『
CAPITOLO SESSANTATRÉ
«Non devi sentirti in debito con lui»』
Sujin scivolò la schiena lungo tutta la parete, cadendo in ginocchio con un sussulto e le lacrime agli occhi. Un dolore lancinante le colpiva l'addome, dove la gamba della sedia era conficcata a causa di Jaehyun.
Con un immane forza di volontà, Sujin si aggrappò a quel pezzo di legno e - con la mascella serrata - lo estrasse dalla carne, lanciandolo il più lontano possibile da lei. Gridava. Imprecava con la rabbia amara in bocca.
Doveva alzarsi, uscire da lì e cercare Jooyhun, assicurarsi che sarebbe stata bene, che tutte loro sarebbero state al sicuro. Avrebbe dovuto cercare Jisung, chiamare Yangyang e comunicargli il tranello.
La vita di molte persone dipendeva da lei in quel momento. Era necessario che uscisse da lì immediatamente.
Alzati. Alzati. Alzati.
Nessuno sarebbe andata a cercarla nei sotterranei, non quando aveva esplicitamente ordinato di non essere seguita.
Corri via. Corri via. Corri via.
Con un grugnito seguito da un grido gutturale, Sujin trovò la forza di alzarsi in piedi e trascinarsi a fatica verso la porta. Uscì da quella trappola che a breve l'avrebbe risucchiata nel vortice della morte e corse - sbilanciandosi a destra e sinistra ogni poco - su per le scale, raggiungendo in poco tempo il piano principale.
"Joohyun!" gridò a squarcia gola.
Niente. Nessuno.
Il cuore cominciò a pompare sangue ad un ritmo straziante, la paura l'aveva fatta sbiancare. "Bae Joohyun!" esclamò ancora, mentre controllava le altre stanze. Nessuno accorse alle sue chiamate.
La forza e l'adrenalina arrivarono a mancare molto presto e Sujin si ritrovò appoggiata alla parete del lungo corridoio di camere da letto. Le ginocchia le cedettero subito, ritrovandosi con il sedere sul freddo pavimento.
La lunga scia di sangue che aveva lasciato dietro di se adesso si fermava proprio dove lei era seduta, trasformandosi in tempo breve in una pozza. Qualcuno l'avrebbe trovata, era questione di minuti, forse ore.
Non mollare.
Una voce diversa dalla sua risuonò nella sua testa; Sujin non fece nemmeno in tempo a domandarsi chi fosse, a capire di chi si trattasse quando una potente scarica di energia le fece formicolare ogni arto del corpo. Jisung.
Park Jisung la stava tenendo in vita, concedendogli parte della sua energia vitale. Poggiò le mani a terra per darsi la spinta per alzarsi quando il liquido sul pavimento le bagnò il palmo intero. Sapeva che era il suo sangue eppure catturò comunque la sua curiosità.
Nero. Sembrava petrolio, una scia di inchiostro nero. Eppure era il suo sangue. Un ricordo si fece spazio fra i mille pensieri nella mente. Rimembrò il giorno dell'esplosione in piazza; di come Yangyang l'aveva salvata e portata a casa; di come Sicheng aveva scoperto la cura al veleno che l'avrebbe uccisa. E nel frattempo aveva perso sangue. Sangue nero come la pozza in cui era seduta.
Jung Jaehyun era l'ibrido per eccezione il quale sangue conteneva la sostanza viola dei proiettili. Il veleno che aveva modo di uccidere sia vampiri che demoni. Era un'arma di distruzione di massa e Sujin era certa che anche lui ne fosse al corrente.
A quel punto il da farsi era chiaro. L'energia prestata da Jisung non sarebbe durata a lungo e Sujin doveva trovare Joohyun. Doveva salvare l'Ovest. Ma l'unica cura esistente e conosciuta era il sangue della sua anima gemella.

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PRISONER [The ONEIRATAXIA series]
Fanfiction❁ཻུ۪۪A PARK JISUNG FANFICTION❁ཻུ۪۪ ❝non credo di averti detto che ho accettato la proposta di unirmi al tuo gruppetto❞ ❝allora credo proprio che dovrò ucciderti❞ Alla fine Jisung era pur sempre un leader, un demone nero. Provare dei sentimenti non...