49. Strani incidenti pt.1

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«Sì zia, certo che mangio»
«Con David le cose come vanno?»
«Tutto a gonfie vele»
«Tenete ancora nascosta la vostra relazione?»
«Sì»
È da circa mezz'ora che l'interrogatorio di mia zia va avanti. Un giorno a non sentirci e si comporta come se fosse passato un mese, o anche più.

«E con la madre? Quella donna odiosa»
Beh, su questo non posso darle torto, ma non ho più tempo per continuare la conversazione.
«Sono in ritardo per il lavoro, ci sentiamo più tardi. Va bene?»
«D'accordo, ma non dimenticarlo come hai fatto ieri» mi rimprovera.
«Mai più» le prometto. Anche perché non ho alcuna voglia di sorbirmi un secondo interrogatorio.
«Dai un bacio a zio» la saluto e riattacco.

Riepilogo tutte le cose che ho messo in borsa e sono pronta per uscire di casa. Questa mattina Leyla non ci sarà, è andata in azienda prima del solito: David avrà un'altra delle sue giornate pienissime, di consegue anche lei. Dato che in realtà non sono affatto in ritardo, come, invece, ho fatto credere a mia zia, decido di andare al lavoro a piedi, approfittando delle belle giornate di metà marzo.

La passeggiata prima del lavoro mi mette di buon umore, che però si spegne non appena entro in ufficio. Leyla non c'è, ma al posto suo mi attende un piccolo quadratino di carta ripiegato su sé stesso. Anche ieri, al mio ritorno in azienda dopo l'incendio, ne ho trovato uno. Poche parole scritte al computer che dicevano:

Abbi più cura di te. Non vogliamo assolutamente perderti.

Mi si gela ancora il sangue a pensare a quelle parole fredde, che adesso giacciono dentro al cassetto della scrivania, insieme agli altri bigliettini. Prima che possa entrare qualcuno e vedere quello bene in vista, vado subito e prenderlo. Lo apro e leggo:

Qualcuno vuole farti male. Stai attenta a chi ti sta intorno.

Che significa? Solo loro mi stanno rendendo la vita un inferno, chi altro potrebbe essere così pazzo da volermi morta? E a quale motivo? Pensandoci bene, potrebbe anche essere un assurdo tentativo per distrarci. Scuoto la testa, esasperata da tutta questa situazione.

Al più presto devo trovare il modo di parlare con David e dirgli che i Lancaster riescono ad entrare nell'azienda e a manomettere anche le telecamere. L'unico motivo per cui non l'ho ancora fatto è perché non voglio dargli ulteriori problemi a cui pensare. Volevo, e speravo, di riuscire a risolvere io questo problema, ma non so nemmeno da dove iniziare.

Come sempre, alzo lo sguardo per vedere se attorno a me c'è un viso familiare. Un viso che c'è ogni volta che appare un bigliettino, ma rimango delusa. Non mi accorgo di nessuno in particolare. Sono tutti impegnati a svolgere i loro ruoli, ignari di tutto quello che succede qua dentro. Potrebbe essere chiunque, brancolo completamente nel buio.

Apro il cassetto della scrivania e faccio cadere dentro il pezzo di carta. Li contemplo tutti per qualche istante, sparsi a caso in vari punti del cassetto. Non capisco il motivo di questi bigliettini. Perché? Che senso hanno, oltre che mettermi tanta ansia? Li afferro tutti in un unico pugno e li ficco dentro alla borsa. Tenerli qui non è una buona idea. Leyla potrebbe vederli mente apre il cassetto per cercare qualcosa, così come chiunque altro entri possa entrare per lo stesso motivo.

Gli inquietanti pezzetti di carta scompaiono giusto in tempo, Leyla entra in ufficio, indaffarata e stressata.
«Ciao, amica» mi saluta frettolosamente.
«Ciao, Leyla» ricambio, mentre la osservo gettare dei documenti sulla scrivania e buttarsi in mezzo ad una decina di cartelle, cercando non so cosa.

«Posso aiutarti in qualche modo?» chiedo, vedendola così indaffarata. Mi rivolge lo sguardo per un attimo e pensa.
«In effetti sì» mi passa metà delle cartelle che stava ispezionando lei. «Devi trovare tutti i documenti che risalgono al contratto firmato tra la Carter Enterprises e la Chicago Unlimited. Risalgono ad un paio di anni fa circa»
Annuisco e mi rimbocco le maniche. Non è di certo il lavoro più divertente del mondo, ma almeno riesco a tenere la mente lontana da certi pensieri.

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