59."Chiedi scusa, Thompson"

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La chiamata si chiuse e per la prima volta fu suo zio a metterle fine, lasciandole un sapore amaro in bocca ed un nuovo peso sulle spalle.

Guardò lo schermo spento del suo cellulare, ed il suo cuore battè velocemente per la nuova paura e preoccupazione che le si posò sul petto.

Non avrebbe mai pensato che suo zio potesse scoprirlo in quel modo.

Voleva tornare in America, vedere come si sarebbe evoluta la relazione con Jonathan e, se la situazione tra loro si fosse trasformata in qualcosa di serio, gli avrebbe parlato.

Sapere che ne fosse venuto a conoscenza, mentre lei si trovava a migliaia di chilometri di distanza, le procurava una stretta dolorosa al petto. La sua mente subito volò ai suoi genitori, facendole mancare il fiato nei polmoni.

Non voleva nemmeno pensare cosa sarebbe successo loro se avessero scorperto che, la loro unica figlia, aveva conosciuto un nuovo uomo...dopo quello che era accaduto.

Suo padre avrebbe preso il primo aereo per il Ghana, e avrebbe minacciato di morte ogni singolo ragazzo che la circondava e, sua madre, si sarebbe crogiolata nella paura di non poter proteggere la propria figlia, e di commettere lo stesso errore di anni fa.

Respirando profondamente, guardò il numero di suo zio, tentata di richiamarlo e di assicurarlo finché non sarebbe stato tranquillo.

Cosa gli avrebbe detto?

Cosa avrebbe potuto dirgli, per tranquillizzarlo? Per convincerlo che, questa volta, era diverso?

Che Jonathan era diverso? Che non aveva mai provato a farle del male?

Che non la picchiava?

Qualsiasi parola non sarebbe bastata per calmarlo e, nonostante lei lo avesse pregato di non riferire niente ai suoi genitori, che avrebbero perso la testa, la preoccupazione e il timore che potessero scoprirlo, la torturavano.

Aveva venti quattro anni, e se i suoi errori passati non avessero influenzato in modo così viscerale la sua vita, e di tutti coloro che la circondavano, non avrebbe permesso ai suoi genitori e a suo zio di intromettersi nella sua vita privata. Ma in seguito al dolore che aveva causato loro, ai sensi di colpa e la sconfitta che hanno provato, dopo non esser riusciti a proteggerla e aiutarla ad uscire da una relazione violenta e tossica, non poteva impedire a nessuno di loro di non preoccuparsi.

Non aveva mai avuto questo tipo di problema, negli ultimi anni, in quanto aveva definitivamente chiuso con qualsiasi essere umano del sesso opposto e, nonostante sua madre le avesse più volte ripetuto che sarebbe giunto il giorno in cui, anche lei, avrebbe trovato qualcuno con cui condividere la sua vita e a cui avrebbe dato il suo cuore, Isabella non ne aveva mai voluto sapere.

Era certa che non sarebbe mai riuscita a tornare fidarsi degli uomini, e sembrava che a suo padre questo non desse fastidio.

Se fosse stato per lui, e per la sua mania di controllo e protezione nei confronti della sua unica bambina, Isabella avrebbe potuto tranquillamente vivere con loro fino ai cinquant'anni.

Avrebbe voluto parlare di Jonathan ai suoi genitori, ma solo fino a pochi giorni prima niente tra loro due era qualcosa che si poteva definire una relazione seria, e non voleva causare preoccupazioni inutili a nessuno dei due.

Bastavano le pastiglie per il sonno che sua madre continuava a prendere regolarmente, e le diverse sedute ai gruppi di alcolisti anonimi a cui suo padre partecipava quasi ogni mese, in modo da non cedere mai più alla sua più grande debolezza e rovina.

Rabbrividendo, quando un brivido gelido le sfiorò la schiena, sollevò il volto incrociando, dall'altra parte del giardino, il suo sguardo attento.

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