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CAPITOLO QUINDICI
«Oh no»

L'uomo la lasciò cadere sul duro e freddo pavimento.

La botta non passò inosservata alla ragazza che trattenne il dolore, cercando di non perdere la concentrazione.

Improvvisamente il sacco le venne tolto dalla testa ed in pochi attimi riconobbe il luogo in cui si trovava.

Deglutì provando ad alzarsi. "Sta ferma" ordinò una voce roca, familiare.

Questa proveniva proprio da pochi centimetri da lei.

Jisung era proprio in piedi davanti ai suoi occhi anche se lei poteva solo osservargli le ginocchia coperte dal solito completo nero.

Si trovavano nell'ufficio del biondo; con la coda dell'occhio riuscì ad individuare tutti gli altri membri della squadra, messi di lato, appoggiati con la schiena al muro, mentre si godevano l'impotenza della ragazza.

Uno dei ragazzi, Jeno, si avvicinò a lei, legandole fermamente le mani dietro la schiena.

Le intimò con la forza a posizionarsi in ginocchioni e, dopo averla strattonata vigorosamente impedendole la fuga che lei aveva tentato, Sujin si mise composta, con i capelli spettinati ed il fiatone, nella posizione in cui il maggiore l'aveva costretta ad assumere.

"I tuoi genitori non ti hanno insegnato a non ficcare il naso negli affari degli altri?" domandò Jisung, abbassandosi alla sua altezza.

Sujin sentì il bisogno di voltarsi verso Renjun, il quale evitò il suo sguardo, guardando altrove. Il capo, però, le afferrò violentemente la mascella, portando la sua attenzione nuovamente a lui.

Quei suoi profondi occhi neri, pieni di rabbia: non li aveva mai visti.

Eppure perché era così arrabbiato? In fondo lei aveva solo frugato nelle cose di Renjun, quindi che legame poteva avere con lui.

"Seulgi- lei era solo un ologramma. Dimmi perché il corpo che ho toccato era concreto, Jisung-" osò, cercando di capire.

Lui la interruppe tirandole uno schiaffo sonoro sulla guancia che risuonò in tutta la stanza.

Non volava più una mosca: i respiri, anche se poco udibili, non si sentirono neanche più.

Sujin deglutì trattenendo le lacrime: aveva davvero fatto male. "Sono io che faccio le domande qua, ragazzina" ringhiò. "Come osi chiamarmi per nome- io sono il tuo capo e tu sei solo una mia sottomessa"

"La prossima volta sarà la lama di un coltello a rigarti il viso, non più uno schiaffo: quello era solo un avvertimento" sospirò, alzandosi in piedi.

La corvina sbuffò irritata da quel comportamento superiore che aveva: perché era così?

"Che ci facevi là sotto?" domandò. "Niente che ti riguardi" sputò lei.

Un altro suono secco risuonò nella stanza silenziosa: l'aveva colpita ancora.

"Risposta sbagliata, Bae" mormorò lui con un ghigno sghembo in viso.

Ci fu nuovamente altro silenzio in quell'ufficio e Sujin era terrorizzata.

Jisung camminò con passo lento e sguardo disperso e pensieroso per la grande stanza, prima di esporsi. "Non credo che tu abbia ancora capito come funziona, Sujin" blaterò, guardando le pareti, lontano dalla ragazza.

"Tu sei sotto il mio comando, ogni mio ordine per te è legge, e ti assicuro che non stai soddisfando affatto le mie pretese" disse, vago, rendendola perplessa.

PRISONER [The ONEIRATAXIA series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora