『
CAPITOLO SETTANTA
«Metti giù la pistola e lasciale parlare»』
La luce del sole che traspariva dalle tende bianche svegliò una volta per tutte Sujin, che fu costretta a sbattere più volte le palpebre. Era confusa, stordita, si sentiva stanca e appesantita, ma, nonostante ciò, il suo primo pensiero fu rivolto a Jisung.
Finalmente la sua vista si fece chiara e riconobbe chiaramente la sua camera da letto, proprio come fu inevitabile per lei sorridere leggermente quando vide la piccola Chaerin accoccolata completamente a lei, con il ciuccio fra le labbra e gli occhi ancora chiusi.
Ma Jisung non era con loro.
Lo aveva salvato? Era vivo?
Erano queste le domande che le perseguitavano la mente, e la risposta arrivò solo non appena, in lontananza, udì la sua voce provenire da un altra stanza.Nonostante la porta della sua camera fosse chiusa e le parole risultarono ovattate, Sujin fu completamente certa che si trattasse di lui.
Con cautela, facendo attenzione a non svegliare la figlia, Sujin si alzò dal letto, incontrando la sua figura con lo specchio a lei davanti e per la prima volta dopo mesi si prese del tempo per ammirarsi: nonostante avesse indosso una delle tante lunghe maglie di Jisung, le mani ed il viso erano sporchi di sangue nero.
Un flashback non tardò ad arrivare, ricordandole quelle lunghe ore: da l'esplosione ad Ovest, al proiettile che aveva quasi ucciso Jisung, fino a Doyoung.
Scosse leggermente la testa, dimenticandosi quelle immagini vivide e tornando a concentrarsi sul suo riflesso. Sospirò brevemente, poi si allontanò verso il bagno, decidendo di lasciarsi alle spalle i ricordi con una doccia.
Mentre si aiutava con una spugna e del profumato sapone all'aroma di malva, Sujin non staccò gli occhi dalle mattonelle quadrate davanti a sé, spaventata dall'idea di poter piangere alla vista di tutto il sangue che le aveva impregnato il viso e le mani.
Poi si asciugò sia il corpo che i capelli fatti più lunghi, ormai appena sotto le spalle, e senza distrarsi nei ricordi indossò l'uniforme pulita.
Un odore acre in lontananza colpì improvvisamente le sue narici. Lo conosceva bene, benissimo, proprio per questo sapeva di cosa si trattasse: vampiri. L'adrenalina cominciò a salire rapidamente, facendole chiudere più velocemente possibile la cerniera dei pantaloni.
Non esitò un secondo a prendere la sua pistola bianca ancora perfettamente carica, infatti in un attimo era già fuori dalla camera, assicurandosi di aver chiuso la porta per non mettere a repentaglio la vita della figlia.
Con passo felpato attraversò i corridoi ed un dubbio le sorse immediatamente: perché continuava a sentire la voce di Jisung avere un tono calmo? Avrebbe dovuto percepire le creature già da un po', e se non lui... almeno Jaemin avrebbe dovuto.
Deglutì finalmente la paura, così si rese invisibile ed entrò nella stanza. Vide Jisung parlare con Jaemin in cucina e, quando si voltò, nulla avrebbe potuto prepararla alla vista di ciò che aveva davanti. Chi.
Jisung, tuttavia, si interruppe a metà frase non appena percepì un'energia che da tempo non aveva più sentito. "Che succede?" domandò Jaemin, improvvisamente perplesso. Il capitano tacque, cercando di capire, di mettere insieme i pezzi, ma quando arrivò alla soluzione l'energia sparì completamente e dietro di loro un click risuonò nella stanza.
"Merda" Jisung non riuscì nemmeno a finire l'imprecazione che si era già voltato. Lì la vide: Huang Sujin con la pistola carica puntata davanti ai due nuovi ospiti.

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PRISONER [The ONEIRATAXIA series]
Fanfiction❁ཻུ۪۪A PARK JISUNG FANFICTION❁ཻུ۪۪ ❝non credo di averti detto che ho accettato la proposta di unirmi al tuo gruppetto❞ ❝allora credo proprio che dovrò ucciderti❞ Alla fine Jisung era pur sempre un leader, un demone nero. Provare dei sentimenti non...