capitolo uno: riflesso.

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Quando Riccardo si svegliò il sole era ormai alto nel cielo da un pezzo.
Non ebbe neppure il coraggio di alzare le tapparelle e ringraziò che in casa non ci fosse sua madre altrimenti ci avrebbe pensato lei.
Delle mattine da solo si godeva le ore di sonno in più, quelle non interrotte da urla e irruzioni in camera.
Arrancò a fatica nel buio della camera inciampando due o tre volte su cose da lui lasciate fuori posto.
Tra un'imprecazione e l'altra per un secondo capì sua madre e la sua ossessione "metti tutto a posto subito".
Se quella camera fosse stata in condizioni decenti per lo meno non avrebbe rischiato di rompersi la faccia così spesso.
A fatica accese la lucetta del bagno e aprì gli occhi lentamente per far sì che non gli bruciassero troppo. Naturalmente fallì miseramente, troppo abituato alle tenebre nelle quali era chiuso almeno da mezzanotte del giorno prima quella luce, anche se piccola, fece comunque troppo male.
Aprì e chiuse le palpebre due o tre volte per abituarsi poi, trascinandosi, si avvicinò al gabinetto.
Quando si guardò allo specchio capì quanto pessime fossero le sue condizioni.
Sembrava non dormire da giorni e quelle occhiaie urlavano di tornare a letto nel più rigenerante dei sonni mai fatti.
I capelli erano arruffati, disordinati gli cadevano sulla fronte provocandogli fastidio.
Solo dopo qualche istante si decise a sciacquarsi il volto e al contatto con l'acqua fredda sussultò.
Poteva anche essere pieno luglio e potevano anche far quaranta gradi all'ombra ma Riccardo, al contatto con l'acqua fredda al mattino, aveva sempre i brividi.
Erano circa le sedici, lo noto dalla sveglietta sul letto che adesso, nel buio della stanza, illuminava più che mai.
Solo spinto da questa vergogna incredibile decise di dire addio alle tenebre e al suo invitante letto che infondo alla stanza lo chiamava ancora.
Alzò le tapparelle con decisione e, in mutande, uscì in balcone.
La vicina stava stendendo i vestiti e arrossì nel vederlo, portandosi una mano davanti agli occhi per la vergogna.
"Riccardo" urlò quasi con la sua vocina.
"Signora Rossi buongiorno" disse lui mentre si stiracchiava.
"Mettiti un paio di pantaloni per l'amor del cielo" proseguì la vecchina evitando di guardarlo.
"Mi conosce da quando ero bambino, con lei sono in famiglia" si giustificò il ragazzo.
"Si ma non sei più un bambino" finì lei per poi fargli un cenno con la mano ed entrare in casa.
Riccardo sbuffò infastidito per poi guardarsi, non aveva nulla di sbagliato.
'Come se non avesse mai visto qualcuno in mutande' pensò tra se e se.
Di certo non avrebbe smesso di starsene nel suo balcone come voleva.
"Che cazzo di caldo" sussurrò portando una mano alla fronte già sudata per poi rientrare in camera.
A dargli conforto per il resto della giornata fu la musica alta, la pasta della mamma scaldata e il condizionatore a palla.
Nonostante non avesse voglia di uscire dato il clima insopportabile la noia lo stava assalendo, così, rassegnato, telefonò al suo migliore amico.
"Oi Michi, che ne dici di bere un po' stasera?" parlò trascinando un po' la voce.
Stava sul divano ancora collassato, combattendo costantemente con l'idea di tornarmene a dormire.
"Stasera mi vedo con un tipo che canta" rispose l'amico senza neppure salutare.
Riccardo non ci pensò molto, d'altronde il loro rapporto era sempre stato così.
Talmente tanto forte che delle volte, al telefono, sembravano due sconosciuti.
"E non mi inviti?" parlò dopo un po'.
"Dobbiamo lavorare, deve far robe e dobbiamo parlare di musica" rispose il ragazzo dall'altro lato del telefono.
"Anche io faccio musica" rispose Riccardo.
Michelangelo di certo non lo aveva di fronte eppure gli fu chiara in mente l'immagine del suo sorrisone in quel momento.
"E va bene, alle otto passo a prenderti e smettila di mangiare cazzo" disse scoppiando a ridere.
Riccardo si guardò attorno prima di staccare, chiedendosi se l'amico fosse per caso nei dintorni e lo avesse davvero visto, poi, facendo spallucce, tornò a mangiare il suo panino.

Quando Michelangelo passò a prenderlo Riccardo era miracolosamente pronto da un bel pezzo.
La noia lo aveva portato a far le cose molto prima e aveva passato la seguente mezz'ora a tempestare l'amico di messaggi nonostante fosse ancora presto.
"Sono qui rompi palle" disse il ragazzo ancora dietro la porta.
Quando Riccardo aprì non gli sorrise nemmeno, piuttosto tornò sul divano gettandosi con tutto il suo disappunto.
"Non so se vengo, c'ho caldo e m'è passata la voglia" disse mettendo su un finto broncio.
Michelangelo, che lo conosceva ormai fin troppo bene, si chiuse la porta alle spalle, consapevole del fatto che non sarebbero usciti da lì per almeno i prossimi venti minuti.
Sedette accanto all'amico ricevendo solo un'occhiata di disapprovazione.
"Non ho fatto tardi" disse in sua difesa.
"Mi sono vestito io presto e m'è passata la voglia" incrociò le braccia il ragazzo.
"Ed è colpa mia" rispose Michelangelo rassegnato ricevendo un si con la testa piuttosto energico da parte dell'amico.
Poi, dopo un sospiro, si lasciò cadere sullo schienale.
Si scambiavano di un paio di anni lui e Riccardo, quasi dieci e in momenti come questo si notavano tutti.
Michelangelo era sempre stato un po' il papà di Riccardo, lo aveva sempre portato a casa dopo le prime sbronze, gli aveva sempre aperto la porta di casa quando litigava con i suoi e, gli toccava anche sopportare i suoi capricci.
Ma nonostante i suoi diciotto anni e nonostante i momenti da bimbo arrabbiato, Riccardo era davvero maturo per la sua età, tanto che Michelangelo quasi dimenticava la tanta differenza generazionale che c'era tra loro. Si volevano bene come fratelli.
"Che tipo è questo?" disse dopo un po' il più piccolo.
"Uno che odia i ritardi, quindi alzati" rispose il più grande ricevendo l'ennesima occhiataccia, questa volta assai più ironica.
"Dai so serio" rispose il giovane mettendosi in piedi e seguendolo del tutto controvoglia.
"È uno okay, che ti devo dire Ric?" rispose Michelangelo facendo spallucce.
Salì in auto un secondo dopo mentre Riccardo, rimasto fuori a causa dello sportello difettoso, stava bussando contro il contro impazzirete.
L'amico se la godette un po' prima di farlo entrare, consapevole del fatto che mai gli avrebbe tenuto il muso vista la tanta curiosità che aveva.
Riccardo era fatto così, era uno pieno di energia un secondo prima e svenuto per terra un secondo dopo.
Passava giornate intere a letto e notti sveglio pronto a divorare il mondo.
E quello, dopo un'intera giornata di ozio, era il suo momento di energia.
Michelangelo, vedendolo a braccia conserte, decise di aprire lo sportello.
"Sei una merda" rispose il ragazzo lasciandosi sfuggire un sorriso.
"Lo so" rispose il più grande.
"Allora è bravo?" chiese Riccardo dopo un po' spinto dalla curiosità proprio come Michelangelo aveva predetto.
"Insomma è bravo in quello che fa? Gli esce bella musica?" proseguì guardando l'amico con gli occhi tondi come quelli di un gatto.
"Sei meglio te secondo me" rispose sinceramente il più grande.
"Dai scé, me lo dici solo perché sei mio amico, dimmi la verità" proseguì il ragazzo.
"Te lo dico perché le basi te le sto a fare io zì, non per altro" lo punzecchiò Michi ma invano.
Ogni cosa scovolava su di lui senza toccarlo tanto forte era la curiosità.
"E ora che la base gliela fai tu è più bravo?" chiese stando al gioco annoiato.
"È forte in quello che fa so sincero, ma sei più bravo te Riccà, stammi a sentire" finì.
Riccardo fece un cenno poi, del tutto sincero, sorrise.
Era impazzirete all'idea di conoscerlo.

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