38. Non farmi male

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[Papà] [Venerdì pomeriggio 8/03/2019]

L'agognato fine settimana è arrivato.

La meritata conclusione per una settimana che ha messo a dura prova ognuno di noi, in questa casa. Giulietto, con la sua febbre, i suoi capricci, le torture subite da un genitore che ha dovuto tenere addosso i panni di un padre attento ma severo, capace solo di dispensare supposte e sculacciate. I gemelli, meteoropatici, fiaccati da un tempo cupo, sofferenti per l'eccessiva attenzione strappata dal loro fratellino. Riccardo, nei suoi occhi ho letto, in tutti questi giorni, l'ansia, l'attesa, l'impazienza. Quando è comparso alla porta del mio studio – la mia fortezza della solitudine, in cui smettere i panni del papà severo ed essere solo me stesso, mentre stavo intento a navigare in Internet alla ricerca di spunti di riflessione, articoli on-line sui più recenti eventi della politica italiana e quel carrello di Amazon, straripante di libri – sapevo già cosa mi avrebbe chiesto. Non ho dimenticato l'arcano e nascosto significato che questa data ha assunto agli occhi di mio figlio. No, niente a che vedere con mimose e torte alla crema al limone. Per mio figlio, benché non abbia mancato di onorare sua madre come si deve, l'otto marzo è solo un giorno che lo separa dalla conquista della libertà. Una libertà da pagare a caro prezzo, tuttavia.

"Oggi è l'otto marzo".

"Vero".

"E domani... è il nove".

"Vero anche questo".

"Dai, papà..."

Lo osservo attentamente, lì sulla porta, come in bilico, tra le sue preoccupazioni e le sue intenzioni, tra il timore della mia reazione e la ferrea volontà di ottenere quanto gli spetta. I piedi nudi, testardi, che calpestano impazienti il parquet. I logori pantaloni della tuta grigia, quella vecchia e adorata felpa, blu scuro, con su l'immagine stilizzata di un lupo orgoglioso e solitario, che si stringe al suo torace in un abbraccio caldo, che ha il sapore della sua infanzia. Ce l'ha dai dodici anni. La stessa età dei gemelli, adesso. Salgo con lo sguardo, i capelli più disordinati del solito, forse cominciano ad avere bisogno di una bella decespugliata. Il viso ancora glabro ha un'ombra di stanchezza. E' già una settimana che hai avuto indietro il tuo telefono, e già ne vedo gli effetti deleteri. Non dormi abbastanza. Anche se ti ho imposto di spegnere quel maledetto arnese e di tenerlo lontano dal letto, lo so – cosa credi, amore mio? – che quel dannato santino luminoso ti illumina gli occhi di blu fino a notte fonda. Dovrei punirti? Rimproverarti? Lasciarti libero, almeno in questo, di seguire su una strada lastricata di errori, finché sia tu stesso a desiderare un percorso più salutare? No, non è il momento. Oggi sei venuto a riscuotere. Una cosa alla volta. Un giorno alla volta.

"Non stare lì sulla porta, dai. Vieni qui". Gli indico il divano. Mi alzo e mi allontano dalla scrivania, abbandono questo asettico assetto da studio medico, quasi fossimo un indifferente e borioso dottore e il suo giovane, imbarazzato paziente, e non un padre e suo figlio. Ci incontriamo a metà strada, quasi si scontriamo, a fianco del divanetto. Prendo posto con calma e mi accomodo, mio figlio esita qualche istante, poi prende posto al mio fianco, ma schiacciandosi all'estremità opposta, quasi a voler mettere quanti più centimetri possibile tra i nostri corpi.

"Cosa vuoi chiedermi?" Lo so cosa vuole chiedermi, ma questo momento è suo, è lui il protagonista, sta a lui tirare fuori la voce, assumersi la responsabilità, fare la richiesta e prepararsi a pagare il giusto prezzo.

"Domani Giampy fa una festicciola, nulla di che, a casa sua". Giampy. Anthony. Axel. Nomi che si affollano nella mia testa, nella galleria dei ricordi, senza riuscire a fissare un solo volto. Solo, una lista di nomi ridicolmente anticonformisti (ma conformisti alla rovescia) che affollano le classi scolastiche, quella di mio figlio come quelle nelle quali insegno.

Le nuove regole di papà (vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora