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CAPITOLO UNO
«Dammi la mano»

"Perché non si sveglia?" domandò una voce roca.

"Chenle ha sparato!" esclamò un altro.

"Yah! Ho usato la pistola che mi avete dato voi!" gridò qualcuno dalla voce acuta.

"Jisung ci ucciderà" borbottò la seconda voce, spaventato.

"Tsk, babbei" sbuffò il ragazzo dalla voce rauca.

Sujin sentì le voci pian piano allontanarsi, fino a quando gli uomini non chiusero la porta, facendola sobbalzare.

Lentamente aprì gli occhi: aveva ancora la vista offuscata e la testa le girava ancora. Non ricordava niente dopo lo sparo, assolutamente nulla.

Si guardò un po' attorno: la stanza era grande, con le pareti bianche ed una luce rossa che le illuminava.

Sujin era chiusa in una gabbia di ferro molto piccola, recintata da sbarre spesse e vicine fra loro: poteva solo stare seduta e sdraiare le gambe, ma non sarebbe riuscita ad alzarsi o sdraiarsi, poiché era troppo stretto.

Proprio accanto a lei c'era un'altra gabbia che distava di un paio di metri: si stropicciò gli occhi, vedendo che nella gabbia una persona dormiva: una donna.

Aveva i capelli lunghi legati, anche lei in una coda alta, color nocciola; era vestita con dei jeans neri ed un crop top del medesimo colore, con degli anfibi alti fino a metà polpaccio, color pece.

Mentre Sujin osservava la figura con il viso rivolto verso il muro, impedendole di riconoscerla, notò la cintura con una 'S' al centro argentata e, insieme a quella, scorse il simbolo sul suo polso formato da una stella.

La ragazzina sgranò gli occhi, riconoscendo l'accessorio legato alla sua vita ed il disegno proprio sotto il palmo della mano: era Seulgi.

Tutto il team di ovest aveva un segno di riconoscimento che Irene aveva assegnato a tutte: una cintura con le iniziali, quindi, ad Irene una I, a Seulgi una S, a Wendy una W, a Joy una J, a Yeri una Y e, per finire, a Sujin una S ed una J attaccate, poiché la ragazza di chiamava Su Jin.

Questa sussurrò il nome della donna accanto un paio di volte, ma era profondamente addormentata tanto che non la sentì.

Così Sujin allungò il braccio destro verso la gabbia accanto, ma, ovviamente, essendo bloccata dalle sbarre, non ci arrivò.

Decise così di avvicinare la sua teca di ferro verso quella dell'amica, sfruttando la sua forza nelle braccia, spingendosi dal pavimento.

Funzionò.

Sujin si avvicino di pochi centimetri, per non dare poi nell'occhio ai rapitori che sarebbero sicuramente arrivati a breve.

Con la punta delle dita toccò il fianco della donna, ma questa continuava a dormire. Probabilmente era svenuta.

Proprio sotto alla schiena di Seulgi, che in quel momento era appoggiata alle sbarre in modo da poter stendere le gambe, la ragazzina notò dei piccoli dischetti neri con il bordo blu elettrico. Sentendo delle voci in lontananza e dei passi farsi sempre più vicini, raccolse gli oggetti, mettendoli nella tasca, dopodiché si rese invisibile.

PRISONER [The ONEIRATAXIA series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora