4. "Furbetta"

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I suoi occhi lessero per la terza volta le righe dei requisiti del contratto per la nuova fusione ma la sua mente, quel mattino, non riusciva a registrare come al solito le parole che marchiavano quei fogli.

Una dote, da sempre un pregio, che possedeva e che negli anni aveva migliorato, era la capacità di memorizzare numeri, parole, oggetti e persino volti di persone a una velocità impressionante.

Eppure quel giorno, la concentrazione sembrava averlo abbandonato mentre il fastidio e il nervosismo non facevano altro che peggiorare il suo umore.

Sospirando, mise da parte i documenti che teneva tra le dita e si passò una mano sulla barba curata mentre con lo sguardo vagava sul suo ufficio all'ultimo piano dell'edificio che gli apparteneva.

I toni scuri dei mobili erano in perfetto contrasto con le pareti chiare; e l'arredamento elegante, sfarzoso e ricercato rendevano quella stanza il luogo perfetto dove passare intere ore immersi in fogli, contratti, riunioni e molte altre attività che riempivano le sue giornate già da alcuni anni.

Viveva per il suo lavoro e per la scarica d'adrenalina che provava al termine di nuovi traguardi, per il rispetto che le persone gli portavano e per il timore che provavano accanto a lui.

Ma negli ultimi giorni, il suo tanto amato impiego, si era trasformato in un incubo a occhi aperti e quello non solo per lui, ma anche per tutti i suoi dipendenti che nervosi e agitati correvano impazziti da una parte all'altra, eseguendo gli ordini del loro superiore.

Mancava poco all'imminente partenza per le terre colorate del Ghana, e quello non faceva altro che renderlo irrequieto.

Era timoroso di lasciare il suo lavoro nelle mani fidate di suo padre, e nonostante fosse a conoscenza della sua estrema intelligenza ed esperienza nel settore degli affari, non riusciva a calmare le acqua impetuose dentro di sé.

La porta del suo ufficio che si spalancava di scatto attirò la sua attenzione turbata, così alzando gli occhi scuri e severi verso chiunque fosse entrato nella stanza, in silenzio osservò la figura alta, snella e longinea della sua segretaria con alle spalle il suo amico, Nathan.

<<Signor Thompson, l'autista la sta attendendo all'uscita>> mormorò, la giovane e graziosa donna schiarendosi la voce e stringendosi al petto i plicò che teneva in mano prima di avvicinarsi alla scrivania del suo capo e posarli sulla superficie scura e liscia.

Jonathan, con il suo solito cipiglio e il suo sguardo impassibile e completamente vuoto, osservò la ragazza dedicargli un lieve sorriso prima di passarsi una mano sui pantaloni eleganti del tailleur e lasciare la stanza, accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi alti neri.

<<Cosa aspetti? La cena è alle sette e mezza>> mormorò Nathan, attirando la sua attenzione.

<<È veramente necessario?>> chiese, speranzoso di sentire un "no" da parte del suo amico che, per sua sfortuna, scosse la testa sbuffando e ruotando gli occhi esasperato.

<<Sul serio, Jonathan? Non possiamo più tornare indietro>> affermò infastidito, Nathan, infilandosi le mani in tasca e dondolandosi sui talloni.

Un silenzioso sospiro lasciò le labbra di Jonathan che alzandosi dalla sua poltrona comoda si lisciò il completo blu a tre pezzi prima di abbandonare la sua zona di comfort e attraversare l'intero piano sotto lo sguardo intimidito e imbarazzato dei suoi impiegati.

<< Ti seguirò al ristorante con la mia macchina. Devo andarmene via prima per passare del tempo con Danielle>> disse Nathan, osservando il suo amico, il cui pessimo umore induriva più del solito la sua espressione, attendere accanto a lui l'ascensore.

Perso Senza Di TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora