capitolo quindici: cornetto e cappuccino.

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Quella mattina purtroppo arrivò fin troppo presto per Riccardo che, costretto ad aprire gli occhi a causa del sole nel salotto, non riuscì più a riprendere sonno.
In realtà non aveva neppure dormito così tanto durante la notte.
Un po' per i pensieri che non lo avevano lasciato in pace neppure per un istante, un po' per il dolore al ginocchio che verso le tre si era fatto lancinante, un po' perché quando dormiva da solo in un posto nuovo andava sempre così la prima notte.
Si mise a fatica a pancia in giù e, sprofondando la testa nel cuscino, si soffermò su di un punto a caso nella stanza.
Aveva un mal di testa terribile e l'impressione che quella sarebbe stata una pessima giornata.
In realtà si stava soltanto tormentando la testa di pensieri confusi, costringendosi al cattivo umore quasi per scelta.
"Ehi, sei già sveglio?" chiese qualcuno alle sue spalle e Riccardo sussultò avendo momentaneamente dimenticato di trovarsi a casa con Alessandro.
"No" disse con voce impastata "Cioè si, non ho dormito" disse alzando la testa per guardarlo bene.
Aveva un'espressione serena, un sorriso odioso sul volto e gli occhi di chi aveva dormito davvero bene.
Riccardo sentì di odiarlo. Possibile che fosse stato l'unico così pieno di pensieri?
Come aveva potuto dormire Alessandro dopo quello che era accaduto tra i due il pomeriggio prima?
La verità era che il più grande, reduce da una notte insonne, ovvero quella precedente, fu quasi costretto ad addormentarsi.
Ovvio che i pensieri ci fossero ma per fortuna il sonno era stato ben più forte e nel giro di dieci minuti aveva avuto la meglio.
Sonno 1 pensieri 0, almeno per quel giorno.
Alessandro aveva il buon umore solo ed esclusivamente per questo.
"Oh" disse il moro sedendo sul divano "Come mai?" proseguì sinceramente interessato.
Eppure Riccardo non riusciva a vedere bene niente quella mattina e la voglia di urlargli contro riuscì a reprimerla per poco.
Piuttosto si mise a sedere, giusto per allontanarsi un po'.
"Non lo so" mentì guardandolo appena "Mi faceva tanto male" diede la colpa al suo ginocchio.
Che infondo alla fine era anche la verità, quel maledetto ginocchio non aveva smesso un secondo di fargli male, per tutte la notte.
"Perché non mi hai chiamato?" chiese Alessandro con un tono di rimprovero abbastanza evidente nella voce.
"Cosa avresti potuto fare?" sputò freddo il più piccolo mentre si metteva una mano tra i capelli.
"Non lo so, starti vicino" fece spallucce Alessandro.
"Non penso sia la giusta soluzione" disse Riccardo senza pensarci troppo, tanto che si ritrovò a tapparsi la bocca un secondo dopo.
"Cosa intendi?" chiese Alessandro con il cuore che iniziava a battergli più forte.
Vide Riccardo strizzare gli occhi, quegli stessi occhi che un secondo prima aveva sbarrato.
Poi, dopo un sospiro, il riccio parlò "Insomma non te ne accorgi?" disse con un tono disperato, così tanto che Alessandro ebbe come la sensazione che di lì a poco avrebbe anche potuto piangere.
Allontanò quel pensiero, certo di starsi facendo anche troppi film mentali.
Ovvio che si aspettasse un discorso del genere ma di certo quello non era il momento.
Se Riccardo avesse avuto dei problemi dopo ciò che era accaduto di certo ne avrebbe parlato la sera, durante quella sigaretta che avevano condiviso e non ora, ancora preso dal sonno.
Alessandro si stava sussurrando quelle cose soltanto per calmarsi e ci riuscì anche, seppur per un solo istante, prima che Riccardo riprendesse a parlare.
"Non noti nulla?" proseguì con lo stesso tono.
Alessandro non osò guardarlo, troppo spaventato dal verso che stava prendendo quella conversazione.
Possibile che si fosse svegliato bene per poi finire comunque di cattivo umore?
Era destinato a vivere giornate con lo scazzo, non aveva altra possibilità se non quella di dondolare tra quell'apatia costante e l'umore altalenante. Mai felicità, mai spensieratezza.
E la cosa che più di tutti lo rendeva nervoso era il fatto che a lui andasse bene così, quasi come fosse costretto a nutrirsi di dolore per restare in vita.
"Cosa dovrei notare Riccardo?" chiese aggrappandosi all'ultima opportunità.
Quella successiva riposta avrebbe reso chiaro tutto, da lì si sarebbe aperto il vero discorso.
"Alessandro non mi piace come mi sento quando sei vicino a me" farfugliò il piccolo stringendosi tra le braccia, quasi come se si stesse abbracciando.
In realtà si stava soltanto chiudendo a guscio, troppo spavento dall'esito di quella conversazione.
Non avrebbe voluto aprirla, per nessuna ragione al mondo. Ma era la rabbia a parlare per lui e in qualche modo avrebbe sicuramente dovuto sfogarla.
Alessandro al suono di quella frase restò immobile, come fosse diventato duro e inanimato, come se non avesse più nulla in mente.
E in effetti per quanto cercasse di reagire, per quanto cercasse di trovare le parole giuste dentro di lui non ci riuscì, non subito per lo meno.
I minuti di silenzio furono fin troppo tranquilli, come se tutto si fosse concluso con quella frase.
Tanto che Alessandro ci pensò un po' prima di parlare. Se fosse stato meglio lasciare tutto così? A metà?
"Cosa vuoi dire?" parlò invece, pentendosi immediatamente di averlo fatto.
Ma le parole gli erano uscite dalla bocca senza che potesse trattenerle, non lo avevano fatto apposta, avevano parlato per lui.
Riccardo si ritrovò a guardarlo, eppure non sentì nessun imbarazzo.
Piuttosto gli occhi di Alessandro gli diedero conforto.
"Penso tu lo sappia" disse sincero "Penso che per te sia lo stesso" finì stanco.
"Riccardo perfavore parlami" sospirò il più grande esausto da una conversione che ancora doveva avvenire "Sono stanco di queste mezze parole" proseguì.
"Ah tu sei stanco?" urlò quasi Riccardo guardandolo e quel tono di voce alto fu talmente tanto brusco che Alessandro si allontanò istintivamente.
"Si" sospirò "non posso esserlo?" chiese guardandolo male.
"Io sono stanco, stanco di quello che fai, del modo in cui ti avvicini, del del.." Riccardo si bloccò. Non poteva in alcun modo dire delle farfalle nello stomaco che aveva sentito, non era il caso di nominarle.
"Riccardo non mi sembra di essere l'unico a fare queste cose" si difese il moro con un tono di voce di colpo più alto "Parli come se fossi io a fare tutto" sputò freddo.
"È così" brontolò il più piccolo.
"Ah si? Quindi mi stai dicendo che tu non fai niente, che tu poverino te ne stai lì immobile costretto a subire le mie provocazioni?" urlò Alessandro mettendosi di colpo in piedi.
"Io mi comporto solo di conseguenza" rise nervosamente Riccardo.
"Bah ragazzino lascia che ti dica una cosa" urlò ancora il più grande avvicinandosi leggermente a lui. Aveva il volto contratto dalla rabbia, l'espressione accigliata, le vene del collo ben visibili e si era fatto rosso per la rabbia "Non è colpa solo mia se poi tu ci metti il tuo" parlò piano.
"Ma gioco" fece spallucce Riccardo.
Non sapeva più cosa dire, si sentiva attaccato, colpito e affondato.
Aveva già visto Alessandro arrabbiato in ospedale, il giorno prima, ma il modo in cui stava urlando contro di lui adesso non era divertente come quando aveva urlato contro a quel dottore.
Adesso era davvero triste vederlo arrabbiato così con lui.
"Giochi?" urlò ancora "Mi provochi dalla prima cazzo di volta in cui ci siamo visti" disse Alessandro mettendo le mani nella testa.
"Lo vuoi capire o no che non mi interessa che tu sia stanco, quando quello stanco sono io?"
"Ale sta calmo okay?" chiese Riccardo abbassando la voce.
"No che non sto calmo" urlò ancora il moro "Sei un bambino del cazzo" finì stanco.
"Oh ma che cazzo dici? Come cazzo ti permetti?" urlò di risposta il piccolo non sapendo più in che altro modo difendersi.
"Non osare mai più avvicinarti a me" disse Alessandro scandendo bene le parole "Non più una battuta, né un sorriso dei tuoi, né nient'altro" finì ad un centimetro da lui dato che adesso anche Riccardo si era messo in piedi, seppur costretto a stare immobile.
"Alessandro ma che dici? Sono bloccato sul divano come faccio a..?" prese a parlare ma il più grande lo bloccò "Non mi interessa" disse con rabbia.
Aveva gli occhi più scuri del solito, la mascella contratta e un'espressione inviperita.
Sembrava quasi un'altra persona in quel momento.
"Non ti toccherò con un dito Riccardo, non se poi devo sentirmi dire che sono io a fare tutto" finì allontanandosi.
Riccardo non ebbe modo di rispondere e, con un solo movimento, si lasciò cadere sul divano esausto.

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