Ambasciator non porta pena

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Un mese. Era passato esattamente un mese d quando Lord Voldemort aveva capito di essere rimasto solo.

L'ultimo giorno di Aprile si stava consumando e con esso le alternative del Signore Oscuro: erano trascorse poco più di sei settimane da quando la Battaglia di Manchester era accaduta e i suoi seguaci erano morti, perfino Lucius e i pochi sopravvissuti non c'erano più: morti in qualche missione di cui ora nemmeno si ricordava lo scopo.

Eppure Lord Voldemort non pensava a questo, a tormentare i suoi pensieri erano gli Horcrux: la sua anima si stava indebolendo e tutto ciò che lo teneva in vita era la sua fedele Nagini. Il lavoro di tutti quegli anni era andato perduto: l'anello, il diario, il diadema, la coppa e il medaglione, tutti distrutti.

Nonostante tutto, però, Riddle si sentiva più potente che mai. La Bacchetta di Sambuco gli trasmetteva molta energia e magia, inoltre non era l'unico ad aver perso molto: anche il suo nemico era solo e ciò era un vantaggio che il Signore Oscuro non poteva permettersi di sprecare.

L'unica persona su cui lui stesso poteva contare era quel figlio rinnegato, quell'arma forgiata troppo vulnerabile e instabile per usarla, Deneb. Sarebbe potuto morire affogato nella biblioteca della Villa, ma era uscito allo scoperto ed era stato inappellabilmente leale: aveva messo fuori gioco moltissimi suoi nemici, tra cui quello psicopatico di Silente, seconda minaccia dopo Potter.

Detestava ammetterlo, ma Deneb aveva fatto un eccellente lavoro nelle missioni di spionaggio: molte informazioni gli erano giunte grazie al ragazzo e senza le quali avrebbe perso molti uomini invano. Dunque gli sembrava quasi doveroso, nonostante fosse troppo orgoglioso per esserne pienamente cosciente, ordinare, o supplicar aiuto che a dir si voglia, al figlio per un ultimo compito.

Era pronto, erano pronti entrambi, Lord Voldemort lo sapeva: la connessione con il ragazzo era troppo potente e come da profezia nessuno dei due poteva vivere se l'altro sopravviveva; affrettar il destino non era mai una scelta saggia, ma in quel caso era più che necessario e oramai Riddle continuava a ripetersi che sarebbe andata a finire così in ogni caso.

«Mi avevi fatto chiamare padre?»

Lord Voldemort posò i suoi occhi iniettati di sangue sulla carne della sua carne, si prese un'ultima manciata di secondi e disse: «Deneb sei stato fedele, a tal punto che dei miei mille e più seguaci rimani solo tu»

«Mi lusinghi, padre» rispose cauto, Voldemort lo dedusse dal leggero passo in avanti che il ragazzo fece «Come posso servirti?»

«Il destino deve essere compiuto, non posso più attendere, domani notte»

«E' pericoloso giocare con i fili del fato, padre» lo schernì Deneb «potrebbe ritorcersi contro di colui che crede di essere più potente della Morte»

Lord Voldemort allargò un sorriso folle: «Devo ristabilire il mio dominio!» tuonò «I maghi mi hanno dimenticato, i sangue sporco non tremano più dinnanzi al mio nome, l'unico modo per inaugurare l'età dorata è uccidere il nemico e dovrò essere io a farlo, domani notte!»

Deneb sospirò: «E come posso esserti utile?»

«Dovrai far recapitare un messaggio»

«A chi?» chiese spontaneo.

«A Harry Potter» quel nome risuonò come un sibilo nella Sala del Trono un tempo brulicante di Mangiamorte terrorizzati.

«E cosa devo dire a Harry Potter?»

«Fagli sapere che lo affronterò, domani al tramonto sul suolo di Hogwarts» sorrise compiaciuto.

«Come volete padre» fece per voltarsi.

Harry Potter e l'Intreccio del DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora