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"Pieno di solitudine

È questo giardino in fiore

Pieno di spine

Mi sono incatenato in questo castello di sabbia

Come ti chiami?

Hai un posto dove andare?

Me lo puoi dire?

Ti ho vista nascosta in questo giardino"

[The truth untold, BTS.]

*****

Avevo vissuto da sempre con sgradevoli sensazioni addosso, mi sentivo inadatta in ogni luogo e qualsiasi cosa facessi, con un lavoro sbagliato che, per forza di cose, avevo dovuto svolgere e amici che non potevo certo definire tali, perché troppo diversi da me e dalla mia visione di vita.
Ma, soprattutto, sentivo che Parigi non mi apparteneva e io non appartenevo a lei, almeno non più!

C'erano volte in cui avrei voluto strapparmi la pelle, scappare da quella realtà così lontana dalla mia, ormai vuota.

Perciò una mattina mi ero svegliata con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima vissuta in quella città.

In un raptus di pazzia, avevo lasciato il lavoro e avevo comprato un biglietto di sola andata per fuggire da una vita piena di solitudine e dolore che mi soffocavano.

La mia meta era stata sempre e solo una, Seoul. Non per via degli idol del k-pop che le ragazzine tanto veneravano, e neanche perché ero affascinata dalla diversa cultura che vigeva in quel luogo. La ragione che più mi spingeva verso quella terra dai mille colori era perché la conoscevo già.

Da bambina, per un breve periodo, avevo vissuto lì insieme ai miei genitori, perché mia madre era proprio coreana. Aveva conosciuto mio padre durante un viaggio di lavoro e si erano innamorati follemente, si erano sposati e lei lo aveva seguito a Parigi, senza però abbandonare del tutto la sua cultura né i suoi legami affettivi.

Da quando ero nata, ogni anno tornavamo a fare visita ai nonni e a festeggiare con loro il compleanno della mamma.

Quello era stato un periodo particolarmente bello, la mamma aveva compiuto trent'anni e le avevamo organizzato una festa indimenticabile, o forse così era sembrato a me.

Non sapevo ancora che sarebbe stato l'ultimo barlume di felicità.

Pochi giorni dopo il ritorno dalla vacanza a Seoul, mamma e papà ebbero un incidente in cui persero la vita.

Quel tragico evento mi costrinse a vivere con uno zio francese che conoscevo a malapena e che si sarebbe rivelato peggio di quanto immaginassi.

Avevo otto anni e la scomparsa dei miei cari fu un trauma davvero enorme, insopportabile, e piansi per mesi prima di riprendermi.

A distanza di quattordici anni avevo ancora un vuoto incolmabile nel petto che non sarebbe sparito mai completamente, ma dovevo andare avanti, questo lo sapevo.
Il problema, adesso, era che più crescevo e più non sopportavo di vivere insieme a una persona che mi sfruttava per i pochi soldi che guadagnavo; ero davvero stufa di vedere i miei spiccioli sperperati da quell'individuo che, pur essendo sangue del mio sangue, era sempre stato distaccato e assente, alla pari di un estraneo.

Perciò la decisione era arrivata come un'illuminazione divina: in un primo periodo avrei alloggiato a casa dei nonni coreani, in quella città per me fantastica, avrei trovato un lavoro e, messo da parte un bel gruzzolo, avrei poi affittato una casetta per conto mio.

In fondo, non avevo grandi pretese dal mio futuro, bastavano solo un po' di affetto e di indipendenza.

Era sera quando l'aereo atterrò a Seoul, io ero stremata dalla velocità con cui avevo organizzato tutto e nonostante ciò, l'eccitazione mischiata all'ansia per quella nuova vita non mi aveva permesso di riposare durante il volo. Inoltre dovevo ancora recarmi a casa dei nonni che avevano mandato il loro indirizzo qualche ora prima di partire; avevano anche scritto che non sarebbe stato troppo difficile raggiungere la loro dimora.

Uscendo dal gate chiesi delucidazioni al box apposito su quale mezzo mi avrebbe portata dritta in periferia.
Ringraziai con tutto il cuore mia madre per avermi insegnato la sua lingua d'origine, altrimenti per me sarebbe stato un vero problema vivere in quella metropoli, quando non sapevo dire altro che "ciao" e "ho fame" in inglese.

- Devo scendere qui e poi prendere il prossimo bus da questa strada? - Chiesi indicando un punto specifico sulla cartina della città. L'addetto al servizio informazioni annuì con educazione e lo ringraziai correndo via per la paura di perdere il mezzo in questione, volevo assolutamente riabbracciare i nonni, ma più di ogni cosa volevo dare il benvenuto alla mia nuova vita.

Arrivata a metà strada scesi salutando cordialmente l'autista dell'autobus, mi guardai intorno e notai che, nonostante l'ora, la gente popolava felicemente le strade; la trovai una cosa meravigliosa, immaginai subito come sarebbe stato bello godermi una serata spensierata in giro per Seoul e, con gli occhi che brillavano per l'emozione e la valigia tra le mani, imboccai la direzione per il secondo pullman, seguendo le indicazioni ricevute qualche minuto prima.

Mi ritrovai in una via poco illuminata, riuscii a malapena a prendere il cellulare quando il rumore di alcuni passi attirò la mia attenzione. Qualcuno correva verso di me, incappucciato, seguito da altra gente, un branco di ragazzine impazzite e strillanti.
Di fronte alla scena restai letteralmente di sasso e quando lo sconosciuto mi raggiunse, afferrò il mio braccio e mi tirò con foga, facendomi mollare la valigia nel bel mezzo della strada.

Ero nel panico più totale, non riuscivo quasi a respirare e a spiegarmi perché mi avesse trascinata con sé. Appena svoltammo l'angolo si bloccò per un secondo, senza lasciare la presa sul mio polso; si guardò intorno, irrequieto, cercando qualcosa che evidentemente trovò, infine ricominciò a correre verso un cassonetto verde e sudicio.
All'ombra di quella strada stretta e buia, si tolse rapidamente e in un gesto quasi teatrale la felpa, buttandola come fosse uno straccio e, rimasto con una maglia nera e il berretto che gli oscurava il volto, d'improvviso, mi baciò.

Le ragazze ci superarono senza accorgersi della nostra presenza e, quando il pericolo fu bello che scampato, staccò le labbra dalle mie, il viso rivolto verso il basso per nascondersi anche da me, girò sui tacchi e se ne andò via così, senza proferire parola.

Rimasi in silenzio anche io, a fissare le sue spalle che sussultavano a ogni passo che lo allontanava da me e, solo quando la sua figura non fu più visibile ai miei occhi, il mio respiro riprese il ritmo regolare.

Mi sentivo stordita.

Avrei potuto aspettarmi di tutto dal mio arrivo a Seoul, tranne l'essere protagonista di quella che sembrava la perfetta scena di un drama.

Zero o'clock •{Kim Taehyung}•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora