capitolo centodue: per un ti amo ho mischiato droga e lacrime.

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Le quattro di notte.
Era più o meno la quinta volta che Alessandro guardava l'orologio, era più o meno la quinta volta che, dopo averlo fatto, si alzava dal divano per raggiungere la finestra con la speranza che ci fosse Riccardo davanti alla porta questa volta.
Lo aspettava da tre sere ma non arrivava più.
Non lo raggiungeva più in piena notte come aveva fatto per quasi un mese.
Non gli bussava più alla porta ubriaco, da tre giorni.
Proprio adesso che si era convinto a fargli quel discorso, proprio adesso che si era ripromesso di parlare, di sfogarsi.
Da quella sera in cui lo aveva raggiunto a casa lo aveva fatto anche le sere successive, quasi ogni sera.
Le prime volte erano rimasti nel letto a coccolarsi, in silenzio.
Nessuno dei due aveva osato parlare, né aprire discorsi scomodi come la loro lite o il fatto che non avessero effettivamente ancora chiarito.
Alessandro evitava di parlarne per non litigare ancora. Voleva solo godersi Riccardo sul suo petto adesso che finalmente era tornato a starci.
Per quale motivo Riccardo non ne parlasse questo non lo sapeva per nulla, anche se sotto sotto sperava fosse per lo stesso motivo.
Le coccole erano diventate mano a mano carezze, e notte dopo notte si erano riscoperti uguali.
Avevano capito di aver bisogno l'uno dell'altro, l'uno delle vicinanza dell'altro, l'uno del corpo dell'altro.
E di colpo una notte, tanto simile ad un sogno, erano finiti per far i preliminari, anche quella successiva, anche quella dopo.
E poi, quella dopo ancora, avevano fatto l'amore.
Ed era stato come farlo per la prima volta.
Era stato tutto nuovo, tutto così lento e meraviglioso.
Sere e sere a toccarsi prima di farlo, come se tutto quel tempo non fosse stato altro che una lunga notte, come se i giorni in mezzo non fossero esistiti.
Ogni sera riprendevano lì da dove avevano lasciato la sera prima, eliminando il giorno passato in mezzo.
Da quella sera, quasi ogni notte, avevano fatto l'amore.
Non più sesso ma amore.
Amore così tanto forte da non far trovare le parole giuste ad Alessandro per uscire l'argomento.
Voleva parlargli ogni sera, lo aspettava deciso.
Gli avrebbe detto che non aveva più senso nascondersi nel buio del suo appartamento per essere ciò che volevano essere.
Avrebbe voluto chiedergli come mai di giorno lo evitasse del tutto, per poi tornare lì ogni notte a desiderarlo come fosse tutto ciò che voleva.
Avrebbe voluto domandargli se per caso lo stava prendendo in giro, se per lui era solo sesso o c'era quel qualcosa in più che invece lui aveva colto.
Avrebbe voluto, avrebbe voluto e avrebbe voluto eppure ogni sera, quando Riccardo varcava la porta di casa mezzo brillo, o magari delle volte stranamente del tutto sobrio, le parole gli morivano in bocca, il terrore di rompere quel momento con discussioni aumentava, e finiva per arrivare nel suo letto, spinto da Riccardo, senza dire nulla.
Ogni mattina era un'agonia quando si svegliava solo, cercando il più piccolo nel letto.
Restare solo significa convivere con il fallimento: neppure quella notte aveva cercato di chiarire, anche quella notte non si era amato neppure un po'.
Raramente capitava di trovar Riccardo ancora addormentato di fianco a lui, eppure quando si svegliava non era più lo stesso, si rivestiva veloce, metteva su una scusa, e se ne andava senza salutare.
Era come se di colpo Riccardo fosse diventato due persone.
Una durante la notte lo trattava come fosse l'unico, lo guardava con desiderio e lo coccolava come se lo amasse.
L'altra sgattaiolava via dal suo letto come se non vedesse l'ora di andar via.
Alessandro era confuso, e odiava il Riccardo so mattino, eppure non riusciva a parlarne con il suo Riccardo, quello che poteva avere solo di notte.
Lo ringraziava davvero l'alcool, come gli aveva detto quella prima notte dopo quel mese e mezzo Riccardo.
'Devi ringraziare l'alcol' gli aveva detto, quell'alcol che gli aveva permesso di tornare da lui, quell'alcol che ogni sera glielo riportava accanto.
Eppure lo malediceva anche quell'alcol che, una volta andato via dal suo corpo, glielo portava lontano il suo Riccardo, lo rendeva diverso con la luce del sole.

E quella notte avrebbe tanto voluto che Riccardo fosse tornato, scusandosi per non averlo raggiunto per tre notti.
Gli sarebbe bastato un sorriso per tornare a stare bene, si sarebbe poi seduto sul divano, lo avrebbe invitato a fare lo stesso e una volta per tutte avrebbe chiarito quella situazione.
Se chiarire significava perderlo, non dormirci più assieme ogni notte, ci avrebbe fatto l'abitudine prima o poi.
Ma non poteva stare un secondo in più con quel dubbio.
Voleva capire, una volta per tutte, non cosa Riccardo provasse per lui ma piuttosto cosa volesse da lui.
Se per averlo doveva rifugiarsi in una camera da letto, se per averlo doveva aspettare che sgattaiolasse nel suo appartamento di notte non era lui a volerlo.
Alessandro voleva altro.
Voleva un amore alla luce del sole, le mani unite sul lungomare magari, o i discorsi condivisi per strada.
Voleva un amore che si nascondesse tra le lenzuola, nella sua camera, di notte si, ma che avesse anche la forza di sopportare il mattino, di continuare allo stesso modo di giorno.
Voleva solo che Riccardo bussasse alla sua porta quella sera per chiedere una volta per tutte a quel piccolo ragazzo dai capelli ricci di scegliere quale delle due versioni di sé essere: sé quella che lo desiderava accanto di notte o quella che scappava al mattino.
Avrebbe accettato entrambe le scelte, avrebbe rispettato il volere di Riccardo qualsiasi esso fosse. Ma voleva che fosse chiaro una volta per tutte, voleva capire se vivere quel rapporto come qualcosa da iniziare o chiuderlo come se invece fosse una cosa da finire.

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