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CAPITOLO QUATTORDICI
«Un'obitorio?»

Sujin si pentì di aver deciso di dormire sul divano.

Era stata una delle peggiori scelte mai fatte, ma per puro orgoglio sapeva che non avrebbe mai fatto ritorno nella camera di Jisung, non quella sera almeno.

Si rigirava continuamente in quel minuscolo spazio, coperta solo da un leggero plaid, mentre con la mente pensava al lancinante dolore alla schiena che avrebbe provato il giorno successivo.

Improvvisamente cadde in uno stato di apnea, sentiva gli occhi colorarsi, indicando l'attivazione dei suoi poteri: stava avendo una di quelle visioni.

La mente le si catapultò in una dimensione parallela, nel passato o nel futuro, non avrebbe avuto modo di capirlo. Non sapeva nemmeno se fosse stata in un altro corpo, in un altro cervello, doveva scoprirlo.

Aprì gli occhi, meravigliata di trovarsi in una stanza a lei familiare, quella di Renjun. Poteva riconoscerla dalle pareti chiare ed il letto con il piumone color azzurro pastello. Si guardò attorno alla ricerca di uno specchio o di qualcuno che avrebbe potuto chiamarla per nome: voleva sapere chi fosse.

Non c'era niente, né nessuno: era circondata dal vuoto e dal silenzio.

Lentamente si alzò dal letto, mise le grandi pantofole bianche di Renjun e così iniziò a camminare per la casa, alla ricerca del motivo per cui la mente l'aveva trasportata nella visione.

Udì delle voci in lontananza, ma il suo sesto senso le imponeva di scappare.

Quindi si ritrovò a correre, provocando il minimo rumore possibile, mentre tornava nel posto di partenza, nonché la camera di Renjun.

Accostò la porta: non sapeva perché fosse così spaventata, perché sentisse il pericolo legarsi alla gola come un magone, ma in quel momento lei non era in grado di controllarsi, la mente faceva tutto al posto suo, persino le cose che lei non voleva.

Dentro la camera del cinese erano presenti due porte, entrambe del medesimo colore, una vicino all'altra: ne scelse una, quella a sinistra, senza alcun senso logico, ritrovandosi in una piccola biblioteca privata.

Doveva sicuramente essere il posto segreto di Renjun, ma perché in quel momento la stanza era accessibile? Si era per caso dimenticato di chiuderla?

Troppe domande senza risposta, tutto era esageratamente strano.

Studiò quel piccolo nascondiglio, circondato da pareti che erano coperte da mobili e scaffali, contenenti tutti i tipi di libro, dal più piccolo al più grande, da quelli sottili a quelli spessi, di qualsiasi colore.

Fu incuriosita dalla parete riguardante la 'Demonologia': sarebbe stato interessante scoprire che cosa lei fosse, ma, purtroppo, non ricordava il simbolo sul polso di Jisung, perciò si limitò a curiosare.

"Demoni mezzosangue" lesse in un sussurro, mentre ammirava, incuriosita, il grosso manoscritto dalla copertina rigida color viola scuro, adornato da ghirigori in oro, vero probabilmente.

Quel libro avrebbe sicuramente parlato di Chenle, magari avrebbe scoperto cose su di lui che nemmeno questo conosceva.

Così lo afferrò, ma rimase, stranamente bloccato.

Era perplessa, quindi fece una leggera pressione verso di sé ed il libro fece un rumore meccanico. Pochi attimi dopo, rimase sbalordita da come il mobile si spostò lateralmente, rivelando un corridoio di scale che portavano ai piani inferiori.

Anche se titubante, lei scese quella lunga scalinata a chiocciola, fino ad arrivare in una vera e propria stanza.

"Un obitorio?" sussurrò sempre più perplessa, quando riconobbe il tipo di camera. C'era un corpo sopra ad una lastra di alluminio. Era coperto da un telo bianco, ma, curiosa, decise di rivelarlo.

Sobbalzò.

Il volto era quello della sua amica Seulgi: l'aveva riconosciuta dai lineamenti e da quel piccolo foro di proiettile situato al centro della fronte. Sospirò affranta.

"E' impossibile, questo è solo un algoritmo, il corpo non può essere qui, deve essersi smaterializzato?!" rifletté, nonostante lì non ci fosse nessuno oltre a lei.  Poi si ricredette.

E se fosse il futuro questo? Se lei fosse morta davvero? Pensò. Non avrebbe avuto modo di saperlo, ma, anche se triste, dovette ammettere che quello era definitivamente un corpo umano, perciò l'amica era, in qualche modo, deceduta.

Per non piangere, sollevò il telo bianco, coprendo nuovamente il tenero volto della ragazza.

Se Seulgi si trovava in quel tavolo, allora Sujin non sarebbe potuta capitare nella mente di quella donna: era esclusa dalla lista.

Curiosò per tutta la stanza; in quel momento si trovava alla ricerca di qualche tipo di cartella, quella della donna sul banco di alluminio. Quando la trovò, la estrasse dal gigantesco cassetto di metallo e lesse tutto ciò che Renjun aveva scritto su di lei.

In particolare cercava il motivo o il luogo della morte, ma il cinese non aveva trascritto nulla se non 'Ferita al lobo frontale, causata da un proiettile'. Girò ancora diverse pagine, fino a che non trovò le informazioni personali della donna.

Oltre al nome ed il cognome, riconobbe anche la categoria di Vrosmo alla quale apparteneva e, stupita, scoprì che la sua amica faceva parte dei demoni neri.

"Ho sempre creduto che tu fossi come me" disse con un sorriso, mentre guardava il cadavere coperto dal telo pallido.

Improvvisamente qualcosa le saltò in mente, un dubbio, quindi non esitò a controllarla nuovamente.

Tolto il lenzuolo, voltò il corpo a pancia in giù, poi si mise alla ricerca. Era curiosa di sapere se qualcuno l'avesse marchiata prima di morire, solo che non aveva idea della forma che quel segno avesse, ma cercò.

La prima imperfezione che notò furono due punti, due piccoli fori, appena sopra la clavicola sulla destra. Ricordandosi dei canini che erano spuntati a Jisung il giorno in cui le aveva tagliato i capelli, considerò quei segni il vero marchio di appartenenza.

Adesso era curiosa di sapere chi l'avesse fatto.

Una volta coperto il corpo per l'ennesima volta, si diresse nuovamente verso la cartella di Seulgi e l'ultimo appunto la scioccò. C'era una piccola frase contenente 'Presenza di gravidanza' e, proprio di seguito veniva spuntato a penna il quadratino contenente un 'Si'.

La trascrizione sottostante di Renjun diceva: "Il colpo al cervello ha ucciso con effetto immediato anche il feto di soli tre mesi. E' ignoto il padre, ma si può confermare che sia stata marchiata da un demone nero ed, essendo anche lei tale, il piccolo feto sarebbe nato, anche lui, come i genitori" lesse lei con un sussurro.

Non ebbe nemmeno il tempo di spalancare gli occhi dallo shock, che qualcuno le coprì la testa con un sacchetto di stoffa scuro, impedendole di vedere di chi si trattasse il rapitore, ma, quando tastò con le mani la figura dietro di lei, constatò che si trattasse in un uomo, non troppo muscoloso.

Questo, senza proferire parola, la sollevò, mettendosela su una spalla a mo' di sacco di patate, portandola via da quella stanza.

Questo, senza proferire parola, la sollevò, mettendosela su una spalla a mo' di sacco di patate, portandola via da quella stanza

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Scusate la mia assenza ho avuto molte cose da studiare... spero vi piaccia, tornerò presto attivissima!!

PRISONER [The ONEIRATAXIA series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora