12. Un imprevisto

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[Papà] [Domenica mattina 24/02/2019]

E' la quarta volta che varco l'uscio di una camera dei miei figli, violando i loro spazi di intimità e sicurezza, trasfigurando quello che dovrebbe essere un porto sicuro in un luogo di punizione, una camera delle torture.

Mi fermo al centro della camera e li scruto in silenzio, mentre loro fanno altrettanto. Luca sta a terra leggere fumetti. Marco è a letto, in mutande. Raggiungo la sedia, che è rimasta dove l'avevo posizionata e vi lascio sopra l'asciugamano. Stringo la cintura nel pugno, strofino il cuoio sul palmo della mano, imprimendo la sensazione tattile sulla mia pelle.

"Luca, esci dalla camera. Devo parlare da solo con tuo fratello."

Non appena parlo, Luca scatta in piedi, lo sguardo furioso, i pugni stretti. "Cosa diavolo vuoi fare?!"

"Datti una calmata!" Non volevo reagire così, ma il tono esasperato di mio figlio mi esaspera a mia volta. Calmo, devo restare calmo, devo contrastare una possibile escalation dei toni.

"No, cazzo!" Sbraita platealmente. E' fuori di sé. "Adesso basta!"

"Luca!" urlo, facendo tuonare il suo nome nella stanza. "Non ti permetto di parlarmi in questo modo!"

"Me ne frega un cazzo!" Replica ancora.

"Luca, ti ho avvertito! Non tollero questo comportamento indisciplinato e insolente!" Agito la cintura, minaccioso. Mio figlio si appresta a lanciarmi qualche insulto, ma lo anticipo. "Devo solo parlare con tuo fratello!" Ma Luca non mi ascolta, non ragiona, è come se avesse davanti un'altra persona. Un altro padre, che ha osato levare le mani su di lui. Nel ciclone di parole e insulti sputati, si insinua suo fratello.

"Luca, ora basta! Mi difendo da solo, smettila di fare il coglione!" Mi volto e vedo l'altro gemello seduto sul bordo del letto. Gli occhi lucidi, lo sguardo severo e anche preoccupato. Chissà se più per se stesso che per il fratello.

"Non mi interessa!" sbraita ancora. "Io di qui non me ne vado! Tu vuoi picchiarlo ancora, dì quello che ti pare, ma è questo! Ci hai preso gusto a picchiarlo!"

"Luca! Non ho intenzione di discutere questa cosa con te! Ti ho dato un ordine, ora vai a lasciaci soli!" Ma mio figlio continua a parlare, seguendo il proprio filo del discorso, come se non avessi parlato.

"Gliele vuoi dare con la cintura, dillo! Non sei solo violento, sei pure vigliacco! Chi si porta una cinghia appresso se vuole solo parlare?!"

Guardo mio figlio, il volto trasfigurato dalla rabbia. Devo interrompere questa situazione e riprendere il controllo. Mi rendo conto di non essermi mai ritrovato in una situazione simile, e la colpa è solo mia, per essermi sempre sottratto al ruolo che mi spetta come padre.

"Luca, mi sto davvero seccando. Se non te ne vai, la sculacciata la darò a te per la tua insolenza!" Agito la cintura e la faccio schioccare nell'aria. Spero di intimorirlo, ma, me ne rendo conto un istante dopo, il gesto ha solo l'effetto di gettare benzina sul fuoco.

"Cazzo, lo sapevo!"

Succede in un attimo. Luca compie uno scatto, mi si avvicina senza che me ne renda conto e afferra un'estremità della cintura. I miei riflessi si muovono prima dei miei sensi e stringendo il pugno riesco a resistere al tentato scippo.

"Dammela!" urla mio figlio, agitando il braccio, tentando di sfilarmi la cintura. "Marco, cazzo, aiutami!". Con uno strattone mi libero di mio figlio, che però a quel punto mi prende alla sprovvista e con uno scatto anziché tornare ad afferrare la cintura mi agguanta da dietro, agganciando le sue braccia alle mie ascelle, immobilizzandomi. Non che possa effettivamente bloccarmi, ma di sicuro riesce a tenermi impegnato, distratto, al punto da non accorgermi che, mentre mi divincolo – con attenzione, non voglio rifilargli una gomitata per errore – Marco si avvicina e mi sfila la cintura dal pugno. "Presa!" urla, vincitore.

Le nuove regole di papà (vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora