29. "Lacrime e rabbia"

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"Ricordare, è il modo migliore per dimenticare"
S

igmund Freud


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Era seduta sul divano morbido e ricoperto dalla fodera a fiori viola e bianchi, mentre le sue mani, esili, piccole e strette attorno alle ginocchia, tremavano in modo insistente così come il resto del corpo.

Sentiva quegli occhi scuri e circondati da profonde rughe, dovute all'età, osservarla in modo attento e incuisitorio; ma il coraggio di sollevare il capo ed incrociare il suo sguardo, non l'aveva mai avuto.

Forse era la paura di scovare, in mezzo a quelle iridi scure, la delusione e la pietà che lei stessa provava per se stessa. Forse perché, nel profondo dell'anima di Isabella, lei non voleva vedere la realtà riflessa negli occhi della sua cara e vecchia signora Stewart. Perché lei, era l'unica amica che aveva, nonostante il grande divario d'età tra loro. Forse perché, quella signora, amante del gioco della tombola e dei giochi da tavolo in generale, era l'unica persona che aveva accanto.

E non importava che entrambe stessero sempre zitte e silenziose quando Isabella scappava dall'appartamento ad alcuni piani più sopra, e si rifugiava in quello accogliente, pieno di vita e tappezzato di cartoline e fotografie della signora Stewart.

Rimanevano in silenzio, Isabella con le mani che non smettevano mai di tremare, e la signora Stewart, seduta sul divano accanto, con il lavoro di lana in grembo e gli occhi scuri puntati sulla giovane ragazza.

A volte, invece, la signora Stewart, con un sospiro tremante e sofferente, si alzava dal comodo sofà e, con passo lento ma per niente traballante, si dirigeva verso una delle porte lungo il corridoio, per poi tornare nel piccolo soggiorno con un scatola di disinfettanti, che Isabella aveva imparato a riconoscere.

E quelle, erano le poche volte che Isabella si sentiva in dovere di parlare. Perché, mentre le dita grinzose della vecchia signora le disinfettavano il labbro spaccato o il taglio sulla fronte o qualsiasi altra ferita, lei, con la voce che tremava e gli occhi pieni di lacrime, farfugliava sempre la stessa identica scusa:

- Sono andata a sbattere -

E poi, dopo quell'enorme bugia a cui nessuna delle due aveva mai creduto, la signora Stewart, dopo aver riposto il disinfettante e il cotone, si avvicinava ad Isabella, finché il suo solito profumo di lavanda le riempiva le narici, e si chinava lentamente verso di lei, mentre le sue mani, sempre dalle unghie ben curate e tinte di rosso, le alzavano le maniche delle magliette grandi e larghe che Isabella sempre indossava.

E poi entrambe, trattenevano il fiato osservando i lividi scuri sulle braccia troppo magre e sui polsi sottili.

E poi Isabella scoppiava a piangere perché era troppo debole per non farlo.

Perché si sentiva morire ogni giorno sempre di più. Ora dopo ora, sentiva che un pezzo di lei stessa se ne andava, lasciandola sempre più priva d'ossigeno.
Si trovava in una gabbia da cui non sapeva come uscire. Intrappolata tra quelle sbarre così strette da impedire persino all'aria di entrare.

Viveva un incubo dove era incapace di risvegliarsi.

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Passandosi le mani sul collo, respirò profondamente mentre i polmoni si stringevano in cerca d'aria. Si chinò in avanti, posando i palmi sulle piastrelle fredde e bagnate del box doccia, e socchiuse le labbra d'un tratto secche.

Perso Senza Di TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora