Capitolo 17 - The blackest days (Pt. 3)

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L'odore pungente di disinfettante e l'aspetto asettico e privo di qualsiasi calore tipico degli ospedali le avevano sempre messo ansia. Era uno di quei posti che legava irrimediabilmente a paure e pensieri per niente positivi, che le incutevano timore ogni volta che vi metteva piede, anche per semplici visite di routine. In quel momento, invece, la paura aveva lasciato posto ad un silenzio assordante, fatto di insicurezza e rassegnazione.

L'idroambulanza non ci aveva impiegato poi molto ad arrivare, dopo che Giovanni aveva fatto quella telefonata. Caterina vi era stata caricata su, e Giovanni l'aveva seguita, cercando di spiegare balbettante all'infermiere cos'era successo di preciso. Quando finalmente erano arrivati all'ospedale, in breve tempo, Caterina aveva tirato almeno un sospiro di sollievo: forse c'era ancora qualche speranza di non mandare tutto all'aria.

Aveva passato minuti interminabili su quello stesso lettino d'ospedale dove si trovava in quel momento da un tempo che le pareva infinito, in attesa di un dottore che la potesse visitare. Aveva raccolto tutte le forze possibili per prendere il proprio cellulare e chiamare Giulia – non aveva ancora il coraggio e la lucidità necessari per avvisare Nicola e spiegargli cosa fosse accaduto-, e pregarla di raggiungerla lì, il prima possibile.

Quando Giulia era arrivata, Caterina era appena stata raggiunta dal ginecologo del pronto soccorso. Aveva atteso e temuto il momento dell'ecografia allo stesso tempo, con il cuore pieno di paura e di speranza di poter sentirsi dire che, nonostante tutto, non era accaduto nulla di grave.

Giovanni se ne era uscito dalla stanza, e lei aveva spiegato al medico i sintomi che aveva avuto sin da quella mattina con voce malferma, a tratti tremante.

Alla fine, dopo più di mezz'ora, era stata lasciata nuovamente sola in quella stanza a visita terminata, con il responso di un lieve distacco della placenta, causa dei dolori alla schiena e delle perdite di sangue.

Se ne era rimasta in silenzio per diversi minuti, con Giulia accanto al letto come in attesa. Caterina non sapeva se avesse incrociato Giovanni nell'entrare in ospedale – avrebbe scoperto solo dopo, leggendo un suo messaggio, che era dovuto rientrare subito all'appartamento della sua ragazza e che avrebbe cercato di farle visita in ospedale prima di partire-, e non aveva nemmeno la forza per chiederglielo. Forse non gliene importava nemmeno, le parole del dottore che le ronzavano in testa senza lasciarle scampo.

Il ginecologo non era stato troppo pessimista: aveva riscontrato un distacco che si sarebbe riassorbito in diverso tempo, con tanto riposo e iniezioni di progesterone. Erano cose che, in gravidanza, potevano capitare a chiunque, le aveva detto quasi per rassicurarla.

Caterina si sentiva tremendamente preoccupata lo stesso. Si sentiva in colpa per non aver sospettato nulla sin da quella mattina, per non aver declinato l'invito di Giovanni ed essersi invece recata all'ospedale più vicino.

Venne distratta solo dallo squillo ininterrotto di un cellulare, il suo. Giulia glielo aveva avvicinato, e non appena Caterina lesse sul display il nome di Nicola, si sentì raggelare come non mai.

-Non sa che sei qui, vero?- le chiese Giulia, non appena la vide esitante nel rispondere alla chiamata.

Caterina scosse il volto, lentamente. Certo che Nicola non sapeva, e non aveva nemmeno idea di come avrebbe potuto dirglielo. Probabilmente la stava chiamando per sapere come mai non fosse ancora rientrata per pranzo, e Caterina poteva solo immaginare come avrebbe accolto la notizia della minaccia d'aborto che aveva appena avuto.

Si sarebbe precipitato lì in meno di cinque minuti, poco lucidamente e preoccupato oltre ogni limite.

-Non vuoi rispondere?- insistette Giulia, che però doveva aver già intuito la risposta.

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