e con le dita che tamburellano con furia sul volante.

-Sembri stare decisamente meglio- esclamo, salendo con un balzo sul suo enorme macchinone. È talmente alto il dislivello tra la portiera ed il terreno che quasi fatico ad arrivarci.

-Sí, non sono uno che si scoraggia per tutto.-

Sto quasi per ricordargli la scenata fattami in camera a causa della corretta reggenza di un cavolo di fazzoletto, ma decido, ancora una volta, di lasciar perdere. Il mio autocontrollo, ultimamente, sta subendo degli sviluppi decisamente inaspettati.

Partiamo, ed il "viaggio" procede in un silenzio tombale per più di 5 minuti.
Nessuno dei due sembra aver molta voglia di chiacchierare, o, per meglio dire, litigare, visto che va sempre a finire così ogni qualvolta ci rivolgiamo la parola l'un l'altro.
Ma, come i più già sapranno, io odio questi momenti imbarazzanti che si intervallano nelle conversazioni tra due persone.
Perciò, afferro il mio zaino, tirandone fuori una vasta collezione di CD.
Li scruto per un attimo, scegliendone infine uno dei miei preferiti ed infilandolo nel lettore incastonato nella macchina di Anderson.
"Ora, tanto per rimanere in tema, sono davvero nelle mani degli dei" penso, preoccupata per la reazione che potrebbe avere alla vista di anche una sola ditata sul suo prezioso stereo.
Smanetto un pò con i vari pulsanti, appoggiando infine gli altri dischi sul cruscotto e godendomi l'inizio di una delle mie canzoni preferite.
Percepisco gli occhi del ragazzo indugiare da me alla strada.
La musica parte ed io sento la mia anima risvegliarsi, evocata da sotto le ansie e le preoccupazioni della vita quotidiana, fattasi, ultimamente, sempre più complicata.
Mi accoccolo contro il finestrino, appoggiandovi la fronte e chiudendo gli occhi.
Tutto sotto lo sguardo per metà incuriosito e per metà scettico di Anderson.

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