capitolo settantadue: il mondo fuori dalla finestra.

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I due ragazzi ne stavano ancora stesi sul letto nella stessa posizione, con i volti vicini.
Alessandro per tutto il tempo era rimasto a guardarlo, lasciandogli baci di tanto in tanto e accarezzandogli i capelli come fosse fatto di porcellana.
Era stato così delicato nelle sue carezze che il più piccolo aveva quasi rischiato di addormentarsi ad un certo punto e, l'unica cosa a tenerlo sveglio, era stato il pensiero di doversi godere quel momento.
osservare Alessandro in penombra rendeva l'aria nella stanza magica.
La luce dei lampioni che stavano all'esterno entrava dalle persiane a fasci, illuminando il volto del moro, come fosse un palco e quelle luci luci di scena.
E proprio su quel volto Riccardo ci stavo vedendo un vero e proprio spettacolo.
Come poteva quindi dormire quando aveva l'onore di essere l'unico spettatore di quel teatro che erano le emozioni che gli stava facendo provare Alessandro?
Seppur fossero semplicemente stesi in un letto, in silenzio, l'uno negli occhi dell'altro stavano provando emozioni impossibili da descrivere.
E forse era proprio questo il motivo di quel silenzio, il fatto che servisse assolutamente quello per far contrasto con il baccano che stavamo avendo dentro.
Le parole si erano tramutate in sguardi e non serviva a nulla parlare quando erano le loro anime a farlo.
Sarebbe stato maleducato parlare addosso a quel silenzio pieno di parole, entrambi avevano fatto silenzio per ascoltarsi.
"Vado a fare la doccia adesso" disse Riccardo, controvoglia, udendo il rumore di voci provenienti dal piano di sotto.
Alessandro si sporse appena sul letto, sussurrando un "shh" cercò di capire di chi fossero quelle voci.
"Sono solo i ragazzi, mamma e zia sono ancora sotto" mormorò poi tornando a stendersi, questa volta però sul petto del più piccolo, per bloccarlo.
Non voleva sgattaiolasse via da quel momento, non così.
Voleva averlo accanto ancora un po', senza che niente e nessuno interrompessero quella calma interiore che si era creata.
Alessandro si sentiva appagato, calmo come non mai e, nel buio della sua cameretta, illuminata solo dagli occhi grandi di Riccardo, ci sarebbe rimasto in eterno.
Non voleva tornare all'esterno, non voleva pensare che presto o tardi Riccardo sarebbe andato via, che quella notte sarebbe stata solo una notte in meno dall'addio a Riccardo.
Solo due giorni non gli bastavano più, l'io voleva l'eterno.
E, per quanto fino a quel momento a qualcosa di tanto lungo come era l'eterno non ci aveva mai creduto, sentiva di potercelo avere in quel momento.
Riccardo gli aveva insegnato che il tempo poteva non esistere accanto a certe persone, che il tempo poteva sospendersi, smettere di scorrere.
O forse non era così, forse il tempo scorreva ancora, eppure poco contava quando loro erano assieme.
Alessandro sentiva che quando lui e Riccardo si trovavano chiusi nella stessa stanza il ticchettio dell'orologio restava fuori, le ore smettevano di scorrere per loro.
E restare intrappolato in una stanza senza tempo con quel ragazzo era l'unica claustrofobia che voleva provare, per il resto della sua vita.
Riccardo gli dava l'eterno e per quanto impossibile fosse mantenerlo a lungo cercava sempre di aprire la porta al tempo il più tardi possibile.
"Non fai nessuna doccia" proseguì stringendolo più forte.
Sentì Riccardo sorridere.
"Tra poco si cena" piagnucolò il ragazzo iniziando ad accarezzargli i capelli.
"Shh" parlò piano il più grande "Non esiste la cena" proseguì.
"Ah no? E se dovesse venirti fame non cambieresti idea?" domandò sorridendo "Io credo di sì" proseguì cercando il suo sguardo.
Alessandro alzò leggermente la testa sentendo quei piccoli occhi bruciargli sulla nuca, poi sorrise, facendo segno di no con la testa "Mangeremmo noi stessi" disse poi con tono ovvio.
"Noi stessi?" chiese Riccardo "Che fetish strani che hai" rise poi.
"Nono" parlò rapido Alessandro sistemandosi meglio sul petto dell'altro ragazzo, questa volta stendendosi di petto, in modo da poggiare le braccia sul corpo di Riccardo e sistemare il mento sulle sue braccia.
Sentire respirare il piccolo sotto il peso della sue braccia era rilassante.
"Pensaci" proseguì a quel punto, felice di poterlo guardare negli occhi.
"Dimmi" biascicò il piccolo muovendo le mani verso dietro alla ricerca di un cuscino da mettere sotto la testa, per rilassarsi appena, impossibilitato a far qualsiasi altro movimento avendo il ragazzo addosso.
Alessandro lo precedette e, allungando appena il braccio, recuperò il cuscino per porgerglielo.
"Immagina se fossimo qui, senza fame se non di baci" disse mentre osservava Riccardo sistemarsi goffamente il cuscino sotto alla testa.
"Pensi davvero che ti verrebbe altra fame se non dei miei baci?" domandò il
più grande solo quando il piccolo fu fermo e sistemato e, dopo aver accennato un sorriso, tornò a poggiare il mento sulle mani.
"Penso di no" disse rapido Riccardo.
"Pensi?" domandò il moro alzando un sopracciglio.
"Si penso, cioè dopo qualche bacio mi verrebbe fame di altro" rise furbo.
"A volte vorrei non averti scopato per poter parlare di te senza ricevere da te allusioni sessuali" rise il più grande.
"Ci sarebbero lo stesso, ci sono sempre state" fece spallucce il ricciolino.
"Non saresti così sfacciato" disse ancora Alessandro con lo stesso sorriso.
Vederlo sorridere in quel modo era bello.
Riccardo pensò che mai prima di quel momento lo aveva visto così sereno.
"Lo sono solo al buio" fu sincero Riccardo.
Quelle guance rosse coperte dalle luci spente erano invisibili, lo rendevano sfacciato.
Quando la luce era accese lasciava spazio al palese, lo scopriva al vulnerabile.
Le guance rosse facili da vedere lo rendevano quindi timido.
"Spegnerò più spesso la luce allora" sorrise Alessandro "devo ricordarmene"
"Ma se hai appena detto che a volte mi vorresti parlare senza allusioni sessuali" lo guardò confuso il piccolo.
"Ho detto che ci penso a volte, ma è un pensiero che dura poco, lo schiaccia il pensiero di voler fare sesso con te ancora" rispose sincero.
"Ecco" sorrise soddisfatto il piccolo "Così va meglio"
"Comunque sesso a parte" biascicò il moro "Se fossimo qui sempre mi basterebbero i tuoi baci, non avrei più fame se non di quelli" proseguì Alessandro dando sfogo ai suoi pensieri.
Erano state le precedenti frasi dolci del piccolo a mettergli sicurezza.
L'idea di potersi aprire, condividendo i propri pensieri con Riccardo proprio come lui aveva affatto qualche ora prima in balcone e in spiaggia, gli veniva facile facile in quel momento.
"Hai già fame solo dei miei baci, lo so" parlò con voce impastata il piccolo "Lo so perché è lo stesso per me" sorrise poi.
"Quindi se lo è per te lo deve essere necessariamente per me?" domandò Alessandro fingendosi perplesso.
"No" disse rapido il ricciolino "È solo che certe cose te le senti" disse poi guardandolo meglio.
"Facciamo che saltiamo la cena e ci nutriamo di baci, che facciamo se poi dopo cena vogliono uscire?" disse sorridendo "Come la metti?"
"La metto che loro non esistono qui, e non esiste neanche la sera" disse Alessandro guardandolo.
"Oltre che la fame facciamo scomparire anche la notte e gli altri?" domandò Riccardo curioso.
Quei discorsi erano da sempre i suoi preferiti, farli con Alessandro lo era ancor di più.
Sentiva quella magia che aveva sentito in giardino tempo prima ma adesso era più forte, adesso che invece aveva Alessandro addosso.
"No, loro esistono" biascicò il più grande avvicinandosi alle labbra di Riccardo "Esiste tutto" proseguì sospirandogli sulle labbra e vide il piccolo socchiudere gli occhi, di seguito ad un sospiro. "Esiste la fame, esistono le persone, esiste mia madre, gabriele, andrea, ylenia, gugu, mia zia, persino vittorio" proseguì.
"Non nominare lui" sbuffò Riccardo "lui non esiste" abbozzò un sorriso furbo.
"Esiste esiste esiste" parlò ancora il più grande in dei sussurri e Riccardo sentì aumentare il respiro di seguito a quella vicinanza.
"Esiste la notte, il giorno, esiste persino il tempo" disse ancora il moro "Ma sono fuori da qui Riccardo, sono fuori da questa stanza" piagnucolò quasi.
"Per questo non vuoi che vada a fare la doccia" disse il piccolo, finalmente capendo.
"Per questo ti voglio qui" fece cenno di sì due o tre volte con la testa Alessandro, per poi sistemarsi meglio sul suo petto, avvicinandosi ancor di più alle labbra del piccolo, e sfiorandole con le sue.
Vide Riccardo aprire leggermente la bocca, pronto a baciarlo, pronto ad accogliere quelle labbra.
Si sporse persino in avanti, come desideroso di quelle attenzioni, di quei sospiri addosso, di quelle labbra sulle sue.
Alessandro lo guardò meglio dopo aver deglutito. Avvolse le sue mani attorno al collo del piccolo per poi salire piano lungo il suo volto.
Percorse gli zigomi, la fronte, per arrivare fin sopra, sui capelli, e poi scendere ancora.
Toccava il volto di Riccardo come fosse un pianoforte, sfiorava tutti i tasti componendone la musica migliore tra tutti: quella fatta di tratti del volto di Riccardo.
Toccava quella pelle come fossero vibranti corde di una chitarra, scorreva abile con le dita componendo una musica che sapeva di profumo.
Profumo che c'era già nella stanza, quello di salsedine, sale sulla pelle, tramonto concluso, profumo della pelle di Riccardo e profumo di sesso.
Si sentiva fin dentro le coperte, usciva fuori dai muri e rimbalzava sulle loro labbra, da quelle di Alessandro a quelle di Riccardo e viceversa, come fosse una palla e quella una partita di pallavolo.
"Lasciamo il mondo fuori Riccardo" proseguì mancando a quel bacio.
Riccardo seguì il suo volto desideroso di sentirlo addosso, desideroso di seguire ancora quel fiato.
Respirare l'aria che usciva fuori dalla bocca di Alessandro era l'unico modo che conosceva di respirare in quel momento.
Gli parve, di colpo, che se soltanto avesse smesso di respirare il sul respiro non avrebbe potuto respirare più.
Da quando Alessandro gli stava addosso non conosceva altro modo di respirare se non attraverso lui.
Non voleva respirare altra aria che non fosse quella di Alessandro, che non fosse il suo profumo, il suo respiro, l'odore della sua pelle.
"Lasciamolo fuori Alessandro" rispose sfiorandogli le labbra "Lasciamolo fuori per sempre" proseguì cercando di azzerare la distanza tra i due.
Ma Alessandro si mise a sedere rapido e, altrettanto rapidamente, Riccardo lo raggiunse, salendo sulle sue gambe e sedendogli addosso.
"Non smettere" disse alzandosi appena é raggiungendo ancora le sue labbra.
Alessandro, di colpo in estasi sotto quelle attenzioni, gettò la testa verso dietro.
"Non smettere" ripetè Riccardo e, dopo avergli baciato piano il collo, salì lungo la mascella per fermarsi ancora sulle sue labbra.
"Di fare cosa?" domandò guardandolo.
"Di respirare qui, di respirarmi addosso" disse Riccardo avvicinandosi alle sue labbra mentre con le mani correva lungo la sua schiena, piano, quasi come se su di essa ci fossero tasti e lui volesse toccarli tutti.
Alessandro era una mappa da leggere, il suo corpo un luogo sconosciuto da esplorare tutto, la sua mente un labirinto nel quale avrebbe amato perdersi e le sue labbra l'unico appiglio al quale voleva attaccarsi.
Lui che non si era mai lasciato andare, adesso non riusciva a smettere di stare attaccato ad Alessandro, concedendosi a lui, come fosse un peso, come fosse corda e Alessandro la sua ancora.
"Non smetto" rispose Alessandro alzando appena il volto, per raggiungere più facilmente quella labbra che tanto desiderava "Non smetto" proseguì sotto lo sguardo attento del più piccolo.
Riccardo, in cerca di quel contatto più di qualsiasi altra cosa, si alzò ancora un po', tenendosi in equilibrio sulle ginocchia e, con quelle mani che tanto avevano esplorato, si soffermò sui capelli di Alessandro, stringendoli.
"Non riesco a respirare se non mi respiro addosso Alessandro" disse il piccolo quasi nel panico.
Aveva voglia di dirgli tutto, di farlo adesso che poteva, ora che lo aveva li.
Quella sera profumava in maniera diversa, era forse il mondo che avevano lasciato fuori a fare quel profumo.
Gli suggeriva leggerezza, pretendeva leggerezza.
Alessandro gli aveva finora fatto così tanto bene ma così tanto male.
Male perché si era trattenuto.
E in quel momento, li, con il profumo d'estate che entrava dalla finestra e quello di sesso che veniva su dalle lenzuola e dai loro corpi ancora sudati, lui capì che non voleva trattenersi più.
Non di fronte a quel piacere fortissimo che aveva provato, non di fronte ad Alessandro.
Aveva pregustato, anche se poco, tutto quello che poteva dargli e ne voleva ancora e ancora.
Era malato di attenzioni, di contatto, di pelle contro pelle, di respiro contro respiro, di bacini uniti.
Voleva a tutti i costi smettere di trattenersi, per avere di più, per avere Alessandro.
"Cosa?" domandò il moro cercando un appiglio saldo al quale tenersi e, per fortuna, lo trovò nei fianchi di Riccardo che strinse così forte da fargli fare un lamento.
Non era bisogno di sesso quello che sentiva nell'aria in quel momento, non era l'eccitazione ad aumentargli i respiri.
Quello era qualcosa che andava oltre i loro corpi.
Era come se le loro anime sfesserò facendo l'amore, così forte, così intensamente, che si sentì di colpo stanco.
"Non riesco a respirare altro che il tuo respiro Alessandro" disse il piccolo avvicinandosi a lui.
"Respirami addosso perché sennò non respiro" proseguì e, con un solo movimento, mise il più grande giù, per poi riavvicinarsi alle sue labbra.

Quando le spalle di Alessandro toccarono il materasso freddo sentì i brividi corrergli lungo la spina dorsale ma si fermarono subito, circa all'altezza del petto, quando il piccolo tornò con le labbra vicino alle sue.
Era come se averlo di fronte e vicino fosse l'unica cosa a tenerlo vivo al momento.
"Non so se mi sono spiegato" piagnucolò poi Riccardo allarmato. Era stranito da quel non ricevere alcuna risposta.
"Io" balbettò "Io non conosco le parole giuste per.."
"Shh shh shh" disse Alessandro poggiando un dito sulla sua bocca.
Lo fece poi scorrere sulle sue labbra, delineando le linee di quelle superiori, poi di quelle inferiori.
Fu come impararlo a memoria, come disegnarlo nella mente.
Il movimento di quelle labbra perfette, la loro carne viva, quel colore rosso e accesso.
Erano impresse nella sua mente adesso, erano ben incise nella sua testa.
Fu certo, guardandole ancora una volta, che le avrebbe viste da lì, per sempre, incise nelle due palpebre ogni volta che avrebbe chiuso gli occhi.
Le labbra di Riccardo gli avrebbero tormentato il sonno e il riposo da lì, per sempre.
"Non dire niente" proseguì guardandolo.
Quei piccoli occhi vispi brillavano come quelli di un gatto, curiosi gli correvano addosso, spaventati cercavano risposte.
"Non esistono parole per noi" proseguì "Ma io capisco lo stesso cosa stai intendendo" proseguì.
Vide Riccardo abbozzare un sorriso, ma poi si fece perplesso, lo guardò stranito.
"Ah si?" domandò infatti poco dopo "Come capisci?" gli sussurrò sulle labbra, per poi allontanarsi, per guardarlo negli occhi.
"Sento le stesse cose che senti tu Riccardo" piagnucolò.
"Le senti da adesso?" domandò Riccardo con un breve sorriso, quasi un accenno.
"Le sento da tempo" disse Alessandro al suo orecchio.
Sentì il piccolo sospirare, per poi stringere più forte le mani attorno ai suoi capelli.
"Questa lontananza ha dato i suoi frutti mi sa" rise il piccolo.
Quel rumore più forte risuonò nel silenzio della stanza facendola colorare di colpo.
"Non siamo stati lontani Riccardo" rise piano anche Alessandro.
"Siamo stati lontani invece" rispose il piccolo sorridendo ancora "E non voglio che mi stai lontano più" proseguì tornado serio.
"Cosa vuoi dirmi Riccardo?" domandò Alessandro guardandolo.
"Non esistono parole, lo hai detto tu" sorrise il piccolo alzandosi appena.
"No" rispose Alessandro mettendosi a sedere, per stargli più vicino, per guardarlo meglio.
Prese il suo volto tra le mani e gli sorrise.
"Ma prova a dirmelo" proseguì.
"Mi sa che mi piaci Alessandro" sputò fuori di colpo Riccardo.
Lo fece così rapidamente da sconvolgersene, così rapidamente da sentire dolore al petto.
Ma quel dolore svanì subito, divenne sollievo, poi pianto.
Le lacrime iniziarono a scendere così in fretta da far venire il panico ad Alessandro, colto di sorpresa.
"No ehi, che succede?" domandò infatti cercando di riprendere quel piccolo volto tra le mani che ormai gli tremavano.
"Nulla" disse rapido Riccardo, poggiandosi poi sul suo letto, quasi raggomitolandosi.
"Nulla tranquillo" proseguì guardandolo appena "Sono solo tranquillo" disse dopo un singhiozzo.
Si sentiva come un bambino spaventato, nelle braccia della madre.
Ma la verità era che non era spaventato, non più, non in quel momento.
"Mi piaci anche tu Riccardo" parlò di colpo Alessandro.
"Davvero?" domandò il piccolo alzandosi dal suo petto e guardandolo con un sorriso.
"Davvero" sussurrò Alessandro per poi baciarlo.

*spazio autore*
ci ho messo un po' ma leggendo capirete il motivo.
era un capitolo importante e ho cercato di trattarlo bene bene, come meritava.
spero vi piaccia perché io ho letteralmente pianto scrivendolo.

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