Udire quelle parole era stato come ricevere un proiettile al centro esatto del cuore.
Adesso capivo perfettamente cosa c'era dietro il comportamento a dir poco strano che aveva avuto Clarisse in tutti quei mesi, comprendevo la scelta che aveva fatto, perché sapevo cosa aveva vissuto in passato, ero al corrente di ogni perdita che aveva subìto, ma non per questo la giustificavo.
Mi sentivo tradito e ferito e volevo conoscere ogni dettaglio dell'accaduto, desideravo che mi rendesse partecipe del suo dolore che, poi, era anche il mio.
Era vero, non avevamo mai parlato di un argomento tanto importante, stavamo insieme da poco, eravamo anche stati lontani e, soprattutto, il mio lavoro non ci avrebbe mai permesso di vivere una vita normale. Però pretendevo di sapere perché era scappata da me, quando avrei potuto supportarla e sopportare insieme a lei quell'enorme flusso di sofferenza che l'aveva tramortita.
Mentre aspettavo che il suo turno finisse, le sue parole mi rimbombavano in testa continuamente e il solo pensiero di avere avuto, anche se per breve tempo, un figlio mi fece fremere per l'agitazione. Era risaputo che amassi i bambini, ma prima di Clarisse non avevo mai creduto possibile una cosa simile, mentre in quel momento l'unica cosa che riuscivo a pensare era che un giorno avrei potuto mettere su una famiglia tutta mia con la donna che amavo.
Quando la vidi piangere e la sentii ripetere mille volte che le dispiaceva avrei voluto darle un abbraccio e consolarla, farle capire che io c'ero e che era stata una stupida a escludermi. Avrei fatto di tutto per scacciare la tristezza che le avevo letto negli occhi, ma prima le avrei fatto una ramanzina che avrebbe ricordato per il resto della sua vita.
Guardai l'ora sul display del cellulare e notai che era davvero tardi, ma di lei non c'era ancora nessuna traccia.
I ragazzi, dopo aver concluso la cena, erano andati al dormitorio per riposare e prepararsi all'imminente partenza, anche se Woobin aveva insistito per restare e sostenermi, malgrado non conoscesse bene tutti i dettagli. Lo convinsi a ritirarsi dicendogli che lo avrei aggiornato durante il viaggio e andai di nuovo a cercare Clara nelle cucine.
I suoi colleghi mi comunicarono che era andata via da almeno venti minuti, perché il capo l'aveva convocata in ufficio per riscuotere la paga.Aspettai ancora un po', ma quando persi la pazienza, senza farmi notare da nessuno, mi avviai anche io verso lo studio del proprietario. Accostai l'orecchio alla porta per capire se lei fosse davvero lì e, quando sentii il rumore di un bicchiere schiantato sul muro, la aprii di getto e con il cuore in gola trovai la mia ragazza con le mani sulla testa per la paura e il signor Cheong con gli occhi iniettati di rosso per la rabbia.
- Che diavolo sta succedendo qui?
- Signor Kim, non sono problemi suoi, se ne vada. - Rispose lui senza degnarmi di uno sguardo.
Ma io non mi mossi di un passo.
- Non vado da nessuna parte senza di lei. - Feci per andarle incontro e, appena la raggiunsi, scostai le sue mani e la trovai di nuovo in lacrime. Osservai i pezzetti di vetro sparpagliati sul pavimento e, per fortuna, neanche una scheggia l'aveva colpita. - Va tutto bene, ci sono io ora. - La aiutai ad alzarsi, mentre mi ribolliva il sangue nelle vene.- Qual è il problema? - Mi rivolsi a lui con tono acido, ma ricevetti di nuovo la stessa risposta, così porsi la domanda anche a lei, che adesso teneva le mani ben saldate alla mia felpa, col volto ricoperto dal terrore e dallo sconcerto.
- Non vuole pagarmi. - Disse con un filo di voce.
- Non hai svolto il tuo lavoro fino in fondo. - Sentenziò il signor Cheong.
- Che vuol dire? - Ero confuso, ma la mia mente mi suggerì la risposta senza che nessuno dei due dicesse nulla.Giravano strane voci sul possessore di quel locale, ma nessuno di noi ragazzi si era mai posto il problema di appurarle fino a quel momento. - Andiamo! - Esclamai strattonando Clara, ancora più arrabbiato. - Non hai bisogno dei suoi soldi. - Avrei voluto picchiare quella bestia, ma il mio pensiero si concentrò solo sulla ragazza che avevo accanto e decisi che avrei trovato un altro modo per farla pagare a quel mostro per ciò che aveva anche solo creduto di poter fare con la mia donna.
Quando fummo fuori dal ristorante, trovai subito il van nero della Music Life ad aspettarci e, senza troppi indugi, la feci salire. Era tardi e, per fortuna, non c'era nessuno che potesse vederci uscire insieme.
- Avevo bisogno di quei soldi. - Sussurrò, guardando fuori dal finestrino, asciugando le guance dal recente pianto.
- Che ti ha detto quell'uomo? Che cosa voleva?
- Nulla che gli avrei dato, ovviamente... Dovevo seguire il mio istinto, neanche la prima impressione era stata buona, avrei dovuto intuirlo quando ho visto che non c'era neanche una ragazza che lavorava lì.
- Che maniaco... - Dissi tra me e me. - La pagherà, vedrai. - Mi avvicinai a lei e la avvolsi in un abbraccio. - Come stai? - Sentii, sotto le mie mani, il suo corpo irrigidirsi per l'improvviso contatto.
- Sto... bene... Grazie per essere corso in mio aiuto.
Inspirai a fondo per sentire il suo profumo, nonostante si fosse ormai mescolato a quello del cibo cucinato. - Puzzi di frittura. - Scherzai per smorzare la tensione che la stava sfiancando.
- Rain - disse lei, seria. - Non volevo nasconderti nulla, ma non sapevo come dirtelo. É stato un duro colpo scoprire nella stessa sera che aspettavo il tuo bambino, ma che lo avevo perso perché sono stata troppo stupida per accorgermene.
- Sì, sei una stupida, concordo. Perché sei fuggita da tutti? Da me? Se solo me lo avessi detto, io...
- Non avresti potuto fare niente a quel punto...
- Avrei potuto starti accanto, ti avrei aiutata a superare il tuo dolore, il nostro dolore. L'ho perso anche io questo bambino. - Lei mi guardò con occhi lucidi.Forse non si aspettava questa reazione da parte mia, ma era ciò che pensavo davvero. Anche se ero lontano avrei potuto aiutarla in qualche modo a non soffrire troppo, invece mi aveva escluso e si era rintanata nella solitudine.
Non resistetti, mi avvicinai accostando il mio viso al suo e, dopo mesi, finalmente potei assaporare di nuovo le sue labbra, sentire la morbidezza della bocca che premeva sulla mia, potei respirare di nuovo perché, sì, dalla sera in cui mi aveva mandato quel messaggio in cui mi mollava senza una ragione logica, ero ritornato bambino ed ero di nuovo su quella spiaggia, mentre le onde mi inghiottivano senza darmi modo di rifiatare. Ma, adesso che era al mio fianco, avevo compreso che lei era il mio ossigeno, la sola persona al mondo che mi permetteva di vivere e sapevo che lei provava le stesse identiche sensazioni.
- Mi sei mancata così tanto! - Le rivelai, la mia fronte poggiata alla sua, mentre i nostri nasi si sfioravano dolcemente. - Vorrei ucciderti! Mi hai mentito dicendomi che non mi amavi più, hai bloccato ogni singola persona a me vicina per la tua bugia. Non sai quanto sono stato male. Dovrei proprio darti una lezioncina. - Sorrisi sornione, mentre lei diventava bordeaux, capendo bene cosa avessi in mente.
- Mi sei mancato tanto anche tu, e ti amo... Non ho mai smesso! - Nascose il viso nel mio petto e io la strinsi ancora più forte.
- Lo so... Ti amo. - Le posai un tenero bacio sulla testa e restai appicciato a lei come una cozza per tutto il tragitto che ci condusse a casa mia.*****
"Le luci ti guideranno a casa
e riscalderanno le tue ossa,
ed io proverò a prendermi cura di te."
[Fix You, Coldplay]
*****
SPAZIO AUTRICE:
Ciao readers,
Vi ringrazio per aver letto la mia fanfiction fino a qui.
Ovviamente siamo quasi alla fine della corsa e mi sento veramente triste ma anche felice, perché dopo un anno si sta chiudendo il cerchio 💜
Se vi state chiedendo perché in questo capitolo ho inserito una canzone dei Coldplay e non dei BTS, il motivo è semplice. Se non lo avete visto, l'unplugged di MTV è la risposta al vostro quesito e, in più, aggiungo che io amo i Coldplay e questa è una delle mie canzoni del cuore, perciò non poteva mancare in questa parte della storia nello specifico.
Detto questo, vi saluto e ci vediamo al prossimo capitolo. 💜Baci,
Ena ☀️
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Zero o'clock •{Kim Taehyung}•
Fanfiction•{COMPLETA}• Clarisse Moreau ha soltanto dieci anni quando perde entrambi i genitori in un incidente e va a vivere a casa di uno zio con il quale non condivide nulla a parte il cognome. Deve aspettare quattordici anni prima di riuscire a scappare i...