capitolo settantasei: la penitenza sudata.

1K 57 23
                                    

L'aria fredda della notte tagliava la gola ad ogni respiro o forse era solo a causa del poco fiato rimasto nel corpo dopo una corsa così lunga.
Riccardo se ne stava sdraiato per terra da una manciata di secondi, felice di quella vittoria avuta, in attesa che l'avversario, nonché perdente tra i due, lo raggiungesse.
La testa sull'asfalto freddo pulsava di seguito a quella corsa, le gambe gli facevano male e l'alcol ingerito gli dava come la sensazione che stesse fluttuando mentre la testa gli girava più del dovuto.
Riprendere fiato era un'impresa assai ardua, mentre il respiro sembrava quasi morirgli nel petto dopo ogni tentativo di riprendere fiato.
Quando Alessandro lo raggiunse, poco dopo, riprendere fiato divenne ancora più difficile.
Quella sera vederlo ballare tra la folla non aveva fatto che aumentare un solo pensiero nella mente del più piccolo: non aveva nè avrebbe mai avuto così tanta paura di perdere qualcuno come quando si trovava in mezzo alla folla con Alessandro.
Lui la serata non se l'era quasi goduta a causa di quel bisogno di marcare il territorio.
Di certo il moro non gli aveva neppure reso più facile il lavoro mentre, con la sua solita sensualità, si muoveva come se fosse nato per attirare l'attenzione di tutti.
Eppure non lo faceva apposta, non lo faceva apposta per nulla, e di questo Riccardo ne era certo.
Alessandro sembrava essere nato per divenire il desiderio di chiunque gli posasse gli occhi addosso.
Tanto che Riccardo si sentiva fortunato ad essere quello, tra i tanti, a provare un desiderio largamente ricambiato.
Eppure tutti lo aveva guardato e basta, e chiunque poteva essere un potenziale rimpiazzo per quanto gli riguardava.
Adesso, dopo questa consapevolezza presa, forse così marcata solo grazie all'alcol che aveva in corpo, non gli veniva facile guardarlo.
Quel ragazzo, semplice e tranquillo così com'era, aveva inspiegabilmente rovinato ogni sua tranquillità, distrutto tutte le sue certezze, messo in dubbio tutti i suoi punti fermi.
E la cosa lo faceva arrabbiare da morire, ma proprio da morire, perché non lo faceva neppur volontariamente.
Era inutile dargli le colpe, dire che era stato lui a far primi passi, che Riccardo non avrebbe mai neppure per sbaglio provato attrazione per lui se Alessandro non fosse stato il primo a farlo.
Era inutile pensarlo perché non era così, affatto.
Per quasi tutto il tempo, fino a qualche giorno prima, aveva pensato ciò, aveva creduto che non fosse stato altro che un semino piantato in lui da Alessandro a portarlo a tutto ciò.
Ma da quando erano stati a letto per la prima volta, da quando la cosa si era ripetuta ancora e ancora, da quando quei baci erano diventati più naturali, e quello sfiorarsi necessario Riccardo, in quelle cose, non ci credeva più.
Era d'altronde il tratto caratteristico di Alessandro: mettere in dubbio ogni cosa dapprima certa.
E anche questo pensiero era riuscito a smantellarlo, come al solito senza fare nulla, dalla mente del piccolo.
Riccardo aveva provato qualcosa di nuovo per lui dalla prima volta in cui gli aveva posato gli occhi addosso, quella mattina, in piscina.
E la cosa era aumentata alla festa in casa sua, alla notte successiva.
Ogni massaggio fatto, ogni battuta scambiata, ogni sguardo condiviso l'aveva portato a desiderarlo sempre un pizzico di più.
E aveva capito tutto soltanto dopo il primo bacio, quando se non fosse stato per la mamma di Alessandro di certo non si sarebbe fermato a quello.
Un amico non ti farebbe bruciare le labbra in quel modo.
Eppure neppure nessuna ragazza gli aveva mai fatto bruciare le labbra in quel modo, neppure quella che aveva tanto amato.
Quindi cos'era mai Alessandro se non un amico ne un amante?
Cosa prova per lui se non amicizia ne amore?
Non aveva mai provato le farfalle nello stomaco prima di lui, non gli erano mai bruciate le mani ad ogni tocco, ne mai gli era bruciata la pelle come succedeva quando Alessandro lo sfiorava.
Quella dipendenza dai suoi occhi addosso, dalle sue attenzioni, da quello sfiorarsi..era tutto così frustrante e bello.
E ne era terrorizzato, ecco perché il fiato gli moriva in petto più sapendo che adesso Alessandro fosse lì a guardarlo che per quella corsa appena fatta.
"Tutto okay?" domandò il più grande risvegliandolo dai suoi pensieri.
Riccardo si mise a sedere immediatamente, osservando soddisfatto il modo in cui Alessandro, poggiato con le mani sulle ginocchia, stava cercando di riprendere anche lui fiato.
"Si" parlò dopo poco ricevendo un cenno dal più grande.
"E dimmi" proseguì mettendo sul volto quel solito sorrisetto furbo che più di tutti lo contraddistingueva.
Alessandro era più che certo che, se soltanto gli avessero fatto vedere mille sorrisi, solo quelli, senza che si vedessero volti, occhi o corpi, lui sarebbe riuscito a riconoscere quello di Riccardo senza problemi.
Ma non solo quello, avrebbe riconosciuto con le stesse modalità anche i suoi occhi, le sue spalle, il suo petto, anche se fosse stato senza tatuaggi per confonderlo.
Preso singolarmente avrebbe riconosciuto a primo sguardo ogni tratto di Riccardo, persino una ruga d'espressione o un movimento a lui comune.
Ad esempio sapeva bene come Riccardo abbassasse la testa per l'imbarazzo e come invece lo facesse per la timidezza.
Avevano due movimenti diversi quei suoi due gesti comuni e Alessandro sapeva riconoscerli entrambi, senza problemi.
Quando era in imbarazzo le guance gli diventavano rosse e la testa la abbassava del tutto, tanto da guardarsi i piedi.
Quando invece era la timidezza a fargli chinare il capo a farlo non erano gli occhi, quelli restavano alzati, come se fissasse di sottecchi.
Perché Riccardo era uno che gli occhi non li abbassava quasi mai, come dipendente dagli sguardi lui la gente la guardava sempre fisso.
Tranne quando capitava di imbarazzarsi, e con Alessandro capitava quasi sempre, che lui parlasse o meno.
Oppure conosceva bene quando si trattava di un sorriso falso e quando di uno vero.
Sapeva riconoscere il sorriso vero dal modo in cui le labbra gli si alzavano da sole, e gli zigomi gli si gonfiavano sotto agli occhi rendendoli più piccoli.
E poi quando un sorriso era vero a sorridere erano anche gli occhi del piccolo, mentre quando il sorriso era finto o forzato quelli non sorridevano per nulla, restavano scuri e fissi, non illuminati da nulla se non dalla luce che c'era attorno, che fosse del sole o della lampada sulla loro testa questo poco importava.
"Si?" domandò Alessandro faticando a riprendere fiato.
Quella corsa verso chissà dove era stata assai dura e il modo in cui era iniziata assai stupido.
I ragazzi avevano infatti deciso di cambiare locale dopo un po', troppo stanchi di quell'aria angusta del locale nel quale erano stati per quasi un'ora e mezza.
Avevano ballato, bevuto, e fatto stupidi brindisi serviti solo e soltanto a svuotargli le tasche.
Eppure dopo qualche ballo e qualche risata si erano resi conto che la notte fosse ancora giovane e le tasche non ancora così vuote.
E così, senza pensarci o mettersi d'accordo, quando la musica aveva smesso di essere di loro gradimento, un solo sguardo gli era bastato a capire che fosse il caso di cambiare location.
Nell'uscire si erano trovati però a litigare per la strada da prendere.
Alcuni credevano infatti che per arrivare al Moon fosse migliore la strada di città, mentre solo e unicamente Alessandro credeva fosse il caso di tagliare dalla campagna per fare prima.
Soltanto Riccardo, per solidarietà, aveva creduto la sua stessa cosa, pur non conoscendo assolutamente la zona.
E così, solo loro due, di seguito alla classica frase "Vediamo chi ha ragione", si erano incamminati verso la campagna, lasciando procedere gli altri verso la città.
Alessandro si era reso conto più o meno dopo qualche passo che non aveva ragione.
E così, dopo aver esposto la sua evidente sconfitta a Riccardo, entrambi avevano deciso di accelerare il passo.
Eppure nessuno dei due sapeva dire con certezza quando quel passo affettato fosse divenuto corsa, e poi gara.
Anzi si, Alessandro sapeva con certezza quando e perché fosse divenuta gara e il motivo era proprio il ragazzo seduto sull'asfalto di fronte a lui.
Con Riccardo tutto diveniva gara ad un certo punto.
"Come ci si sente a perdere?" domandò Riccardo con un gran sorriso.
"Perdere?" domandò Alessandro fingendosi tonto per poi, senza pensarci troppo, sedergli accanto.
Sentiva la gola pungergli ad ogni respiro, mentre il corpo gli bruciava per il caldo e il freddo della notte gli gelava la pelle di contrasto.
Si trovavano proprio all'incrocio, lì dove di lì a poco li avrebbero raggiunti gli altri.
Lì dove le strade della famosa scommessa si incontravano.
"La gara contro me e la scommessa contro gli altri" disse Riccardo tornando disteso sull'asfalto.
"Non ho perso nessuna scommessa contro gli altri, siamo arrivati prima noi" sorrise Alessandro guardando attentamente il piccolo.
Il petto gli faceva su e giù in maniera non ritmica mente Riccardo cercava di tornare a respirare regolarmente.
La camicia ormai semi aperta lasciava intravedere i segni rossi che lui gli aveva provocato.
Era così appagante vederli incisi su quella pelle bianca, come se fossero un timbro di appartenenza, qualcosa che fungeva da firma ad un contratto immaginario che lo faceva suo.
Alessandro si sentiva quasi certo di possedere Riccardo in quel momento, per quanto il concetto di possessione in realtà non gli fosse mai piaciuto.
Odiava chi lo aveva trattato come qualcosa di propria proprietà eppure amava quando Riccardo lo faceva.
Odiava etichettare qualcuno come di proprietà propria eppure sentiva Riccardo profondamente suo.
Suo nel senso di parte di lui, suo nel senso di suo amante, sua spalla, suo più grande motivo di desiderio, sua più grande condanna tra le condanne.
Riccardo era qualcosa di profondamente suo, tanto da sentirne il legame in maniera quasi viscerale.
Si sentiva un folle nel desiderare così tanto un legame tra i due, e odiava averne una dipendenza così forte eppure non poteva farci nulla.
Ogni momento passato assieme a lui gli riempiva del tutto la vita.
Ecco perché desiderava che Riccardo restasse suo, come quei segni che aveva sulla pelle, perché lui gli era vita più di tutti.
"Si" sorrise il piccolo guardandolo "ma solo grazie a quella gara che hai perso contro di me"
proseguì mettendosi a sedere di nuovo.
"Ecco, quindi non ho preso" sorrise il moro.
"Contro loro no, ma solo perché hai barato" rispose il piccolo avvicinandosi appena.
"E contro te?" domandò Alessandro guardandolo con un sorriso.
Gli veniva automatico sorridergli quando lo aveva vicino.
"Contro me si, hai perso eccome" disse il ragazzo tutto fiero "Vittoria schiacciante la mia" proseguì.
"Addirittura schiacciante" sbuffò il moro allontanandosi appena e si ritrovò ad esultare mentalmente notando il modo in cui il più piccolo, di seguito a quel suo allontanamento, si ritrovò a strizzare gli occhi scocciato all'idea di non avere quel bacio nel quale aveva probabilmente sperato.
"Non esageriamo ora" proseguì dopo poco e Riccardo colse a pieno il sorriso fiero sul volto del ragazzo.
D'altronde era una cosa che preferiva di loro quella, il fatto che si capissero senza parlare.
Quando Riccardo diceva o faceva qualcosa che voleva arrivasse chiara ad Alessandro ecco che Alessandro, quasi come leggendogli la mente, si ritrovava a mostrargli di aver capito.
E lo stesso era per Alessandro, lui notava sempre tutto, capiva senza il bisogno che Riccardo parlasse.
"Esagero" proseguì il piccolo facendo cenno di sì con la testa due o tre volte, mentre si avvicinava nuovamente alle labbra del ragazzo trascinandosi un po' sull'asfalto per avvicinarsi.
"Anzi no" disse ancora dopo un movimento che fece incastrare le loro gambe e avvicinare i loro volti, tanto che adesso i loro nasi si sfioravano.
Eppure, per la prima volta, nessuno dei due provava imbarazzo o bisogno di abbassare lo sguardo.
Occhi negli occhi se ne stavano incastrati probabilmente negli stessi pensieri.
"Mi stavo addormentando su quel pavimento nell'attesa che arrivassi" sussurrò Riccardo con un sorriso, il solito, quello irritante.
"Oh ma poverino" rise Alessandro avvicinando leggermente le labbra a quelle del piccolo.
I loro respiri ancora accelerati, anche se non più quanto lo erano stati prima, si sfiorarono.
"E dimmi" proseguì sorridendogli sulle labbra "C'è una penitenza per caso?" domandò alzando un sopracciglio.
Riccardo gli guardò gli occhi, poi le labbra, e poi ancora gli occhi.
E, seppur controvoglia, solo e soltanto per giocare il suo stesso gioco, si allontanò delle labbra leccandosi le sue, come per auto consolarle da quel bacio delle quali le aveva private.
Vide Alessandro sospirare esausto e un sorriso vittorioso fece capolino nel suo volto.
Ecco che Alessandro lo colse e, collegando tutto, dopo un sospiro, iniziò a far segno di no con la testa sorridendo.
"Sempre il solito" biascicò tornando poi a guardarlo.
"Beh, mi proponi tu certi giochi" disse Riccardo mentre si metteva in piedi di nuovo, nuovamente in forze, ripresosi da quella corsa.
Il respiro adesso era regolare e riprendere fiato non era più doloroso, adesso respirava normalmente.
"Pensi non partecipi?" domandò poi porgendogli la mano.
"Oh nono" disse Alessandro accettando il suo aiuto e stringendogliela "Conosco.." prese a parlare ma le parole gli morirono nella bocca quando, con un solo movimento rapido Riccardo lo mise in piedi avvicinandolo pericolosamente al suo petto "Il tipo.." biascicò con voce impastata e sottile una volta sul suo petto.
Riccardo gli strinse appena i fianchi, una presa leggera, ma comunque piena di chissà quale cosa.
Alessandro non lo capì, eppure sentiva l'impazienza di Riccardo nel tamburellare di quelle dita piccole e sottili sulla sua camicia.
"La penitenza c'è comunque" disse Riccardo lasciandolo e allontanandosi.
Fingere che quel contatto fosse solo dovuto alla presa per non farlo cadere gli riuscì bene tanto quanto gli riuscì bene far aumentare il desiderio in Alessandro.
Quei piccoli gesti calcolati, quei movimenti solo pregustati, quelle labbra prima vicine e poi lontane erano una partita da poker a carte scoperte.
Riccardo, abile giocatore, mostrando tutte quante le carte rendeva quel gioco palese, e altrettanto palesemente mostrava le sue mosse vincenti.
La vittoria era far impazzire totalmente Alessandro, e di questo entrambi ne aveva la piena consapevolezza.
Alessandro invece era un po' più il tipo da carte nascoste, lui le mosse vincenti le nascondeva, rendendole velate, ma assai più fastidiose.
Riccardo, in quei gesti quasi inesistenti da parte di Alessandro era certo di poterci perdere la testa un girono.
"E quale sarebbe?" domandò Alessandro mentre, distrattamente, si toglieva la terra dai pantaloni battendoci sopra con le mani.
"Tu nel prossimo locale bevi e basta" sorrise il piccolo indicandolo.
La luce della luna illuminava il volto di Alessandro quasi come fosse fatto di marmo.
Era statuario, perfetto, e le ombre sembrano nascondere i punti giusti, rendendolo più misterioso.
Riccardo avrebbe voluto avvicinarsi, tastare quel volto come stava facendo la luna, capirne i suoi punti nascosti, far luce in quelle ombre.
Eppure rimase fermo nella sua posizione, certo che fosse solo causa dell'alcol quel suo essere profondo.
Quell'introspezione, era si, vera più di qualsiasi altra cosa avesse pensato prima di quel momento, di questo ne era certo e ne sarebbe rimasto certo anche il giorno seguente, da sobrio.
Eppure era certo che l'alcol fosse quel coraggio che lo stava spingendo a pensarci, a rendere certi pensieri palesi a lui.
Era l'alcol a far da microfono a quei pensieri silenziosi nella sua mente.
Non avrebbe bevuto ancora, non se ciò sarebbe servito a farli uscire quei pensieri pericolosi.
"Perché?" rise Alessandro guardandolo ma ricevette solo delle spallucce.
"Cos'altro si dovrebbe fare in un bar se non bere?" domandò a quel punto cercando di capire in altro modo.
Riccardo era ubriaco fradicio, tanto quanto lo era lui, non serviva insistere in una domanda, sapeva che avrebbe parlato se soltanto avesse trovato le parole giuste per tirare fuori chissà quale strano pensiero che aveva in mente in quel momento.
"Ballare" disse infatti Riccardo, arrivando inconsapevolmente dritto al punto.
"Balli con me" disse Alessandro avvicinandosi di qualche passo.
Eppure la distanza tra i due era ancora tanta.
"No" disse svelto il piccolo, facendo due o tre volte segno con la testa.
"E perché no?" domandò Alessandro facendo altri due passi.
"Perché no" disse poi Riccardo, come fosse un bambino all'asilo con quelle risposte comuni a loro.
"Riccardo" lo rimproverò il più grande guardandolo con sguardo severo.
"Perché non me ne frega di ballare, non cambia le cose" sbuffò il piccolo osservando attentamente Alessandro e il pericoloso modo in cui lentamente si stava avvicinando.
"Quali cose?" domandò Alessandro restando fermo sotto quello sguardo indagatore.
"Lo sai" biascicò il piccolo grattandosi la testa.
"Riccardo" sbuffò il moro "Quali cose?" ripetè.
"Il fatto che tutti ti guardano" disse il riccio abbassando la testa.
"Quando ballo mi guardano?" domandò Alessandro con un sorriso ricevendo uno sguardo torvo dal piccolo.
"Si" disse poi senza guardarlo. "Come se non lo avessi notato"
"Sinceramente no" disse rapido Alessandro "Stavo guardando te" proseguì.
Vide Riccardo alzare lo sguardo e accennare un sorriso ma poi, di colpo, lo fece scomparire, sbuffando ancora.
"Non ti credo" piagnucolò "E non prendermi in giro" lo guardò male.
"Non ti prendo in giro" esclamò sincero il più grande facendo ancora due passi verso di lui.
Riccardo abbassò lo sguardo solo per osservagli i piedi. Quei passi lenti che lo portavano verso lui erano spaventosi ma belli, aspettava con ansia gli altri.
Ogni passo d'altronde lo avvicinava a lui.
E adorava tutti i passi di Alessandro che lo portavano a lui.
"Ah no?" domandò senza guardarlo.
Ogni riposta due passi, lo aveva ormai capito ed era concentrato su quello.
Fargli domande per avere passi, ecco cosa voleva.
"No" disse Alessandro facendo ancora due passi e Riccardo sorrise notando di avere ragione.
Il più grande notò quel sorriso e si guardò di conseguenza i piedi, capendo ogni cosa.
Riccardo lo aveva guardato, lo aveva capito, smascherato e adesso lo stava attirando a lui.
Ancora una volta stava usando quel suo gioco per vincere lui.
Ancora una volta stava facendo perdere Alessandro con le carte che lui stesso stava giocando.
Lo faceva sempre, ci riusciva sempre.
"Non ballo e tu non balli" disse poi e, notando il modo in cui quelle parole non portarono a due nuovi passi di seguito alla risposta di Alessandro alzò lo sguardo, deluso.
"Peccato" aveva infatti detto Alessandro senza smuoversi, avendolo smascherato.
"Mi sarebbe piaciuto vederti ballare ancora" disse poi restando fermo, e notò l'attesa bruciare nei grandi occhi castani del piccolo.
"Sei interessante quando balli" proseguì facendo due nuovi passi.
Riccardo, notandoli, si rese conto di aver smesso di respirare in quell'attesa di passi.
Lo notò solo perché adesso aveva ripreso a respirare.
"Anche tu" disse poi guardando il moro "E lo hanno notato tutti" sbuffò.
"E per questo sei geloso" proseguì Alessandro sentendo dei piacevoli brividi dietro al collo.
Sapere di non essere l'unico terrorizzato all'idea di occhi di altri su Riccardo era bello.
Si sentiva meno malato, meno opprimente, meno ossessivo.
"Non sono geloso" sbuffò Riccardo guardandolo male.
"Sei geloso invece" disse Alessandro facendo due passi "Lo sono anche io" proseguì poi prima che il piccolo potesse dissentire ancora.
Ecco che Riccardo, udendo una risposta che non si aspettava, spalancò la bocca.
"Cosa?" domandò poi sbattendo le palpebre.
"Che c'è?" domandò il più grande scrollando le spalle "Ti fa strano che io sia geloso di te?" chiese poi.
"Si" disse il ricciolino guardandolo "Cioè no" proseguì confuso per poi sbuffare.
"Si o no?" domandò Alessandro alzando un sopracciglio.
Altri due passi, due passi in più verso di lui.
Mancavano forse gli ultimi due per averlo vicino.
Riccardo cercò di capire se li volesse o meno quei due passi in più, se lo volesse o meno vicino. O più che altro se gli convenisse.
"Comunque problemi tuoi se sei geloso" disse poi sbuffando "Io non lo sono però"
"Ah no?" domandò il più grande facendo quei due ultimi passi.
Riccardo provò frustrazione notando che in realtà ne mancava ancora uno per averlo addosso.
Guardò prima i suoi piedi per accertarsi della distanza che li separava, poi salì lungo tutto il sul corpo con il suo sguardo per raggiungere i suoi occhi.
Eppure gli venne automatico soffermarsi per un secondo sulle sue labbra.
Ciò provocò un sorriso sul volto del più grande.
"No" sorrise il piccolo "Non dobbiamo provare per forza le stesse cose" proseguì guardandolo.
Alessandro fece segno di no con la testa due volte.
"Allora ballo se non è un problema" fece spallucce poi.
"No, la penitenza" gli ricordò Riccardo visibilmente allarmato.
"Non esiste nessuna penitenza se non ha senso" sussurrò il moro "Se non sei geloso posso ballare no?" domandò.
"No" sbuffò Riccardo.
Perché quel passo non stava avvenendo?
Perché non lo aveva ancora di fronte quando sarebbe dovuto accadere già due o tre domande prima?
"Perché sei geloso?" domandò Alessandro.
Ecco cosa avrebbe portato a quel passo.
Di colpo fu palese a Riccardo.
Avrebbe dovuto ammettere la gelosia che provava ma che mai avrebbe reso palese.
"No" disse però, rinunciando a malincuore a quella vicinanza a lungo desiderata.
Non poteva ammetterlo, affatto.
"Allora ballo" proseguì Alessandro sporgendosi appena con il corpo, senza compiere quel passo, per sussurrare al suo orecchio "Ballo finché non ammetti" proseguì.
"Ammettere cosa?" disse il piccolo deglutendo nervosamente.
"Che sei geloso" sorrise per finta il ragazzo, mostrando i denti, per poi allontanarsi senza dire nulla.
Riccardo rimase fermo a pugni chiusi per un paio di secondi, con il fiato accelerato e i nervi a fior di pelle.
E stava giusto per dire qualcosa quando sentì Alessandro parlare alle sue spalle.
"Guarda chi si vede" urlò infatti il ragazzo alzando una mano verso i suoi amici in lontananza.
Riccardo si voltò con un finto sorriso "E guardate chi aveva ragione" disse raggiungendo Alessandro per poi superarlo, e andare verso gli altri.
Sentì lo sguardo del più grande bruciare su di lui ma non si voltò.

*spazio autore*
miracolo perché sono riuscita a pubblicare non di notte YE.
Oggi capitolo lungo perché ero troppo ispirata.
RAGA MA LI VEDETE GLI #?
SIAMO ALTISSIMI E VI AMO, VI A M O.
troppo troppo troppo.

•come lo Yin e lo Yang•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora