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CAPITOLO QUARANTOTTO
«Vattene»

Jisung si riversò dentro al preservativo con un grugnito di piacere, poi cadde lateralmente, sdraiandosi di fianco alla ragazza il quale petto faceva su e giù rapidamente. Erano sfiniti dopo quella sessione mattutina.

Era passata una settimana dal risveglio di Jaemin, dalla nascita di Chaerin e dalla ferita al petto di Jisung. Adesso rimaneva solo una cicatrice sottile. A Sujin piaceva. Molto.

Ella accarezzava il petto del demone ammagliata dalla sua pelle lucida e chiara, passava i polpastrelli delle dita sul torso con delicatezza, come se avesse potuto tagliargli la carne. Non scordava mai di accarezzare quella cicatrice.

Il moro ne aveva molte di cicatrici, troppe a dir la verità, molteplici segni di guerra, di guarigione. Ma a lei non dispiacevano affatto.

Jisung la guardava. Osservava ogni suo movimento leggero ed elegante sulla sua pelle. Amava come il suo corpo reagisse ad ogni minimo tocco da parte della ragazza, gli lasciava una scia di pelle d'oca. Era eccezionale. Era eccitante.

Eppure qualcosa nel suo viso non rispecchiava la dolcezza del momento. Jisung decise che era arrivato il momento di parlare, perciò le prese dolcemente la mano che si muoveva sul suo petto e la portò alle labbra, stampandole un bacio.

Sujin ammirava come Jisung fosse cambiato in un arco di tempo così minimo. Era stata lei a mostrargli la luce. L'amore.

Sapeva che il ragazzo era ancora un'assassino, un degno capo capogruppo. Se prima i sentimenti verso di lui erano influenzati dal suo lavoro, adesso non le importava più. Adesso era anche lei come lui.

"Stai bene?" domandò Jisung, accennando un lieve sorriso. Sujin sospirò: non avrebbe mentito. "No" rispose con voce fioca, leggera. Il demone se ne era accorto, sapeva come qualcosa nella ragazza non andasse.

"Ti va... di parlarne?" questa azione, così minima, illuminò gli occhi della ragazza. Era sorpresa, Jisung non si era mai interessato agli altri, eppure per lei era diverso. La castana annuì, accoccolandosi ancora di più al corpo caldo, sudato, del maggiore.

"Sono molti giorni che faccio lo stesso sogno..." cominciò. Jisung stava per interromperla, ma lei sapeva già dove voleva correggerla, tuttavia, per sua sorpresa, il ragazzo tacque. "So... so che non posso sognare... tuttavia vorrei che lo fosse" spiegò vagamente.

"Sujin" la chiamò lui con tono roco, ma dolce. Lei alzò la testa, incontrando i suoi occhi ricchi di sentimenti a lei ignoti. "Hai ragione, non puoi sognare" ripeté.

"Ma forse... forse sei in grado di avere incubi" parlò con tono interrogativo, nonostante non lo fosse. Lei inarcò un sopracciglio. "Se questo sogno che ti perseguita non sembra reale... allora può trattarsi di un incubo. In fondo sei un demone bianco, il buio è la tua paura... capisci?"

Sujin annuì, ma poco convinta. "Come posso distinguere la fantasia dalla realtà, Jisung?" domandò retoricamente, tornando ad accarezzare il petto del maggiore, assolta dai pensieri, dai ricordi.

"Hai ucciso un algoritmo il giorno in cui sono arrivata; mio padre ha quasi mille anni; io ne ho appena diciotto ed ho già una figlia; la mia cotta è un vampiro che cerca di uccidermi... come posso distinguerla dal surreale?"

Sujin aveva perfettamente ragione, Jisung lo sapeva. Eppure non aveva una risposta. Sospirò.

"Parlerò con Renjun, cercherò di scoprire qualcosa" propose, nonostante la ragazza lo avesse lasciato senza parole. Sujin annuì.

PRISONER [The ONEIRATAXIA series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora