capitolo ottantanove: suonava bene.

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"Ciao" parlò di colpo Alessandro notando Riccardo finalmente lì, in quella veranda.
Si paralizzò però subito dopo, come ipnotizzato dalla figura di quel ragazzetto magro e non troppo alto.
Poteva benissimo dare la colpa alla sua bellezza se avesse voluto mentire a sé stesso.
Dire che era colpa di quei suoi ricci scombinati che cadevano sulla fronte liberi se era così, immobile come una marionetta senza fili.
Poteva anche dar la colpa alla maglietta bianca che aveva.
Il modo in cui si abbinava alla sua pelle bruciata e rossa a causa del sole preso negli ultimi giorni era spaventosamente bello, tanto da doverlo contemplare.
O forse erano i jeans larghi, i suoi preferiti, quelli che cadevano raggrinziti sulle scarpe, facendolo sembrare più basso, più piccolo.
Eppure la verità era che adesso che Riccardo era lì tutto gli sembrò di colpo una pessima idea.
Perché aveva deciso di ritagliare del tempo solo per loro?
Se ne sarebbero potuti benissimo stare in casa, con gli altri, a vedere i soliti film tutti assieme, stretti sul dondolo in veranda magari.
Forse quello sarebbe stato il modo perfetto per toccarlo senza ansia, per stargli accanto senza tutta quell'improvvisa paura che aveva.
Si sentì di colpo stupido guardandosi la camicia e i pantaloni lunghi fino alle ginocchia neri.
Perché si era vestito così bene per una passeggiata?
"Ciao" rispose Riccardo svegliandolo dai suoi pensieri paranoici "Cerca di dire qualcosa perché sennò me ne scendo a mare solo" piagnucolò andandogli goffamente incontro.
"A mare? Ci dovevo andare io li" sbuffò il più grande guardandolo.
"A fare?" domandò Riccardo mentre, senza aspettare l'altro ragazzo, si avviava verso il cancelletto, per aprirlo.
"Naturale, per scappare" disse Alessandro raggiungendolo.
Ancora una volta con il suo solito modo di fare Riccardo aveva salvato una situazione all'apparenza tragica.
Alessandro adorava quella sua ironia sempre giusta, sempre perfetta per il momento.
Poteva risolvere qualsiasi cosa con due parole quel ragazzino, era un potere che doveva concedergli.
Riccardo aveva sempre la giusta parola da dire al momento giusto.
"Da me?" chiese Riccardo aprendo il cancelletto e facendo segno con la mano al moro di uscire.
"Si, da te" disse Alessandro attendendolo sul pianerottolo.
Lo guardava chiudere quel cancelletto come se stesse facendo qualcosa di strabiliante.
Aveva gli occhi che gli brillavano ogni volta che lo guardava far qualcosa, persino cose stupide come quella che stava facendo.
Come aprire un cancelletto, spostare i fili di legno della tenda per uscire, litigare con la maglia per infilarla o toglierla, portargli un caffè nella sua tazzina preferita.
"E tu a mare cosa dovevi farci?" domandò poi, solo quando Riccardo lo aveva raggiunto.
Scesero l'ultima rampa di scale assieme.
"Dovevo affogare" disse rapido Riccardo, sorridendo per finta.
"Affogare?" domandò Alessandro alzando un sopracciglio.
"Anzi lasciarmi affogare" si corresse il piccolo "Rende meglio l'idea" proseguì alzando un dito come per fare il punto del discorso.
In realtà servì solo a dividere quell'aria fresca in due, separare quella che c'era da un lato del suo dito con quella che stava dall'altro.
Tolse la mano subito dopo, riportandola in tasca, come l'altra dal lato opposto.
Si sentiva non meritevole di spezzare quell'aria più di quanto non stesse già facendo il palese imbarazzo tra i due.
"E perché volevi lasciarti affogare? Colpa mia?" domandò Alessandro battendo con la sua spalla contro quella del piccolo.
Riccardo gradì quell'invasione di campo ed entro poco, con un gran sorriso, fece lo stesso, un po' più forte, come suo solito.
"Si" disse poi guardando Alessandro.
Stavano camminando lentamente verso una strada che non conosceva ma non gli importò. Seguire Alessandro era sufficiente, ogni strada andava bene se percorsa di fianco a lui.
"Avevo pensato di superarti, senza dirti nulla, e buttarmi in acqua per lasciarmi affogare" piagnucolò sincero.
"Per scappare da me ti spingeresti così oltre?" domandò il moro guardandolo.
Il fatto che Riccardo avesse provato, proprio come lui, quel bisogno di scappare lo confortava parecchio.
Se era dettato dalla stessa ansia che aveva spinto anche lui a far quei pensieri era di certo una cosa positiva.
L'idea che Riccardo fosse nervoso per quell'uscita tanto quanto lui lo fece tranquillizzare di colpo, facendogli spuntare un sorriso tra le labbra che Riccardo notò immediatamente.
Per fortuna, data l'affermazione precedentemente fatta da Alessandro associò quel sorriso a quella frase, trovando fosse addirittura calzante.
"Per nascondermi da te" lo corresse.
"Mi sento offeso" piagnucolò Alessandro facendo ancora quel movimento che tanto gli piaceva.
Lo spinse ancora con la spalla, questa volta un po' più forte, facendolo sbattere piano contro il muro di un vicolo.
"Dovresti sentirti lusingato invece" disse Riccardo ricambiando il gesto mentre se ne stava con le mani in tasca e le spalle alte.
"Lusingato? Come mai?" domandò Alessandro raggiungendolo.
Questa volta però con la spalla si limitò a sfiorare quella di Riccardo, senza spingerlo ancora.
Desiderava quel contatto da un po' e sentì fosse il giusto momento per averlo.
"Perché solitamente scappo da chi voglio vedere" rispose Riccardo guardandolo solo per un secondo.
L'aria profumava di mare e pietanze di ogni tipo il cui odore veniva fuori dai balconi.
Doveva già essere ora di cena se tutti stavano preparando da mangiare.
Riccardo fiutò l'aria cercando di capire quali odori appartenessero a quale pietanza.
"Carbonara" disse dopo poco, coinvolgendo Alessandro in quel suo gioco.
Lo stava palesemente facendo per combattere l'ansia, per sciogliere quella tensione, per non proseguire quel discorso, per non sentire la risposta dell'altro ragazzo.
"Non penso" disse il più grande stando al gioco.
"Senti questa" disse dopo poco indicando l'aria "Palese braciole cotte al carbone" proseguì facendo sorridere Riccardo.
"Questo è pomodoro" disse poi il piccolo, camminando più veloce per raggiungere un balcone.
"Un classico" rispose Alessandro annusando l'aria "Si" disse una volta raggiunto.
"Lasagne" sorrise poi, qualche passo più avanti al piccolo, indicando un balcone.
"Che fame" urlò Riccardo raggiungendolo.
"Signora complimenti" proseguì dopo poco Riccardo, notando una donna affacciata nel balcone in questione.
"Cucina lei?" proseguì ricevendo un cenno.
"Complimenti signora" disse ancora il piccolo "L'odore fa venire l'acquolina in bocca" urlò tutto contento.
"Complementi" disse anche Alessandro, alzando appena una mano per salutarla, seppur fosse intimidito.
Lui era più abituato a starsene sulle sue a differenza di Riccardo.
Tendeva sempre a passare inosservato, evitando cose come quella.
Eppure vedere Riccardo urlare alla gente nei balconi quanto fossero brave in cucina e saltellare per le vie facendo un gran rumore con le scarpe era assai bello da vedere per lui.
Di colpo poco gli importava sé quelle cose avrebbero attirato l'attenzione.
Riccardo poteva strillare a tutto il paese complimenti sulla loro cucina, invitandosi persino a cena e a lui sarebbe andata bene.
Adorava vederlo spensierato e bambino in quel modo, tanto che la sua timidezza passava in secondo piano di fronte alla gradita sfacciataggine del piccolo.
"Grazie, volete favorire?" domandò la donna lusingata.
"No grazie, accatteremmo volentieri ma il mio fidanzato mi sta portando a cena" disse Riccardo senza guardare l'altro ragazzo, per paura di una sua reazione.
Eppure immaginandola stava ridendo sotto ai baffi.
Alessandro al suono di quella parole sentì il cuore far un tonfo.
E non capì bene se fosse perché aveva smesso di battere o se fosse proprio perché aveva ripreso a farlo, dopo chissà quanto tempo.
Ma poco gli importava in quel momento dell'attività del suo cuore. Lo lasciava battere dappertutto, senza disturbarlo, senza preoccuparsi che standosene in quel modo in alto nella sua gola rischiasse di soffocarlo.
Il suo pensiero adesso stava in quella parola che tanto gli stava risuonando nella mente.
Lo aveva davvero chiamato "il mio ragazzo" o si era imaginato tutto?
Come mai lo aveva fatto?
Non aveva senso. Di colpo fu sicuro di essersi immaginato ogni cosa e, di seguito a quel pensiero, sembrò tornare tranquillo.
"Aspettate" disse la donna "Ve ne incarto un pezzo, arrivo subito" proseguì entrando dentro, senza aspettare risposta.
I due rimasero in silenzio per un tempo che parve interminabile in attesa dell'arrivo della signora.
Quando la serratura della porta scattò a entrambi parve di sentir sospirare l'altro.
"Tenete" disse la donna guardando i due con un gran sorriso.
Fu Alessandro a sporgersi in avanti per prendere la teglia di alluminio, per poi stringere la mano alla donna.
"È così gentile, non doveva" disse per ringraziarla.
"Grazie davvero" sorrise Riccardo per poi stringerle la mano, dopo Alessandro.
"Ma di nulla ragazzi mi avete migliorato la serata sul serio" sorrise lei.
"Grazie" disse ancora il moro con un gran sorriso sul volto.
"A voi, e divertitevi stasera tu e il tuo ragazzo" proseguì schiacciando l'occhio a Riccardo.
Al suono di quelle parole Alessandro capì che non era stato solo un sogno, che non si era immaginato tutto. Riccardo lo aveva davvero chiamato così.
Un sorriso spontaneo gli spuntò sulle labbra, tanto grande da mostrare i denti bianchissimi.
Riccardo se ne accorse e, guardandolo per un istante, ricambiò il sorriso.
"Senz'altro" disse guardandolo ancora, per voi voltarsi nuovamente verso la donna.
"Domani mattina giuro che prima di andar al mare passo a dirle quanto era buono" disse tutto contento.
"Dovete prima assaggiarlo" rise la donna.
"Si" sospirò il piccolo mentre si dondolava sulle gambe "Ma l'odore dice già tutto, a domani" finì stringendole ancora la mano per poi, dopo il saluto di ricambiò dalla donna, scappare via.
"Sei fortunato" disse ancora la donna guardando Alessandro che, confuso dai continui movimenti e cambi di rotta del piccolo, se ne stava ancora fermo sulla porta con la teglia tra le mani.
"Lo so" sospirò guardandola "Sono molto fortunato" finì con un sorriso.
Poi, dopo averla salutata e ringraziata ancora, si fece strada a passi svelti verso Riccardo.

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