『
CAPITOLO QUARANTANOVE
«Ma tu guarda da che pulpito»』
Jisung si trovava nella piccola stanza dove i ragazzi tenevano i loro allenamenti con le armi. Non c'era nulla attorno a lui, il vuoto lo circondava ed il silenzio ronzava nelle sue orecchie. Si stava concentrando. Aveva tre lame fra le mani, due in una e l'ultima nell'altra.
Dopo la litigata con Sujin, Jisung avrebbe dovuto schiarire i suoi pensieri.
Nel profondo sapeva di aver sbagliato le parole con cui confessare la sua preoccupazione, ma il suo cuore gli impediva di ammetterlo.
Alla fine Jisung era pur sempre un leader, un demone nero. Provare dei sentimenti non faceva per lui, non si credeva portato per provare amore. Eppure quella ragazzina gli aveva fatto cambiare completamente idea.
E lui lo odiava. In quel momento si sentiva così vulnerabile, lanciava coltello dopo coltello sul sacco da box, mancando il bersaglio ogni singola volta. Insolito per Park Jisung.
Quella ragazza lo rendeva debole. Ma Jisung la amava e non si pentiva di essere cambiato. La sua testa gli diceva di comportarsi da capitano quale era, lasciando indietro le emozioni, ma il suo cuore la pensava in tutt'altro modo. Era diviso.
Cercò di espellere dalla mente ogni singolo pensiero, concentrandosi sul puntino rosso dove avrebbe dovuto colpire. Era la sua ultima lama. Non poteva errare. Eppure lo aveva già fatto le prime due volte.
Era così assolto da quel sacco da box che quando udì la porta della stanza aprirsi, scaglio il pugnale verso quella direzione.
Renjun sobbalzò, attendendo quella lama perforare il suo corpo. Ma quel momento non arrivò mai. Park Jisung aveva sbagliato un'altra volta colpendo il cartongesso vicino allo stipite, incastrando l'arma.
L'argentato lo guardò con occhi spalancati. Non sapeva se essere felice o meno. Lo era, eccome, il suo capo avrebbe potuto provocargli una ferita molto profonda, ma al contempo era preoccupato, sconvolto.
Non aveva mai visto il suo capo errare un colpo. Jisung era il migliore con le lame.
Il moro sospirò. Si vergognava. Anche se Renjun era secoli più anziano di lui, Jisung lo aveva comunque addestrato. Un vero capo non sbaglia mai. Questo era il suo motto.
Quell'imbarazzante silenzio venne stroncato da un profondo sospiro proveniente dal maggiore. "Che cosa vuoi, Renjun, avrei potuto colpirti" domandò, recuperando le due lame sul sacco da box. L'argentato entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
"Già, è proprio questo che mi preoccupa" borbottò, facendosi sentire. "Che ti prende, Jisung?" domandò senza dilungarsi troppo. Il minore evitò il suo sguardo, passeggiando per la piccola stanza. Quando capì che il maggiore non se ne sarebbe andato senza una spiegazione, sospirò.
"Tua figlia" sbuffò, ma il demone anziano non capì.
"Che ha fatto?" chiese quindi. "E' testarda!" esclamò con voce più alta. Renjun ruotò gli occhi al cielo. "Ma tu guarda da che pulpito" borbottò fra sé e sé, senza che il ragazzo lo sentisse.
"L'ho supplicata di non partire per la spedizione, che è pericoloso per lei, e potrebbe morire-"
"E allora?" domandò Renjun, inarcando un sopracciglio, difendendo la figlia. Jisung fu preso alla sprovvista. "Che cosa pensi di fare tenendola qui? Le lascerai fare le pulizie?" ironizzò in modo retorico.
"Sujin è perfettamente addestrata per uccidere e difendersi, è come noi a tutti gli effetti e questo è il suo lavoro. So che ci tieni a lei e ti preoccupi, ma così è troppo, Jisung, devi lasciarla andare" spiegò saggiamente.
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PRISONER [The ONEIRATAXIA series]
Fanfiction❁ཻུ۪۪A PARK JISUNG FANFICTION❁ཻུ۪۪ ❝non credo di averti detto che ho accettato la proposta di unirmi al tuo gruppetto❞ ❝allora credo proprio che dovrò ucciderti❞ Alla fine Jisung era pur sempre un leader, un demone nero. Provare dei sentimenti non...