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A/N: Da questo capitolo in
poi non annuncerò più nessun
tipo di trigger warning.
Ecco tutti quelli che troverete
da ora in poi: sangue, armi, violenza
fisica, tortura, suicidio, morte.

CAPITOLO SESSANTACINQUE
«Casa»

Fredde.
Sujin aveva le mani fredde.
Una sensazione così comune che la donna non aveva mai sperimentato prima di quel momento.

Aveva dolore ovunque, come se il suo corpo stesse per spezzarsi. Stava perdendo la sensibilità alle dita e le braccia erano talmente tirate verso l'alto che non le sentiva nemmeno più. Con calma provò ad allungare i piedi al suolo: era certa di essere sospesa ed aveva perfettamente ragione.

Sujin era legata per i polsi, sospesa in aria. Ancora con gli occhi chiusi e la mente confusa provò ad allungare quanto più possibile i piedi al suolo, riuscendo a toccare il pavimento con la punta della scarpa.

Eppure, nonostante il minimo sforzo, sentiva la sua forza vitale scivolare via dal suo corpo così velocemente. Conosceva fin troppo bene quella sensazione, così bene che - spaventata - le palpebre si spalancarono.
Qualcuno sta morendo.

O lei, o Jisung. Forse entrambi.

Si agitò, smuovendosi furiosamente, sentendo le catene graffiarle la pelle. Non riusciva a vedere molto, solo davanti a lei poiché le braccia tese le impedivano la visuale laterale. Era più che vulnerabile e rinchiusa in una cella.

Continuò ad agitarsi, sollevarsi ed ansimare dal dolore fino a che non si sentì di nuovo con i piedi per terra.
Letteralmente.

Qualcosa di morbido si era sdraiato sotto i suoi piedi permettendole di rilassare leggermente le braccia e, quindi, di vedere decentemente ai due lati. Era congelata sul posto, troppo confusa e stordita per reagire agli impulsi e agli istinti.

Fino a che una leggera - anche se non troppo - scossa elettrica le riscaldò ogni singola cellula del corpo. Sentì grugnire. Ansimare silenziosamente.
E riconobbe quel fievole suono.

Il suo cuore fece capolino; l'adrenalina andata persa si era finalmente risvegliata.
Jisung.
Si voltò verso la sua destra e lo vide: seduto sul pavimento, i polsi legati, ammanettati con cinghie di metallo, le gambe sdraiate. Annaffava per respirare, il suo petto di muoveva rapidamente in cerca di aria.

Era stanco.
Esausto di continuare a risvegliarsi.
Incapace di riprovare ad aprire gli occhi.

Ma non avrebbe ceduto.
Non prima di vendicarsi dell'ibrido che lo aveva reso orfano.

"Jisung" lo chiamò lei con gli occhi luccicanti, felice di averlo ritrovato indipendentemente dal contesto in cui si trovavano. Qualcosa in lui scattò, tanto che sobbalzò leggermente. Eppure i suoi occhi rimasero comunque chiusi.

"Sujin?" sussurrò sospreso. "Dio mio, sei davvero tu?"

Non era necessario il suo sesto senso per capire le torture che gli avevano infierito per renderlo così vulnerabile. Sujin non lo aveva mai visto così: non era spavaldo, non resisteva al dolore, non provava ad alzarsi in piedi.

"Si, Jisung, sono io" lei pronunciò quelle parole con le lacrime agli occhi. Fu costretta a spostare lo sguardo verso l'alto per qualche attimo per cacciarle indietro. "Che ti hanno fatto?" la domanda risultò esasperata. Lo era.

"Perché sei qui? Non dovresti esserci, ti faranno del male" Jisung parlava con il labbro inferiore tremolante. Era terribile guardarlo soffrire in quel modo. Voleva aiutarlo, per lo meno passargli parte della sua energia vitale.
Era una tortura.

PRISONER [The ONEIRATAXIA series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora