capitolo ottantacinque: questo Platone.

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Nel giardino regnava il silenzio più totale, come era solito che succedesse dopo pranzo.
Era come se tutti, dopo aver parlato anche tanto tra una forchettata e l'altra, avessero bisogno di riprendere aria ogni giorno, alla stessa ora.
Riccardo ci aveva ormai fatto l'abitudine, e al contrario del giorno precedente non aveva insistito per scendere subito al mare.
Certo si, gli sarebbe piaciuto starsene steso sulla sua asciugamano piuttosto che all'ombra, su quel dondolo.
Ma non aveva alcuna voglia di disturbare Alessandro proprio adesso che, con un libro tra le mani, se ne stava steso su di una sedia sdraio al sole, qualche metro più in là.
Preferiva piuttosto starsene a guardarlo, felice di avere quel tempo solo per lui, delle volte.
Quando Alessandro non ricambiava lo sguardo gli era più facile starlo a guardare, con la tranquillità di uno che non ha occhi puntati addosso.
Erano quelli i "momenti per lui", quelli in cui Alessandro non lo guardava.
E per quanto li apprezzava li odiava, perché si, gli davano tregua da i brividi e dal mal di pancia ma era diventato estenuante vivere senza quello sguardo addosso.
Come se ogni cosa fosse migliore se osservata da Alessandro, come se ogni gesto valesse di più, ogni parola suonasse meglio, ogni respiro fosse più profondo.
E così, proprio come Alessandro stava sfogliando il libro, ignaro di occhi indagatori addosso, ecco che allo stesso modo Riccardo stava sfogliando lui.
Cosa se ne faceva quel ragazzo di quei libri il piccolo proprio non riusciva a capirlo.
Era sempre immerso in quelle pagine nei suoi momenti di tregua, come se non aspettasse altro, come se ci fosse qualcosa di meraviglioso lì, ad attenderlo.
Qualcosa di migliore di Riccardo stesso, qualcosa di più piacevole.
Si ritrovò a ridere di colpo di seguito a quei pensieri, chiedendosi come fosse possibile essere gelosi persino di un libro.
Ma d'altronde che Alessandro gli stesse del tutto facendo perdere la ragione, lo aveva capito da un pezzo.
Aveva uno strano modo di fare che gli faceva perdere lucidità, come se ogni piccola cosa si facesse grande con lui, come se fosse normale persino esser gelosi di un libro o di un raggio di sole.
Era come una malattia quel ragazzo, una di quelle che ti si insinua fin sotto la pelle senza volersene andare.
Non era un raffreddore il pensiero di lui, era allergia.
Quella fastidiosa che non ti lascia mai, quella che ti tormenta per tutta la primavera e che ti lascia gli strascichi fino ai primi giorni di Luglio.
Riccardo pensava a queste stupide cose mentre con gli occhi correva da un pezzo del corpo all'altro di Alessandro.
Centimetro dopo centimetro esaminò tutta la sua pelle, notandone il modo in cui il sole gli spendesse addosso bene.
Dopo un po', di seguito ad uno sguardo ricambiato, dovette dir addio a quel "momento solo suo" e accolse con un sorriso quello sguardo di Alessandro.
Poi, trovando fosse meglio smetterla di farsi cogliere a passeggiare con lo sguardo sul suo corpo, si concentrò sul telefono.

"Che fai?" domandò di colpo Alessandro svegliandolo dai suoi pensieri.
Aveva infatti apprezzato quello sguardo addosso per tutto il tempo tanto che aveva finto di leggere pur di restare sotto lo sguardo di quel ragazzo.
Ed ora che aveva di colpo smesso, tornando sul suo telefono intento a far chissà cosa, irrompere nella sua oasi all'ombra gli era venuto automatico.
Pur di rinunciare a quel sole, pur di rinunciare al suo libro, aveva preferito raggiungerlo sul dondolo desideroso di esser guardato ancora.
Era come se lo sguardo di Riccardo fosse diventato il suo vestito preferito oltre che l'unico che potesse indossare.
Era quasi obbligato a vestirsene, pur di non restare nudo sotto gli occhi di tutti.
Di cosa si sarebbe vestito quando quel ragazzo sarebbe andato via?
"Niente di che" sbuffò il piccolo annoiato per poi osservarlo mentre prendeva posto sul dondolo, di fianco a lui.
Ecco che questo prese di colpo a muoversi, finemente mosso da gambe non pigre come le sue che preferivano invece starsene rannicchiate nella speranza di un soffio di vento che facesse il loro compito.
Ma era stato Alessandro alla fine ad esser quel soffio di vento e Riccardo non poteva neppure meravigliarsi della cosa, tanto se la aspettava.
Alessandro era stato soffio di vento dal primo giorno in cui lo aveva visto.
Così fastidioso da scompigliare tutto come stava ancora facendo.
"Tu non stavi leggendo?" proseguì mentre allungava le gambe sulle sue con un sorriso furbo.
"Stavo, si" osservò Alessandro con tono ovvio "Ma ho pensato che fosse meglio avvicinarmi per avvantaggiarti la contemplazione" proseguì per provocarlo.
Vide Riccardo arrossire appena, eppure per la prima volta non abbassò quello sguardo questa volta più caparbio.
"O forse era una scusa per smetterla di leggere quel coso" disse dopo un po', indicando il libro che il moro teneva ancora stretto tra le mani.
"Cosa ci trovi di così interessante?" domandò poi.
"Nei libri in generale o in questo?" chiese Alessandro per poi poggiarsi meglio sullo schienale.
Portò la testa verso dietro, poggiandola al cuscino, per poi metterla in un lato giusto per poter guardare in faccia Riccardo.
"Entrambe le cose" rispose il piccolo.
"I libri ti fanno entrare in mondi nuovi" disse rapido Alessandro mentre con le mani iniziava a giocherellare con la pelle delle sue gambe, accarezzandola piano.
"Questo non ti piace?" domandò Riccardo curioso.
"Abbastanza" rispose Alessandro dopo un sospiro "mi piace abbastanza"
"Ma?" domandò Riccardo incalzando.
"Ma a volte ho bisogno di scappare un po'" sorrise il più grande mentre con le mani faceva segni immaginari con le dita sulle gambe di Riccardo.
"Ma adesso hai smesso di leggere per venire qui" osservò Riccardo con un sorriso.
"Perché non sento il bisogno di scappare adesso" rispose il più grande scrollando le spalle.
"Perché sono speciale?" disse Riccardo con un sorriso gigante.
"Riccardo silenzio" sbuffò il moro "Non farmi parlare troppo" piagnucolò smettendo di colpo di guardarlo.
"Okay okay" sospirò il ricciolino.
"E invece questo libro di cosa parla?" disse interrompendo il silenzio che da un po' si era creato.
Si sporse in avanti prendendogli il libro dalle mani ricevendo uno sbuffo di risposta.
"Simposio" lesse ad alta voce rigirandosi il libro tra le mani. "Sembra noioso" disse tornando a guardare il più grande.
"È Platone" rispose Alessandro con tono ovvio.
"E ciò lo salva dall'essere noioso?" domandò il piccolo alzando un sopracciglio.
"Si" rispose rapido il moro "Cioè hai presente Platone?" proseguì guardandolo.
"Si, quello che andava a letto con Socrate" rise il ricciolino.
"Quello che andava a letto con Socrate" ripetè Alessandro sconvolto "Quello?" finì guardandolo male.
"Come lo devo chiamare, Signor Platone?" proseguì fingendo un sorriso.
"Di certo non quello" sbuffò Alessandro, per poi scoppiare a ridere "E poi era l'allievo di Socrate" proseguì tornando serio.
"Andavano a letto però" proseguì il piccolo.
"Ma chi te lo ha detto?" urlò quasi Alessandro con il sorriso sulle labbra.
"La prof, non lo so, mi ricordo che lo dissero a scuola, assieme a tante altre cose..tipo le sue opere, il pensiero e quelle cose là" disse mettendo le mani dietro alla testa, per poi appoggiarsi sul ferro del dondolo.
"E guarda caso tu ricordi solo quello" rise Alessandro scuotendo la testa "Non le opere, non il pensiero..solo che scopavano" proseguì con un tono di rimprovero nella voce, anche se quasi impercettibile.
"Si" disse il piccolo scrollando le spalle.
"E chissà perché" rise il moro per poi tornare ad accarezzargli le gambe, piano.
"Cosa vorresti dire?" chiese Riccardo guardandolo con attenzione.
Il sole lo illuminava ancora, seppur da lontano, impossibilitato a sconfiggere l'ombra ma comunque caparbio nell'illuminare il volto di Alessandro.
Riccardo quel sole alla fine lo capiva un bel po', aveva la stessa caparbietà che avevano i suoi occhi la sera, quando il buio era più forte di ogni cosa ma lui lo sfidava lo stesso, pur di poter osservare Alessandro dormire.
"Niente" fece spallucce il più grande guardandolo come in attesa di uno sguardo di risposta che non tardò ad arrivare.
Durò poco però, perché lasciò nuovamente il posto alle guance rosse che Riccardo prontamente nascose voltandosi di nuovo a guardare chissà cosa.
Alessandro pensò che fosse bello ma diversamente rispetto alla sera prima, o alla mattina precedente o a tutte quante le volte che lo aveva trovato bello fino a quel momento.
Era come se fosse ogni volta di una bellezza diversa, sempre crescente, mai un giorno meno di un altro, al massimo restava stabile, ma cambiava comunque.
Riccardo era bello ogni secondo in un modo diverso senza neppure farlo apposta.
C'erano volte in cui era bello perché i suoi occhi splendevano diversamente. Eppure anche quando si trattava degli occhi ecco che comunque la sua bellezza cambiava, anche in quelli. C'erano volte in cui erano belli perché bassi, intimiditi, nascosti, altre in cui erano belli perché indagatori, curiosi, simili a mani che lo toccavano. Altre volte ancora erano belli perché posati su di lui, altre per il modo in cui guardava ciò che aveva attorno.
Poi c'erano volte in cui era bello per il modo in cui stavano i capelli, perché era bello scompigliato, bello sistemato, bello quando usciva di casa senza sistemarli, o quando si notava lontano un miglio che aveva passato una mattina intera davanti ad uno specchio per metterli apposto. Era bello quando aveva i capelli da "non ho capito se li hai tagliati", perché erano così strani da cambiare ogni volta.
Cambiare proprio come lui, come la sua bellezza, perché Riccardo cambiava bellezza ad ogni suo nuovo sguardo.
E forse erano cose che potevano cogliere solo gli occhi di Alessandro, magari solo lui notava quel cambiare costante, quel divenire bellezza nuova ogni volta.
O forse erano tutti quanti a vederlo ma, proprio come faceva lui, preferivano tenerlo per sé.

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