L'angelo bianco

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Il ragazzo spalanca le enormi porte finestre che fronteggiano l'ingresso, facendomi entrare con finta cordialità ed osservandomi attentamente.
Riesco a cogliere con un solo sguardo ciò che deve stargli passando per la testa; immagino, infatti che, una volta vistami con il mio stupendo cappotto giallo, ogni speranza che dessi retta al suo consiglio di questa mattina debba essergli risultata disgraziatamente vana.
Questo mio, modestamente, brillante ragionamento mi fa sorridere fra me e me.

-Buonasera Rodrick- esclamo, con tono melenso e zuccherino; adoro follemente prenderlo per i fondelli.

Nel frattempo mi dirigo verso il salone principale, se possibile, ancor più pulito e raffinato del solito. Mi accomodo ad uno dei tavoli, fissando con viso angelico ed innocente il mio ancor muto interlocutore, senza mostrare la benché minima intenzione di volermi sfilare il giubbino. Non abbasso nemmeno il cappuccio il quale, per colpa di questa pioggerellina perpetua e dell'immensa paura di mio padre nei confronti di una qualsiasi possibile malattia, sono stata obbligata a calare sulla mia elaborata acconciatura. Se non altro devo ringraziare mia madre per avermi costretta ad indossare le lenti a contatto, decisione, per una volta, non del tutto contraria al mio volere.
Mi concedo, invece, alcuni secondi per guardarmi intorno, notando il modo in cui questo posto sembri essere stato ulteriormente tirato a lucido; come se davvero ce ne fosse bisogno...
Lo scintillio che i mobili sembrano emanare risulta quasi inquietante.
Il signorino, in tutto ciò, non si è ancora degnato d'esplicitarmi né la ragione di tanto sfarzo, né il motivo per cui, in questo momento, stia indossando un completo scuro tanto elegante, il quale, devo ammetterlo, gli sta divinamente bene.

-Vedo che la qui presente pare aver agito, come al solito, di testa sua.- borbotta Anderson, sedendosi a braccia incrociate di fronte a me e confermando ulteriormente i miei sospetti.

-Faccio e farò sempre di testa mia, ormai dovresti averlo capito, Rod-Rod, anche con quei tre neuroni in croce che ti ritrovi.- rispondo, scrutandolo con aria di sfida e riproponendogli apposta la stessa battuta fattami da lui stamattina.
Per tutta risposta il ragazzo solleva, come di routine, un sopracciglio, per poi far roteare gli occhi e distogliere seccato lo sguardo. 

-Parli tanto degli altri, ma anche tu sai essere veramente stronza, sai? Questa è una serata importante per mio padre, ed io ti avevo gentilmente chiesto...-

-Tanto gentile e tanto onesto non m'è per nulla parso il signor Precisino quand'egli altrui insulta- esclamo, alzandomi con un sorriso; amo mostrare quanto sia immensa la mia cultura.

Prima che possa replicare con una battuta altrettanto acida, mi levo lentamente cappuccio e giubbino, facendo scivolare quest'ultimo fino ai piedi, per poi raccoglierlo con nonchalance, sempre continuando a mostrare la nuda schiena al rompiscatole.
Devo dire di starmi davvero divertendo un mondo.
Mi giro solo dopo alcuni secondi, cogliendo il ragazzo nell'esatto istante in cui il suo sguardo glaciale si abbassa, bruscamente, sulle scarpe di vernice che porta ai piedi.

-Poche scene Delany, è ora che tu ti metta al lavoro- esclama freddamente, guardando ovunque tranne che nella mia direzione.

Decido di dargli retta, non avendo alcuna voglia di starlo a sentire. Eppure, mentre mi avvio verso una delle salette secondarie, non riesco a fare a meno di chiedermi per quale motivo, nel profondo, mi dia così fastidio la sua perenne indifferenza.
Controllo l'orario sul cellulare: il mio turno dovrebbe iniziare tra una decina di minuti, quindi ho ancora abbastanza tempo per scrivere a Nicole ed aggiornarla sulla situazione.
Nel frattempo noto, con la coda dell'occhio, di essere stata raggiunta dal Precisino, il quale si sta ansiosamente assicurando che ognuna delle tovaglie di seta sia perfettamente aderente al suo tondo tavolo. Non scherzo, la sua mania per l'ordine sta davvero iniziando a spaventarmi.

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