CAPITOLO 11

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Non sento più nulla.

Non sento nessun dolore, nessuna sofferenza.

Mi sento leggera, senza brutti ricordi che mi tormentano.

Mi sento come se fossi in paradiso, ma non è così.

Non vedo quel posto come viene descritto nelle storie.
Un posto fatto di nuvole bianche come la neve, la luce così bella e piacevole che ti riempie l'anima, i volti delle persone sempre felici.
I bambini che corrono un po' di qua e di là, giocando come se non ci fosse un domani.

No, io non vedo questo posto.

Allora sarà l'inferno.

Ma non è neppure quello, perché non vedo quel terreno pieno di fosse profonde, ricoperte di morti.
Non vedo vulcani eruttare ogni secondo lava incandescente.
Non vedo demoni.
Non vedo gente ammazzarsi l'un l'altro.

Ma allora...dove mi trovo, se non è né il paradiso né l'inferno?

Un forte odore di alcol inizia a risvegliare il mio cervello.

Apro lentamente gli occhi e mi do qualche minuto per capire dove mi trovo.
Sono sdraiata per terra, in una stanza che sembra come quella dei film horror.

È nero-verdognolo, ricoperta di muffa e si sente la puzza di topo morto e un forte odore di acido.

Mi manca poco per vomitare.

Qui dentro non c'è nulla, tranne una lampada che illumina veramente poco e la porta che mi divide dall'esterno.

I ricordi di ciò che è successo prima, iniziano a tornarmi in mente.

Tra tutto quello che è accaduto, mi chiedo perché non mi abbia uccisa.

Cos'è che l'ha trattenuto?

E poi perché si è incazzato così tanto quando gli ho detto che solo una puttana poteva aver cresciuto dei figli come loro?

Comportandosi da vero maleducato e stronzo quale è, io automaticamente arrivo a una sola conclusione. Ovvero che sua madre non è stata capace di crescerli.

Provo ad alzarmi lentamente e a reggermi in piedi.
Dopo un bel po' di tentativi falliti, mi alzo finalmente e mi dirigo lentamente verso la porta.

So che sarà chiusa a chiave, ma ci voglio provare lo stesso.

Provo ad aprirla, ma nulla, è chiusa.

Lo sapevo!

Ad un tratto sento una porta in lontanza aprirsi e dei passi avvicinarsi verso la mia direzione.
Mi sposto immediatamente dalla porta e vado a sedermi, con le ginocchia portate fino al petto, in un angolino della stanza.
Dopo un po', sento la chiave inserisi nella serratura e vedo la porta aprirsi lentamente.

Davanti a me si presenta un uomo mai visto prima.

Ha i capelli mossi e di color castano scuro, gli occhi a mandorla e di colore nocciola.

È alto, tatuato e vestito interamente di nero.

L'espressione del suo viso è qualcosa di veramente spaventoso.

Mi rivolge uno sguardo così assassino che se potesse uccidermi solo con lo sguardo, lo farebbe.

Lo vedo che regge un vassoio d'argento con dei piatti sopra.
"Il capo mi ha dato l'ordine di portarti da mangiare" mi dice con voce fredda.
"C-chi s-sei?" chiedo con voce tremolante.
"Andrey Smirnov, il suo sicario" mi risponde, mentre appoggia il vassoio per terra.

"Mangia, al capo non piacerà sapere che riporto un vassoio intatto" continua a dirmi, prima di voltarsi e uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

My Dark Mafia Prince Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora