-Ed il peggio deve ancora venire...-

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Chiudo contemporaneamente sia la chiamata che la porta di casa, avviandomi su per le scale, verso camera mia.
Una volta dentro lascio cadere lo zaino ai piedi del letto, sul quale mi siedo, massaggiandomi l'avambraccio destro. Nonostante abbia ormai tolto la fasciatura da lunedì pomeriggio, sono alcuni giorni che continuo a sentire un pungente fastidio al mio menomato arto.
Speriamo che, nonostante ciò, sia tutto normale.

Sono sfinita.

Ed il peggio deve ancora venire...

Mi pulisco gli occhiali usando la manica della camicia che indosso, costatando per l'ennesima volta, anche dopo ormai tanti anni, quanto poco ci veda senza questi fondi di bottiglia. Forse dovrei decidermi a mettere più spesso le lenti a contatto. In fondo lunedì alla partita mi ci sono trovata da Dio...
Ritorno la solita quattrocchi e faccio scorrere lo sguardo per tutta la mia stanza.
Anderson potrebbe aver ragione; dovrei proprio decidermi a dare una ripulita.
Eppure, nonostante la terribile confusione, mi accorgo subito che nell'angolo preferito della mia amata camera c'è qualcosa che non quadra.

-BRANDON!! Vieni subito qui!- urlo, dirigendomi nella suddetta direzione.

Il ragazzo fa capolino sulla soglia, mezzo addormentato e con un'aranciata in mano.
I miei, dopo aver scoperto una riserva segreta di alcolici belli potenti in camera sua, hanno deciso di non presenziare ad un paio di loro stupide sfilate, iniziando finalmente a dare l'impressione di starsi occupando dei loro figli. E così Brandon, ora, viene quotidianamente accompagnato al college da mio padre il quale, anche se ancora ignoro il come, si sta assicurando personalmente che per un po' stia lontano dall'alcol. E, così, adesso, vive di succo d'arancia.

Voglio credere che quanto successo sia davvero servito a qualcosa.

-Che vuoi Alexis, stavo studiando!-

-Sì Brandon, ci credo proprio...- borbotto, alzando gli occhi al cielo.

-Quante volte ti ho detto che non devi avvicinarti al mio set?-

-Al tuo cosa?-

-Alla mia batteria!- esclamo, indicandola come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

-Ah sì, è venuto a trovarmi un mio amico del college e voleva provarla.-

Mi siedo, sbuffando, di fronte ai tamburi, sistemandone posizione ed accordatura.
Mi rigiro, intenzionata a cantargliene quattro, ma il ragazzo sembra già essere tornato in camera sua.

Afferro, quindi, le bacchette ed inizio a colpire le pelli con furia, sfogandovi sopra tutta la mia rabbia e frustrazione.
Per un po' riproduco i ritmi delle mie canzoni preferite, ma poi inizio ad improvvisare, andando sempre più veloce, fino a sentire i polsi strillare di dolore.
Dopo mezz'ora sono come nuova.
Mi alzo dallo sgabello ed osservo affettuosamente uno dei beni più preziosi che possiedo.
Funziona sempre; un po' di tempo con lei e dimentico tutto.

Sto per buttarmi sul letto, intenzionata ad abbandonarmi ad un buon sonno ristoratore, quando sento qualcuno bussare alla porta socchiusa della mia stanza.
Rispondo con un grugnito, nella speranza che, chiunque sia, abbia un minimo d'intelligenza per comprendere che questo non sia proprio il momento più adatto per avere una conversazione.
Purtroppo, colei che entra prepotentemente nella mia camera, è mia madre, la quale non ha mai avuto la capacità di capire se fosse o meno il caso di fare qualcosa.

-Tesoro mio, come ti senti?- domanda, con voce particolarmente melodiosa.

-Sono sfinita mamma, preferirei fare un pisolino...-

-Sono piuttosto sicura che tu sia stanca per il fatto che, come al solito, abbia sprecato tutte le tue energie "suonando" quella diavoleria. Maldetto il giorno in cui ci siamo lasciati convincere a comprartela.

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