65."Spogliati per me"

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Appoggiandole la mano calda e grande sulla parte bassa della schiena, dove la sua pelle si ricoprì di brividi, la condusse verso l'orchestra infondo alla spaziosa ed elegante stanza.

Camminava accanto a lei, con la testa alta, lo sguardo duro e indecifrabile, e le labbra serrate, come se fosse arrabbiato e infastidito, e lei dovette obbligare i suoi occhi a concentrarsi su dove metteva i piedi, per evitare di inciampare sui suoi tacchi alti, e smettere di fissare l'uomo dall'espressione spaventosa.

<<Non sono in grado di ballare>> disse, nuovamente, consapevole degli occhi della famiglia della sua amica, fissi su di loro.

Poteva solo immaginare le mille domande che tartassavano le loro menti, e soprattutto quella della signora Stella che, Isabella era certa non l'avrebbe lasciata senza ottenere le risposte di cui necessitava.

Oltre ad averla messa in quella situazione, dove non sarebbe mai riuscita ad uscire dal terzo grado della madre della sua amica, Jonathan la stava per mettere in imbarazzo davanti a centinaia di persone.

Non sapeva ballare.

Non era una scusa, usata per evitarlo e stargli lontana.

Lei era davvero esageratamente negata nel ballo.

Non riusciva mai a comprendere la direzione in cui muoversi, e spostare i piedi, ed era certa che avrebbe finito per pestare le costose scarpe di Jonathan, fino a rovinargliele.

L'idea di farlo, per vendicarsi di lui, le balenò nella mente, ma fu immediatamente scacciato quando, di scatto, la spinse contro di lui fino a farle cadere alcuni ciuffi di capelli sul viso.

Sibilando al movimento improvviso, Isabella si ritrovò schiacciata contro il suo petto duro, e sodo, coperto dalla giacca elegante e morbida del completo su misura. Appoggiò una mano contro la sua spalla, tentando di tirarsi indietro abbastanza da poter respirare aria pulita, che non fosse intrisa del suo profumo maschile forte, inconfondibile, muschiato e virile.

<<Cerca di non prestarmi i piedi, tesoro>> lo sentì mormorare a bassa voce, mentre si chinava verso di lei per poterle parlare sull'orecchio.

Ignorando il fremito che le diede il suo timbro rauco e graffiante, e il nominoglio famigliare con cui la chiamò, Isabella sollevò il viso per guardarlo, incontrando i suoi occhi scuri concentrati solo su di lei, come se il resto della stanza non esistesse.

<<Lasciami andare, o giuro che le tue scarpe saranno il tuo ultimo pensiero>> mormorò lei, rafforzando la resistenza contro il suo petto, che non si mosse nemmeno di pochi centimetri.

Jonathan, che le passò il braccio attorno alla vita, impendendole quindi di muoversi ulteriormente, sollevò l'altra mano e, con le dita lunghe e gentili, le scostò alcuni ciuffi dal volto, infilandoglieli dietro l'orecchio.

I suoi polpastrelli ruvidi le sfiorarono gli zigomi, in una carezza appena percepita, e scivolarono sulla mascella, tracciandola con le nocche fino a raggiungere la curva del collo.

Il suo sguardo si scurì maggiormente, e la sua fronte si aggrottò un un cipiglio profondo, e quasi arrabbiato.

E quando quelle iridi color pece si posarono sulle labbra di Isabella, leggermente socchiuse, lei dovette prendere un respiro profondo per non avvicinarsi ancor di più a lui, e appoggiarsi al suo corpo solido.

Il suo orgoglio, le ricordò del silenzio che ottenne da lui negli ultimi giorni, e le fece voltare il viso di lato, impedendogli di toccarla ulteriormente e mettendo fine alle sue carezze delicate, per cui Isabella provova una grande ed instancabile fame.

Le avevano ricordato del tempo che passavano insieme solo una settimana prima, e di quanto, durante quelle giornate, le carezze e le attenzione di quell'uomo fossero frequenti.

Perso Senza Di TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora