57." Mi hai, Isabella"

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<<Hai freddo?>> chiese, in un timbro di voce basso e pacato, mentre la sua mano le percorreva il braccio, la cui pelle era sommersa di piccoli brividi.

Lei, silenziosa da quando si erano rintanati nei sedili posteriori del grande fuoristrada, scosse lentamente la testa, prima di tornare ad appoggiare il capo sulla sua spalla e rannicchiarsi contro di lui, come se cercasse premura, protezione e tranquillità tra le sue braccia e nel suo petto, che l'avrebbe sempre accolta.

Un calore, spinto da un'emozione a cui lui non aveva ancora imparato a dare un nome, penetrò gli spifferi del suo cuore, portandolo a sollevarsi e rialzarsi lentamente, per poi riprendere la sua corsa veloce e furiosa.

Gli piaceva, ampiamente, sapere che in lui trovava la sua serenità, e la sicurezza. Amava sapere di poter essere per lei quel posto appartato e pacifico, in cui poteva annidarsi nei momenti di sconforto, tristezza e dolore.

Lo riempiva d'un emozione che mai aveva avvertito nei suoi quasi trent'anni di vita.

<<Vuoi tornare a casa?>> domandò, intrufolando le dita affusolate tra la chioma di capelli morbidi e profumati, e blandendole la cute e le ciocche setose, percependo quel profumo zuccherino sommergergli l'olfatto.

Quando lei sollevò la testa, e lo guardò con i suoi occhi verdi, lucidi e ancora gonfi, ogni sensazione di conforto, che aveva provato fino a quell'istante, scomparve alla vista del volto della sua dolce Isabella.

Quella rabbia, e quel veleno che aveva represso, ripresero a scorrere come sangue nelle sue vene, ribollendo e facendogli fremere il corpo.

Lo sentiva ancora nel suo cuore, il dolore che quei due occhi gli avevano provocato. Percepiva ancora quella sofferenza, quel tormento e quell'angoscia che gli aveva stretto i polmoni, facendogli mancare il fiato.

Quelle iridi limpide, se tristi e afflitte, avevano il potere di massacrarlo lentamente e di torturarlo pacatamente, facendogli incassare ogni contrazione e fitta di supplizio.

<<Non voglio tornare a casa>> mormorò, sottovoce, osservandolo minuziosamente, come se si aspettasse che lui, da un momento all'altro, potesse esplodere e dar sfogo alla sua rabbia.

Alla sua furia che continuava ad accumularsi, formando una grande colonna che procedeva verso il cielo e che, presto, avrebbe iniziato a tremare.

Ma non sarebbe crollato lì, davanti a lei, quando poteva ancora vedere le sue dita tremare, così come il suo labbro inferiore.

Si sarebbe contenuto, avrebbe asciugato ogni sua lacrima salata, che sembrava come il veleno sulla sua pelle, e avrebbe continuato ad assicurarla, confortarla e sostenerla.

Non avrebbe permesso alla sua rabbia fumante di riversarsi su di lei, e crearle maggiore sconforto.

<<Vuoi andare da qualche parte? Posso cercare qualche hotel, dove passare la notte>> pronunciò, spostando le dita sulla sua mascella e accarezzandole la forma del viso, dai lineamenti così delicati da sembrar esser stati disegnati da un petalo di rosa.

<<Tu vuoi andare?>> chiese, invece, passandogli le dita sullo stomaco, dove, sotto al tocco delicato, i suoi muscoli si contrassero.

Inclinando la testa di lato, e rilassando le spalle contro la portiera, su cui stava appoggiando la schiena, le afferrò il mento, tracciandole le labbra leggermente secche e pallide.

<<No, non voglio uscire da quest'auto>> disse sottovoce, prima di posarle un braccio sulle spalle, quando tornò ad appoggiarsi contro di lui.

Avrebbe dovuto mandare un messaggio al suo amico, probabilmente preoccupato, e avvertirlo che non sarebbe tornato a casa quella notte, ma quando fu sul punto di scostarla leggermente, per potersi sporgere e afferrare il suo telefono, posato sulla console, la sua voce bassa e gracile fermò ogni suo movimento.

Perso Senza Di TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora