Le Lacrime Di Ace

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Emy POV.

Un calore strano alla bocca, mi risvegliò dolcemente dal mio sonno.
Percepivo un tocco leggero, quasi inesistente, eppure era lì: riuscivo a sentirlo.
Lo seguiva un profumo inebriante, che mi fece provare una sensazione di fervore.
Da dove proveniva?
Sentivo anche qualcosa di sottile che mi accarezzava la guancia destra, sembravano... capelli.
Un respiro caldo mi avvolgeva e mi scaldava.
Sembrava che il freddo, che avevo provato fino a un attimo prima, e che aveva iniziato a disturbarmi, fosse passato in un millesimo di secondo.
Aprii lentamente gli occhi e li spalancai, non appena realizzai chi avevo davanti: Ace!
Era chino su di me.
Che stava facendo? Voleva farmi uno scherzo? No...
"Ace mi sta... baciando?", Pensai, sentendo il corpo irrigidirsi.
Ace mi stava baciando per la seconda volta, e senza il mio permesso.
Dovevo spingerlo via di nuovo? Usare il mio potere per togliergli le forze attraverso le labbra?
Non sapevo, se fossi stata in grado di concentrare il potere del frutto in quel punto.
Mille pensieri, mille idee mi vennero in mente per scansarlo da me, ma alla fine non feci nulla.
Aveva gli occhi chiusi, stava assaporando anche lui il calore che le mie labbra emanavano, e il mio cuore cominciò a battere più forte.
Restammo così per non so quanto tempo, quando lo sentii staccare le labbra e poggiare la fronte sulla mia, sempre tenendo gli occhi chiusi.
Non volevo che capisse che ero sveglia, quindi richiusi immediatamente gli occhi fingendo di dormire: restare immobile fu davvero difficile, in quel momento.
Soprattutto quando il corpo faceva di tutto per muoversi, per poterlo finalmente toccare.
Volevo accarezzare i suoi capelli, le sue guance, e solo il pensiero mi fece provare un calore indecifrabile nel basso ventre.
Che mi stava accadendo?
Ma soprattutto, che era successo a Ace tutto d'un tratto?
Pensavo mi odiasse, ma ora era in camera mia a baciarmi, sfruttando il fatto che fossi incosciente.
Lo sentii sollevarsi piano dal mio viso e anche i suoi capelli, che sapevano di foresta, mi stavano lasciando: non potevo permetterlo, ma non riuscii a muovere un muscolo.
Continuai a tenere gli occhi chiusi, fino a quando non lo sentii uscire e chiudere la finestra.
Non appena fui sola, mi misi seduta di scatto sul letto, e cominciai a respirare pesantemente.
Portai una mano sul petto, sembrava che il cuore volesse uscire, da quanto batteva forte.
Cos'era stato? Perché Ace aveva fatto una cosa del genere?
Presi la testa tra le mani mentre cercavo di ragionarci su, ma la verità era che quel bacio mi aveva sconvolta mandandomi in tilt il cervello.
Non avevamo fatto altro che litigare per tutto il tempo, perfino il primo giorno che ci eravamo conosciuti, non ce lo eravamo risparmiati.
Mi infastidiva il suo modo di fare, ogni volta che lo vedevo volevo picchiarlo anche se non apriva bocca... ma allora... che cos'era questa sensazione, che mi faceva girare la testa?
Perché a un tratto ho desiderato soltanto che continuasse a baciarmi?
Era forse questo, il motivo per cui Dadan aveva deciso di farmi cambiare stanza?
Era questo, ciò di cui aveva timore?
Quando non ce la feci più, mi alzai dal letto e uscii dalla mia stanza.
Dovevo parlare con Ace prima che tornasse a dormire: non potevo aspettare.
Dovevo sapere il motivo del suo gesto, perciò mi affrettai a raggiungerlo.
Salii le scale e mi precipitai nella stanza dei ragazzi, ma quando aprii la porta lui non c'era.
Che non fosse ancora tornato?
Erano passati diversi minuti da quando era andato via, eppure...
«Che ci fai qui?», Mi chiese Ace sbucando improvvisamente dietro di me.
Mi girai di scatto pronta a urlare dallo spavento, ma lui mi bloccò la bocca con la mano e mi spinse indietro, facendomi sbattere delicatamente la schiena sulla parete legnosa.
«Non urlare», bisbigliò serio «Vuoi svegliare tutti?».
Provai a parlare, ma la sua mano mi teneva ancora la bocca tappata.
Restammo per un tempo interminabile a fissarci.
Potevo sentire la leggera pressione della sua mano sulle mie labbra, il tremore che aveva cominciato a pervaderlo... o forse ero io quella che tremava?
«Senti, io...», Mormorò abbassando il capo, facendosi prendere da un improvviso imbarazzo che gli colorò le guance «Eri sveglia, poco fa?».
Lo vidi alzare lo sguardo per incrociare il mio, aspettando con ansia una mia risposta, mentre la mia mente vagò indietro fino a qualche minuto prima, e ripensò intensamente a quel bacio inaspettato che mi fece venire uno strano formicolio alle gambe, e il cuore cominciò ad accelerare di nuovo.
«Allora?», Mi chiese impaziente.
Fui io questa volta ad abbassare lo sguardo imbarazzata, per poi annuire leggermente con il capo.
Lo sentii sospirare piano, decidendo poi di lasciarmi andare: anche lui aveva di nuovo abbassato lo sguardo.
Restammo in silenzio per non so quanto tempo, finché non mi decisi a parlare.
«Perché lo hai fatto?», Gli chiesi a bassa voce.
«Non qui. Andiamo fuori», mormorò lui, voltandosi senza incrociare il mio sguardo.
Lo seguii per un po', finché non decisi di fermarmi in mezzo alla radura.
Non ero lì per fare una passeggiata al chiaro di luna, e poi mi ero stancata di camminare.
L'unica cosa che volevo erano dei chiarimenti, e li volevo adesso.
«Stai giocando con me, vero?», Gli chiesi guardando per terra, stringendo i pugni.
«Che vuoi dire?», Mi chiese lui voltandosi per osservarmi, ma i nostri sguardi non si incrociarono.
«Quei baci... erano solo un gioco per te, ammettilo».
«Perché lo pensi?», Mi chiese lui con una tranquillità che mi spiazzò.
«Perché non ha alcun senso... quello che sta accadendo tra noi», dissi incrociando finalmente il suo sguardo «Lo hai visto anche tu, che passiamo tutto il tempo a litigare. Non ci sopportiamo, eppure... mi hai già rubato due baci».
«Ti dà fastidio?», Mi chiese curioso, spostando lo sguardo in alto per osservare le stelle, con le mani dentro le tasche dei suoi bermuda verde militare.
"Fastidio? Certo che mi dava fastidio! Mi sento usata e presa in giro", pensai irritata.
«Non è questa la ragione. Io voglio solo sapere perché», tagliai corto.
«Se non vuoi che lo faccia, allora me ne resterò al mio posto», tagliò corto lui, continuando a osservare il cielo stellato sopra di noi.
Restai in silenzio, mentre una folata di vento freddo mi fece venire la pelle d'oca.
Portai le mani sulle braccia per cercare un po' di calore e, prima che me ne accorgessi, sentii avvolgere il mio corpo in un abbraccio tanto caldo quanto delicato.
«Che fai?», Gli chiesi cercando di liberarmi dalla sua presa, ma lui poggiò la sua testa sulla mia spalla, tenendomi più stretta a sé.
«Ti prego... restiamo così», mormorò Ace.
Quelle parole mi bloccarono.
«Si può sapere che ti prende?», Chiesi confusa.
«Sono io che dovrei chiedertelo», ammise lui.
«Eh?».
«Sei sempre pallida, e in questi giorni ti rifiuti spesso di mangiare. Sembri un fantasma».
Si stava davvero preoccupando per me?
Avrei voluto chiederglielo, ma non volevo rovinare il momento, perciò restai in silenzio ad assaporare quell'abbraccio così caldo e tenero.
«Anzi, più che un fantasma direi che sei diventata più simile a un mostro».
«Cosa?», Chiesi accigliandomi, mentre lui mi teneva ancora stretta.
«Da quando hai cominciato a ignorarmi, sei diventata un mostriciattolo», ammise lui serio.
Sembrava che questo lo facesse soffrire.
«La vuoi smettere di insultarmi?», Chiesi dandogli un pugno sulla testa, che però non lo fece muovere di un centimetro.
«Te lo meriti, dopo tutti i soprannomi che mi hai affibbiato. Ora è il mio turno», brontolò lui.
«Da quel che ricordo mi chiami "cosina" dal primo giorno che ci siamo conosciuti. Penso che possa bastare, no?».
«Tu mi chiami faccia da Koala e lentigginoso. Cosina almeno non è un insulto».
«Ma io lo dico perché scherzo. Tu invece, mi sembri anche troppo serio».
«Ecco, vedi? Vuoi sempre avere ragione tu. Sei un'egoista».
«Mi spieghi perché mi hai abbracciata, se il tuo intento era litigare ancora con me?».
«Perché mi piace quando litighiamo», ammise lui.
«Tu sei matto», borbottai.
Restammo in silenzio ancora, continuando a sentire i nostri respiri che si posavano sulle nostre spalle, i nostri cuori che battevano all'unisono, seguiti dal calore dei nostri corpi, che mi dava l'impressione che si stessero fondendo perfettamente.
«Non avevo mai abbracciato nessuno», ammise improvvisamente Ace, facendomi tornare alla realtà.
«Mai?», Ripetei incredula.
«E chi dovrei abbracciare qui? Sabo?».
«Potrebbe essere un'idea», dissi ridendo, immaginandomi la scena.
«Non è una cosa che posso fare con un maschio», disse lui prendendo la cosa seriamente.
«Allora, puoi farlo con Dadan», gli suggerì mettendomi a ridere ancora più forte.
«Possibile che tu debba sempre scherzare? Io sto cercando di fare un discorso serio», disse lui sciogliendo l'abbraccio, cosa che mi provocò un improvviso senso di freddo.
Rimise le mani in tasca, e si diresse dalla parte opposta alla mia.
«Dove vai?».
«A casa. Tanto non si può parlare con te», disse seccato.
Ridendo del fatto che fosse così scontroso, corsi verso di lui e lo abbracciai da dietro, prendendolo alla sprovvista.
Lui si bloccò sul posto, non appena sentì il contatto con i nostri corpi.
«Scusami, non volevo farti arrabbiare. Certo che sei suscettibile», dissi divertita.
«Ah, sta' zitta», brontolò lui.
Sghignazzai leggermente, tenendolo ancora stretto a me.
Era una sensazione strana, ma a cui mi stavo abituando gradualmente.
Dovevo ammetterlo. Entrambi avevamo bisogno di farlo.
Ora, ero certa che Ace mi volesse bene e, forse, il suo bene era anche maggiore di quello che sperassi.
«Allora? Vuoi dirmi perché lo hai fatto? Il bacio di poco fa, intendo. Perché...».
Lo sentii irrigidirsi e serrare i pugni, e la cosa mi impedii di continuare a parlare.
Lo lasciai preoccupata, mettendomi poi davanti a lui per capire che cosa avesse, ma non appena lo feci, lui voltò la testa per non guardarmi.
La cosa lo imbarazzava di più di quanto volesse ammettere: doveva essere così.
«Anche se lo sapessi, non servirebbe a nulla», mormorò serio.
«Perché dici questo?».
Tornò a guardarmi, scontroso. «Perché tra di noi non potrà mai esserci niente!».
«Ma...».
«Mi hai chiesto se per me sei solo un gioco. Be', a dire la verità, ti vedo più come una sorta di test», disse immediatamente, zittendomi di nuovo.
«Un test?».
«Mi sono sentito un po' strano quando sei arrivata, e con il passare del tempo... be', mi sono sentito sempre più strano».
«Quindi, mi stai dicendo che ti piaccio?», Gli chiesi con il batticuore.
«Sto dicendo che non capivo che cosa provavo per te, ma ora lo so. Tu non mi piaci per niente», disse con una convinzione così forte, che mi fece crollare il mondo addosso, oltre che a frantumare il mio cuore in mille pezzi.
Sembrava che le cose tra noi si fossero finalmente fatte chiare: quel bacio, i nostri abbracci, ciò che aveva detto poco fa...
E adesso, era tutto svanito nell'arco di pochi secondi.
Il mio cuore perse un battito, e cominciai a sentirmi mancare le forze.
«Cosa?», Bisbigliai confusa.
«Sì, insomma... pensavo di provare qualcosa per te, ma dopo quei baci ho capito che non provo assolutamente nulla. L'abbraccio che ti ho dato prima, me lo ha confermato».
Le sue parole furono un'altra pugnalata al cuore.
«S-stai dicendo che... hai fatto tutto questo per... capire se provavi qualcosa per me, oppure no?».
«Sì», ammise lui senza esitare.
Cominciai a sentire gli occhi bruciare: stavo per mettermi a piangere, ma non gli avrei dato questo piacere.
Non mi avrebbe mai vista crollare, specie per colpa sua: questo lo avrebbe reso solo più forte.
Sospirai, cercando di ricacciare dentro le lacrime, tirando su col naso.
«Sai, sono felice che tu lo abbia capito, perché a me è successa la stessa cosa», mentii.
«Davvero?», Chiese lui incredulo e confuso.
«Sì. Anche io ho capito molto da quei baci, e da questi abbracci. E cioè, che la prima idea che mi ero fatta di te, era corretta. Sei solo un bambino immaturo, a cui non importa niente dei sentimenti degli altri».
La sua espressione si irrigidì a tal punto, da sentirmi inerme davanti a lui.
«Bene. Il caso è chiuso, allora. Noi due ci odiamo», disse lui a denti stretti.
«E ci odieremo per sempre», aggiunsi acida.
«Ti prego solo di non far parola con nessuno, di ciò che è successo stanotte. Non voglio che Sabo e Luffy vengano a sapere che abbiamo litigato di nuovo».
Mi voltai dandogli le spalle, sempre più convinta che tutto ciò di cui a Ace importava era sé stesso.
Certo che non voleva che si sapesse.
Che figura ci avrebbe fatto con i suoi amici?
Le lacrime avevano cominciato a scendere a pioggia dai miei occhi, e pregavo che non le notasse.
«Non devi preoccuparti. Tra noi non è successo proprio niente», mormorai, cercando di non far tremare la voce, mentre mi cresceva un magone nella gola.
«Bene», disse lui con tono serio.
«Un'ultima cosa», aggiunsi, controllando la mia rabbia.
Volevo ferirlo, e sapevo benissimo a cosa mirare per poter fare in modo che ciò accadesse.
Non era giusto che solo io soffrissi, e poco mi importava se questo mi avrebbe resa una vigliacca insensibile.
Il mio cuore era a pezzi per colpa sua, e anche il suo lo sarebbe stato a causa mia.
«Avevi ragione, sai? Tu non sei fatto per essere amato. Come non sei fatto per amare. Probabilmente, sei più simile a tuo padre di quanto pensi. È un bene che non ci sia stato nulla tra di noi, chissà... un giorno avresti potuto lasciarmi come ha fatto lui con tua madre», dissi con tutta la cattiveria che avevo in corpo, prima di allontanarmi a gran velocità in direzione di casa.

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