Capitolo 5 - You can look back, but don't stare (Pt. 1)

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"Non si chiede il perché quando si parla di amore"[1]


Andarsene da Venezia, e soprattutto allontanarsi dall'appartamento, gli stava facendo bene. Aveva bisogno di cambiare aria, cercare di distrarsi il più possibile, mettere una certa distanza tra sé e certi pensieri che ormai lo seguivano da troppi giorni.

Il centro di Ferrara era vivo anche quel pomeriggio, nonostante il rigido freddo invernale e il tempo che minacciava pioggia da un momento all'altro. Il chiacchiericcio e il caldo che si respirava dentro al bar in cui si trovava Pietro, poi, contrastava nettamente con il senso di vuoto e di desolazione che vigeva ormai a casa sua, a Venezia.

Erano passati dieci giorni esatti da quando Alessio si era chiuso alle spalle la porta dell'appartamento – di quello che era stato il loro appartamento, e che d'ora in avanti sarebbe stato solo di Pietro -, lasciando la sua vecchia stanza vuota, spoglia delle sue cose.

Erano dieci giorni che Pietro tornava con il pensiero sempre alla stessa immagine, l'immagine di Alessio che se ne andava tirandosi dietro due valigie ricolme e pesanti, e trascinandosi dietro di sé anche l'ultima ventata di vitalità rimanente in quella casa.

Ed erano dieci giorni, inevitabilmente, che Pietro si sentiva perso. Completamente disorientato, un dolore tenue ma costante che non se ne andava, che cercava di ignorare ma che restava sempre lì, a fargli sentire il respiro pesante e un peso nel petto che cominciava a mal sopportare davvero.

Era come se qualcuno gli avesse strappato un pezzo di carne, lasciandolo incompleto e incapace di continuare la solita vita di sempre.

Prima o poi ci avrebbe fatto l'abitudine – d'altro canto aveva un talento innato per crogiolarsi nel dolore e aspettare che questo diventasse una normale routine tipica della sua vita-, ne era sicuro. Per il momento, però, considerava quegli ultimi dieci giorni come tra i peggiori mai passati negli ultimi anni.

-Allora, come ti sembra vivere in una casa tutta per te?-.

Pietro sbuffò debolmente, non curandosi nemmeno di alzare lo sguardo verso il suo interlocutore. Si limitò a buttar giù l'ennesimo sorso di prosecco, tanto per poter ritardare il momento in cui avrebbe dovuto rispondere.

Quando finì di bere poggiò nuovamente il bicchiere sul tavolo, e lanciò un'occhiata veloce nella direzione di colui che gli era seduto di fronte e che era in attesa di una risposta.

-Alla grande, direi, ho preso in considerazione l'idea di buttarmi giù dal balcone- ironizzò Pietro, rivolgendogli un finto ghigno – Anzi, no, prossimamente mi butterò sotto un treno. Almeno potrei vantarmi di aver fatto la stessa gloriosa fine di Anna Karenina -.

-Davvero la sua morte è stata gloriosa?-.

-Se reputi glorioso suicidarsi per un amore che non ha futuro alcuno e perché la società non ti accetterà mai, allora sì, lo è decisamente molto-.

-Ho sempre detto che dovresti smetterla di leggere certi libri e fare l'intellettualoide. Il tempo dei poeti maledetti e dei bohemien è finito da un po'-.

-Sono sempre più convinto di essere nato nell'epoca sbagliata- replicò Pietro – Cercherò di farmene una ragione: non tutti hanno la fortuna di nascere nel posto giusto al momento giusto-.

Risero entrambi, piano, dopo quell'insolito scambio di battute. Pietro rimase ad osservare per un po' Alberto: era da un anno circa che non lo vedeva, e anche se impercettibilmente lo vedeva cambiato, allo stesso tempo gli sembrava sempre lo stesso. Era sempre alto e sottile, con quel viso pallido ed allungato incorniciato dai capelli scuri più lunghi del solito. Forse lo vedeva più sorridente: la vita doveva andargli bene, tra la sua nuova ragazza e l'imminente laurea.

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