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CAPITOLO DODICI
«Errato, Huang»

Come da Jisung ordinato, Jeno accompagnò la ragazzina nei piani posto più in basso di tutto l'edificio: il sotterraneo.

Appena le scale finirono, davanti a loro si trovava una una porta di alluminio, argentata: il maggiore la aprì, rivelando il buio più totale.

Dalle tasche posteriori estrasse un accendino con la quale illuminò una minuscola porzione di quell'oscurità, poi fece entrare la castana. Provava pena per lei, quindi, prima di richiudere la porta, parlò.

"Sujin, tu non mi piaci, e probabilmente io non piaccio a te, ma entrambi lo sappiamo" incominciò. La ragazza fu presa alla sprovvista dall'improvviso discorso del maggiore, ma restò ad ascoltarlo.

"Non so perché Jisung abbia deciso di rinchiuderti qui, io- aish! Questa è la stanza in cui tortura altre persone per ricevere informazioni, non ci ha mai portato nessun altro membro qua!" balbettò in modo impacciato.

"Che cos'ha di particolare questo posto?" domandò la minore.

"E' una stanza infestata da spiriti maligni, soprattutto dai Praedo, che Jisung e Renjun hanno ucciso" disse, quasi sussurrando.

"Nessuno è mai sopravvissuto per un giorno! Le loro voci ti fanno diventare matto, ti portano al suicidio-" quasi gridò, ma venne improvvisamente interrotto dalle tenere braccia della ragazza che avvolsero il suo corpo in un abbraccio.

Lo trovò strano, Sujin lo aveva colto di sorpresa, ma lo ricambiò: per quando odiasse quella ragazzina, c'era qualcosa nella sua dolce aura che gli faceva pensare il contrario.

"Non morirò, Jeno, te lo prometto" sussurrò lei, con il viso appoggiato al petto del maggiore. Lui sorrise. "Lo so, sei forte" rispose. "Però voglio che tu tenga questo" continuò, passandole l'accendino che aveva in mano.

"Nascondilo bene o Jisung si arrabbierà di nuovo" Lei lo ringraziò con un sorriso.

Il blu stava per chiudere la porta, quando Sujin disse un ultima cosa. "Mi dispiace per il calcio!" disse, ricordando al maggiore il motivo dell'odio verso di lei: non avrebbe mai scordato quel poderoso colpo basso. Rise, perdonandola.

Poi chiuse il portone di alluminio, lasciandola al suo destino.

Sujin si sedette sul pavimento freddo, con la schiena appoggiata al muro in pietra.

Il buio la terrorizzava, sin da piccola la sorella l'aveva addestrata a tutto, lasciandola per settimane in una camera senza luce, proprio come Jisung aveva fatto in quel momento, e forse la odiava anche per questo.

Eppure perché non riusciva a detestare quel marmocchio dai capelli biondi. Perché era bello?

Al diavolo Sujin, non è una motivazione valida! Si rimproverò da sola nei pensieri.

Mentre tastava il pavimento freddo ed umido, si ritrovò fra le mani un sassolino. Sempre con l'accendino acceso che la rassicurava, raccolse la piccola pietra fresca e la lanciò verso l'oscurità.

Quando l'oggetto risuonò, Sujin capì che aveva sbattuto contro l'altra parete. Ne lanciò un'altra e ancora un'altra per tenersi compagnia con quel rumore, ma, quando gettò l'ultima pietrolina, il suono del materiale che sbatteva contro il muro non ci fu.

Perplessa, ma, soprattutto, spaventata, si alzò in piedi. "Chi c'è?" domandò in modo impacciato. Questa volta era sicura che non fosse un sogno, ne era certa.

PRISONER [The ONEIRATAXIA series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora