4. Una macchina

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Canzone per il capitolo

I was so sure - Former Vandal

E così il mio nome era Hanna. Suonava abbastanza bene Hanna Reyes.

Mi sentivo come avere davanti un enorme puzzle, uno di quelli complicati con più di 1000 pezzi, tutti sparpagliati davanti a me, senza sapere però come cominciare.
Il mio obbiettivo, se non l'unica cosa che potevo fare era metterli tutti insieme, e capire. Avevo tanto da capire su di me e su tutto quello che in quel momento mi circondava.
Ero così confusa.

Hanna Reyes

Ero appena riuscita a unire due pezzi del mio puzzle, ma era solo l'inizio, e sapevo che sarebbe stata dura.

Era un pomeriggio grigio quello, stavo appena fuori casa a guardare le nuvole seduta sul suolo. Un improvviso tuono mi assordò, le nuvole diventavano sempre più nere e coprivano l'intero azzurro del cielo. Una goccia d'acqua proveniente dall'alto mi rigò la guancia. A quella ne seguirono altre che caddero lentamente, era piacevole tutto sommato, ma una dopo l'altra le gocce aumentarono e la sensazione di piacere passò. La pioggia stava aumentando e molte delle gocce mi colpirono proprio in corrispondenza delle miei ferite ancora non completamente rimarginate e una sensazione di bruciore mi attraversò. Quel dolore si ripresentò, non era forte come l'ultima volta, ma abbastanza doloroso da costringermi ad andare via da lì, e ripararmi dalla pericolosa pioggia.

Mi alzai di colpo e corsi dolorante vero l'interno dell'abitazione che avevo alle spalle. Esausta mi sedetti a terra per riprendere le forze inzuppando il pavimento di legno.

Beatrice era in cucina su una delle sedie del tavolo su cui erano posati numerosi libri, tutti sparpagliati, alcuni erano molto grandi dovevano avere tantissime pagine!
Era intenta a leggere e solo quando si accorse di me mi domandò preoccupata - Ehi che hai?

-Ehm, ha cominciato a piovere e ho risentito le scariche, ora sto bene- la tranquillizzai.

Tirò un sospiro di sollievo e mi invitò a sedermi accanto a lei.
-Ho tirato fuori queste enciclopedie e riviste dallo scantinato, erano di mia madre, e ho trovato qualcosa che può interessarci- disse avvicinandomi uno di quei libri.

Il titolo era: "L'ultima frontiera del progresso"

Il testo parlava della così detta robotica. Ormai non era una novità, numerose industrie mandavano avanti la loro produzione mediante l'ausilio di macchine, ma un paragrafo in particolare catturò la mia attenzione. Esso parlava della costruzione dei robot, dispositivi meccanici in grado eguagliare gli esseri umani in tutto e per tutto, o dei cyborg, creature metà uomo metà macchina.
Tutto ciò rappresentava per larga parte delle supposizioni, delle possibilità che si potranno concretizzare soltanto in un futuro prossimo lontano dal nostro presente, molto più vicino ad un racconto di fantascienza, ma su cui si sono avviati già studi e sperimentazioni. Al testo erano accompagnate varie immagini di progetti e figure robotiche.

Quelle strane parole, quei termini scientifici mai sentiti prima, e tutte quelle immagini, tutto quel metallo, tutto quello scorreva nella mia testa, confondendomi ancora di più.

-Questo è tutto quello che ho trovato- mi disse Bea. E dalla sua espressione, che vedevo raramente, capii che la situazione era seria.
-Ma... quindi io...non capisco...- dissi in stato confusionale a causa di tutte quelle informazioni.

Beatrice si alzò prese qualcosa dalla credenza e si risedette.
-Guarda.
Detto ciò avvicinò uno spillo al suo indice sinistro e si punse, da esso usci una minuscola gocciolina di sangue.
-Così forse potrai capire meglio, dammi il tuo dito.
La accontentai e con lo spillo pizzicò il mio indice come fece prima con se stessa, ma dopo questo niente, niente sangue.
Non dissi niente mi limitai a guardarmi il dito aspettando vanamente una reazione.

Perché non succedeva la stessa cosa? Perché a lei sì e a me no?

-Hanna... ci ho pensato tanto, ho fatto tante ricerche e non c'è altra spiegazione. Il metallo sotto la tua pelle, l'assenza di sangue, la scossa a contatto con l'acqua... forse dobbiamo prendere in considerazione quanto scritto qui- disse Bea posando la mano su uno dei libri.
Lo sguardo mi cadde su una delle tante immagini stampate, tutti quei meccanismi, quei motori.

-Io... sono una macchina?- chiesi confusa.

-Non dire macchina, suona dispregiativo, a me non importa, qualsiasi cosa tu abbia dentro, e qualsiasi sia il modo mediante cui funzioni, a me non importa. Sei un robot, un... come si dice... un cy-cyborg, una persona, un'animale, una pianta... che differenza c'è? Sei qui, parli, mi capisci, cammini, re..respiri!!! Guarda il tuo petto fa su e giù come il mio! Ho visto il tuo volto terrorizzato il giorno in cui ti ho portata qui, e non c'era niente di più umano nei tuoi occhi- non sapevo che pensare, ero qualcosa di indefinito, ma la mia vera paura era sapere di essere diversa, non ero come Beatrice, ero qualcos'altro, e questa differenza mi turbava profondamente.

A lei non interessava se ero diversa, non aveva timore. Appunto per questo era straordinaria, e su questo non mi ero mai sbagliata.

Poi continuò a parlare -Ormai fai parte della famiglia, Hanna, puoi essere tutto quello che vuoi, io lo accetto.

Lei mi accettava.
Nonostante le pericolose diversità, lei mi reputava come lei, alla sua stessa altezza, una sua pari.

Lei mi accettava.
Ma io, non ancora.

Ma se a lei andava bene, allora me lo sarei fatto andare bene anch'io.

Con un cuore d'acciaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora