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CAPITOLO DICIOTTO
«Perdonami»

"Grazie per avermi fatto dormire con te, Jeno" Sujin lo ringraziò calorosamente, sistemando il suo letto, pronta a sdraiarsi, proprio come il maggiore aveva già fatto.

"Toglimi una curiosità" parlò lui, mentre la castana annuì.

"Ho origliato un po', quindi mi chiedo perché tu sia qua con me, in camera mia, invece di essere con lui visto che avete chiarito?" Sujin si fermò improvvisamente, guardando il letto ancora disfatto.

Sospirò, ma non rispose.

Anche Jeno espirò in modo non troppo sonoro, poi si alzò e si avvicinò a lei, sedendosi nel suo letto.

"Che ti hanno detto gli spiriti nei sotterranei?" domandò, credendo di aver centrato il punto del problema.

"Perché credi che mi abbiano parlato?" chiese in risposta la ragazza.

"Lo fanno con tutti, ma credo che con te si siano comportati in modo differente dallo spaventarti a morte come hanno fatto con gli altri" sghignazzò lui, facendo sorridere anche la ragazza, che si sedette accanto al blu.

"Jaemin non è la mia anima gemella" sospirò.

"Lo so" rispose Jeno in un sussurro per non sembrare impertinente. "E' Jisung" la risposta della ragazza prese alla sprovvista il maggiore: non si aspettava che già sapesse la verità.

"Come lo sai?"

"Ancora non lo so" disse, confondendo il blu. "I messaggi fra Jisung e mia sorella parlavano di questo, anche gli spiriti nel sotterraneo lo hanno detto"

"Che ti hanno detto?" chiese, sempre più incuriosito. "Non potrò mai amare Jaemin; per quanto mi sforzi, il mio cuore batterà sempre e solo per Jisung"

"Allora perché non lasci Jaemin per la sua strada? Insomma, non è lui il tuo futuro!" esclamò. Jeno sapeva che Sujin non aveva parlato a nessuno di queste vicende e voleva capire perché.

"Perché voglio essere sicura, voglio vedere con i miei occhi, sapere con certezza che non è lui l'uomo con cui passerò il resto della vita!"

"Come?" domandò il blu in un tono di voce più calmo.

"Non lo so" mentì, voltandosi a prendere le coperte: sapeva benissimo come fare e Jeno era parte del suo piano.

Sarebbe tutto avvenuto in quella notte, avrebbe finalmente trovato le risposte e queste erano tutte nella camera di Renjun.

Se non le avesse recuperate sarebbe passata al piano B, quello proposto dagli spiriti nei sotterranei: baciare sia Jisung che Jaemin.

Non aveva affatto voglia di provare la seconda opzione, quindi sperava per il meglio in quel momento. Doveva iniziare presto: aveva studiato per ore come fare e non poteva fallire.

"Forza, Jeno dormiamo" sorrise lei.

Il maggiore, anche se titubante, si mosse verso il suo letto.

Sujin sospirò, prima di parlare. "Dormi con me" sussurrò abbastanza forte da farsi sentire dal blu.

"Sai che Jisung non vuole-"

"Ti prego" lo implorò lei.

Quindi Jeno sospirò, tornando nel letto della ragazza, sdraiandosi accanto a lei.

"Sujin" la chiamò. "Non dirai niente a Jisung riguardo a quello che è successo oggi, vero?" domandò.

Lei non capì molto bene a che cosa si riferisse. "Di che parli?"

"Sono gay" si confessò, nonostante la ragazza già lo sapesse. "Fino ad oggi solo Jaemin lo sapeva, quindi... insomma... se potresti-" balbettò insicuro.

Sujin sorrise. "Non glielo dirò, ti do la mia parola, Lee Jeno" parlò, guardandolo dritto negli occhi: il blu era convinto che avrebbe mantenuto la promessa.

La ragazza sapeva che Jeno non si sarebbe addormentato tanto facilmente, tantoché fu costretta ad applicare una tecnica imparata con Renjun: lo avrebbe addormentato per il tempo necessario per svolgere la missione.

Titubante, poggiò due dita sul suo polso marchiato dal simbolo, aspettò che la solita luce nera ne illuminasse il contorno, poi si avvicinò all'orecchio del maggiore, in stato di trance.

"Perdonami" sussurrò, poi tolse le dita dalla pelle, afferrò con la mano marchiata il braccio del maggiore, poi soffiò delicatamente nel suo orecchio, aspettando che la magia avesse avuto inizio.

Capì che il blu era addormentato, quando sentì il suo corpo rilassarsi.

Sujin si alzò dal letto, indossò le scarpe ed infine guardò l'orario scritto sul telefono del maggiore: le due e sette del mattino.

Aveva esattamente venti minuti prima che l'effetto dell'incantesimo imposto svanisse e doveva correre.

Si rese invisibile, violando una delle regole dettate da Jisung, poi si diresse con passo svelto verso la camera di Renjun.

Stranamente era vuota, il che aumentava la difficoltà: se il cinese non era in camera sua, allora avrebbe potuto ostacolarla e le sarebbe potuto costare del tempo prezioso.

Come nel sogno, c'erano due porte: una era il bagno, mentre l'altra apriva la zona a lei interessata.

Una volta entrata, esaminò tutto da cima a fondo e si meravigliò a vedere quelle pareti ricoperte da scaffali ricchi di libri.

Non perse tempo e cercò il manoscritto che avrebbe aperto il passaggio segreto verso un piano sotterraneo.

Era stato tutto fin troppo facile e la cosa gli puzzava non poco.

Scese le scale fino a che non arrivò, come nel sogno, verso quel piccolo obitorio.

Si guardò attorno e notò una porta che nel sogno non le era stata illustrata: decise di guardarci più tardi.

Fu incuriosita dal telo bianco che copriva quel piano di alluminio: la cosa che la spaventava era ciò che si trovava al di sotto della stoffa, poiché era chiaro che coprisse un corpo.

Stava per impazzire: non poteva essere Seulgi, aveva chiaramente visto i messaggi fra Jisung e sua sorella, quello che lui aveva ucciso non era altro che un algoritmo, un ologramma, quindi, se non era la sua amica, chi poteva esserci sotto?

Era terrorizzata dall'idea di rivelare il cadavere, ma poi si ricordò che il luogo dove si trovava non era altro che un rifugio di assassini, quindi avrebbe potuto essere il corpo di un prigioniero.

Sospirò e prese il suo tempo prima di avvicinarsi al tavolo coperto. Prese fra le dita l'orlo della coperta, prima di farsi coraggio e tirarlo via.

"Renjun!" gridò spaventata.

Il ragazzo sdraiato sul tavolo spalancò gli occhi impaurito e quando riconobbe la voce ed il viso della ragazza urlò.

Lo spavento lo fece cadere dall'altro lato del tavolo, sul pavimento, provocando un brutto suono ovattato, seguito dalle imprecazioni sussurrate dal cinese.

Sujin era scioccata: aveva così tante domande da fargli, ma la preoccupazione maggiore, in quel momento, era il piano: stava per fallire, ma non lo avrebbe permesso.

Sujin era scioccata: aveva così tante domande da fargli, ma la preoccupazione maggiore, in quel momento, era il piano: stava per fallire, ma non lo avrebbe permesso

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