Vampira

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Per chi sta pensando: e mo' questa? Che vuole ancora?

Questo non è un capitolo della storia principale, nemmeno uno 'Speciale'. Consideratelo un mio piccolo tentativo di esplorazione della forma immortale che ho pensato di condividere (anche per farmi perdonare il tragico volo di Adelaide, lo ammetto) e per vedere cosa ne pensiate della mia interpretazione del mondo dei vampiri. Questo capitolo è fortemente ispirato a una gif che ho inserito nel testo; ammetto di non essere affatto una fan delle storie con immagini nel testo per balzare descrizioni di scene o azioni. Ho deciso di fare un parziale strappo alla regola inserendo la gif dopo la mia descrizione, spero possa così rafforzare la scena nella sua intensità e nei colori.

Attenzione: Capitolo molto lungo.

Provo un dolore indescrivibile, intenso e totale in ogni parte del corpo non ho alcuna possibilità di movimento, percepisco perfettamente i miei arti solo per ottenerne dolore. Mi sembra di riconoscere l'esistenza di ogni singola cellula che compone il mio corpo, ogni piccolo elemento arde avvolto dalle fiamme degli inferi, sono immersa nel nero più totale.

Anche nel mio cervello divampa l'inferno, il bruciore insistente mi fa capire quanto sia grosso il cranio, ne ho una perfetta percezione tridimensionale esattamente come degli arti ma poi null'altro. Non ricevo stimoli esterni di alcun tipo, niente tatto, vista, olfatto o udito e credo di sapere cosa voglia dire tutto ciò: non esisto più.

Non c'è proprio nulla da esplorare là fuori per il mio corpo, sempre ammesso che io abbia un corpo davvero, oramai l'ipotesi più plausibile è che non esista nessuna parte fisica di me e che sia semplicemente la mia essenza, la mia anima a bruciare. Dannata per l'eternità, non sembra nemmeno così scorretto in fondo: sono una suicida che ha amato un vampiro millenario assetato di potere e sangue.

Anche i pensieri bruciano in fiamme divampanti causandomi dolore, ma anche il non pensare arde la mia essenza e la mia mente, allora tanto vale pensare e divagare nei ricordi. La vera domanda è: quanto tempo è passato?

Non saprei stimare, non mi posso annoiare perché è un continuo patimento e tormento, non saprei dire se sono passati secondi o secoli la fuori o lassù, o dovunque sia l'esistenza terrena rispetto a questa sensazione incendiaria che sono. Ormai mi identifico come sensazione perché questa è l'unica cosa certa dentro di me, anche se non avessi un corpo sono certa di essere dolore e sofferenza.

Ho provato a contare i secondi a un certo punto, proprio per avere una stima, ma l'eterna dannazione sembra aver appiattito non solo le tre dimensioni spaziali ma anche la quarta. Tutto pare condensato in un unico minuscolo punto, tutto lo spazio e il tempo è indistinguibile, c'è solo dolore infinito e totale, completo e certo. Mi aggrappo all'unica certezza dunque, mi aggrappo all'unica sensazione che provo e con cui oramai mi identifico e, rassegnata, attendo la fine dell'eternità in completo silenzio, in completa solitudine, in completa stasi e sofferenza.

Non ricordo come sia iniziato tutto questo tormento, ricordo la mia vita e l'ultima cosa udita, il mio cranio contro il tronco di un ramo, e poi c'è il vuoto totale fino alla dannazione. Nessun tunnel con la luce alla fine, niente Caronte a traghettare l'anima, niente Cerbero a girare la coda, nessun girone o grido di sofferenza. Sarebbe tutto troppo umano, troppo vero, fisico e tangibile per la mia condizione attuale. Attulmente potrei essere un elettrone perso nella zona più estrema dell'universo per quello che ne so.

In un istante imprecisato nel nulla senza tempo, mi sembra quasi di percepire il peso del mio corpo, inizialmente è una vaga sensazione piena anch'essa di dolore, come se la percezione fosse sfocata, poco nitida, e pian piano si facesse sempre più vera e tangibile. Non ho alcuna sensazione di tatto ma sento di essere appoggiata a qualcosa, sento che il mio peso viene controbilanciato da un oggetto impreciso, forse una superficie confortevole e morbida, forse pietre aguzze, non fa alcuna differenza e preferisco immaginarmi stesa nel baldacchino della mia camera a Volterra.

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