capitolo cinquantasette: quindi?

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Alessandro se ne stava all'aeroporto in attesa di Riccardo come se in realtà stesse aspettando il suo turno alle poste.
Testa bassa, volto annoiato, mani in mano.
La realtà era che in quella postura apparentemente tranquilla e in quel volto serio nascondeva tutta quanta la sua ansia.
E la si poteva vedere, prestando attenzione, nelle labbra interne mangiucchiate, nelle mani rosse che stava torturando.
Quando in lontananza video il piccoletto il cuore aumentò di battito e il suo volto serio fu travolto da un sorriso enorme.
Lo osservò un po' prima di fargli un cenno divertito nel vederlo camminare, quasi saltellando, guardandosi attorno con il volto spaesato.
Ad interrompere quella sua contemplazione fu il suo telefono che squillava.
"Riccardo" disse rispondendo.
"Che ridi?" borbottò il piccolo dall'altro lato.
"Bella la maglia" rispose il più grande e rise ancora nel notare che, al suono di quelle parole, il ricciolino aveva iniziato a guardarsi attorno quasi girando su se stesso.
"Ma sul serio non mi vedi?" proseguì Alessandro interrompendo quel silenzio.
"No" disse sincero Riccardo.
"Guarda alla tua destra" disse il ragazzo rassegnato.
"A destra Riccardo" continuò riprendendolo.
Si era infatti voltato alla sua sinistra, come predetto e nell'udire la voce di Alessandro, dopo uno sbuffo, si voltò.
Il più grande alzò una mano e il piccolo fece un cenno per poi avvicinarsi con un sorriso.
"Ciao" borbottò poi staccando il telefono senza aspettare risposta.
Alessandro, con un sorriso timido, allargò un fazzoletto con su una scritta e aspettò che il più piccolo si avvicinasse.
"Cosa c'è scritto?" domandò Riccardo da lontano, assottigliando gli occhi per cercare di vedere.
"Avvicinati e vedi" fece ovvio il moro.

Quando Riccardo gli fu di fronte quasi aveva dimenticato della sua curiosità di leggere il fazzoletto.
Con il cuore che gli batteva forse troppo forte sentiva la pressione aumentare di fronte ad Alessandro.
Di colpo una domanda gli affollò la mente facendogli fare due o tre passi indietro: come avrebbe dovuto salutarlo?
"Il mio maggiordomo?" chiese cercando di tramutare tutta quella tensione in ironia.
Si rifugiava da sempre in essa d'altronde, così tanto spesso che chiunque lo conoscesse anche solo da qualche settimana poteva capire benissimo quando fosse nervoso tanto da rifugiarsi nelle battute.
Non era di certo una cosa a lui vantaggiosa ma non poteva farci nulla.
Preferiva l'ironia facile da intendere al silenzio imbarazzante.
"Si Signore" rispose Alessandro assecondandolo "Ho parcheggiato la sua Porsche qui fuori, non vorrei che sforzasse le gambe" rise appena.
"Intanto sa benissimo che preferisco il voi" proseguì il piccolo con tono serio "E poi la prego di guidare lei, non vorrei stancarmi ulteriormente dopo un volo così lungo e improvviso" proseguì il piccolo felicissimo di poter far quel discorso rispetto a qualsiasi altro.
Era grato da morire ad Alessandro e trovava assurdo il modo in cui riusciva a capirlo così tanto.
"Ovvio che si, sono a vostra completa disposizione" rise il moro facendo l'occhiolino.
Riccardo si ritrovò a ridere nervosamente, travolto da un improvviso imbarazzo che neppure lui capiva.
Che senso aveva essere in imbarazzo dopo ciò che era accaduto tra i due qualche giorno prima?
O forse era proprio quello il motivo del suo imbarazzo.
Si era svegliato a casa di Alessandro giusto due mattina prima e adesso era lì, di fronte a lui, di nuovo.
Si erano detti di rivedersi a settembre, quasi un mese dopo il loro saluto e invece adesso erano lì, l'uno di fronte all'altro.
Ancora una volta non avevano atteso il tempo prestabilito, ancora una volta si erano salutati inutilmente.
"Da qua" farfugliò Riccardo strappandogli il fazzoletto dalle mani.
Sopra c'era scritto, con una calligrafia da prima elementare, "sono qui per il babbo di minchia".
Si ritrovò a ridere di cuore di fronte a quel gesto carino.
"Vai alle elementari o all'asilo?" domandò poi guardando Alessandro.
"L'ho scritto ai parcheggi di fretta prima" si giustificò il più grande.
"Hai altro da dirmi o posso abbracciarti?" proseguì poi guardando prima il pavimento poi Riccardo.
Il piccolo, per non far vedere il rossore nelle sue guance aumentare, gli si gettò al collo immediatamente.
Alessandro, come se non lo vedesse da una vita, lo strinse più forte che poté.
"Ciao" biascicò poggiando il mento sulla sua spalla e rilassandosi del tutto tra le braccia del piccolo.
"Ciao" rispose lui accarezzandogli la schiena.
Fu Alessandro a sciogliere l'abbraccio, lasciò al più piccolo un bacio sull'angolo della bocca.
Fece quel gesto talmente tanto rapidamente da sembrar quasi un sogno, come fosse una cosa solo immaginata.
E forse era proprio questo il suo intento.
Riccardo sentì il cuore aumentare notevolmente di battito e si trattenne tantissimo per non guardarsi attorno.
Non voleva far restare male Alessandro ma non voleva neppure che gli altri vedessero ciò che era successo.
Voleva vederlo solo lui, voleva che fosse una cosa solo loro.
"Vedi che devi farmi lo stesso da maggiordomo" biascicò allargando il braccio come per fargli strada.
Alessandro, dopo un breve sorriso, iniziò a camminare verso l'uscita.
"Solitamente sono molto gentile con gli ospiti" sussurrò sporgendosi un pochino in avanti.
Poi, senza dire altro, riprese a camminare.
Non si meravigliò neppure del fatto che Riccardo non rispondesse, anzi era certo che non lo avrebbe fatto.
Quell'imbarazzo al primo incontro dopo qualche giorno di distanza ormai lo aveva ben capito.
Come la volta prima, alle macchinette, anche adesso Riccardo si stava tenendo distante.
La situazione si sarebbe sbloccata, proprio come la prima volta, anche se Alessandro questa volta non sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto, non dopo ciò che era successo appena due giorni prima.
Era già strano che lui fosse lì in quel momento.
L'idea che non si fosse ancora pentito della cosa lo confortava parecchio.

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