51. Dobbiamo parlare

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[Papà] [Martedì 19/03/2019]

Dopo pranzo ho bisogno di stendermi, ma devo posticipare. Mia moglie deve tornare in ospedale, le concedo un po' di respiro, le dico di stendersi per quel poco che le resta sul divano, mentre sparecchio, vigilo sui ragazzi, accontento il piccolo che vuole guardare la tv per altri dieci minuti, ricordo agli altri di fare i compiti, torno da Giulietto e gli ricordo per l'ennesima volta di prepararsi la borsa del calcetto, tre settimane senza scuola calcio e già abbiamo perso tutti le vecchie abitudini, sembra una cosa così nuova.

Uscita mia moglie, mi concedo un riposino. I ragazzi sono tutti nelle loro camere. Vado in camera da letto, lascio la porta socchiusa, abbasso un po' la serranda e alla penombra, non appena metto la testa sul cuscino, mi addormento.

Mi sveglio, una sensazione di disagio, l'interruttore del cervello primitivo che si attiva, l'allarme di pericolo imminente che ti fa svegliare non appena entra qualcuno in stanza, o un minuto appena prima che suoni la sveglia. Sento dei mormorii, apro gli occhi, dei fruscii alle mie spalle. Mi volto e vedo i gemelli, incerti, davanti la porta aperta, la luce che entra dal corridoio.

"Hmm... che succede?"

"Ecco, hai visto, stava dormendo! Ora s'incazza sicuro!" La voce di Marco, flebile, il tono però nervoso, agitato, rivolto a suo fratello. Luca lo zittisce e avanza, deciso. Mi metto a sedere sul letto, mi stiracchio. Indugio con lo sguardo, sono ancora vestiti come quando sono andati a scuola.

"Dobbiamo parlare". Luca. "Però devi promettere che non ti arrabbi". Che hanno combinato? Mi scuoto, mi torna in mente l'immagine del loro mesto rientro a casa, dalla scuola.

"Che avete fatto?"

"Papà, sul serio, prometti che non ti arrabbi!" Non ho intenzione di assecondare una simile richiesta, ma Marco interviene, criticando suo fratello.

"Basta, taglia corto! Diglielo e basta, tanto s'incazza a prescindere".

"Cos'è che mi dovrebbe fare incazzare?", chiedo, citando Marco, che arrossisce.

Luca mi fissa, poi distoglie lo sguardo, incerto. Cammina intorno al letto, lo guardo puntare gli occhi sul letto, forse vorrebbe avvicinarsi, sedersi, ma alla fine resta in piedi. Marco non si è mosso, resta davanti la porta. "Abbiamo..." Inizia, ma si blocca. Si volta a cercare lo sguardo di suo fratello, sembra incoraggiarlo. "La prof ci ha riconsegnato i compiti di matematica. Ti ricordi, la settimana scorsa?"

"Hmm, sì. Volevate saltare scuola. Come sono andati?"

"Male, come vuoi che siano andati?" Sospiro. Ecco cos'è che avevano.

"Volevamo dirtelo prima che lo scoprissi dal registro elettronico". Marco sa sempre cosa dire, al momento giusto. Basta poco per sopprimere il disappunto che già sentivo montare dentro di me.

"Avete fatto bene a dirmelo subito, allora", dico loro, Marco sorride, Luca è sorpreso, ma vedo il suo volto distendersi, rilassarsi. Nondimeno, un filo di nervosismo resta. "Quanto avete preso?"

"Quattro e mezzo". Taglia corto Luca. Ah, poteva andare peggio. Sposto lo sguardo su suo fratello, che mi evita. "Anche tu?"

Marco scuote la testa, poi, a capo chino, ammette: "Io ho preso quattro". Ah, però. Immagino che i loro compiti siano stati uguali, ma valutati in modo diverso? No, non voglio pensare male di una collega, stressata dall'insegnare alle medie a un branco di ragazzini pubescenti. Magari Marco ha semplicemente tirato i remi in barca. Oppure Luca è riuscito a gettare lì, nel compito, qualche calcolo scopiazzato dal vicino di banco. Poco importa, quattro o quattro e mezzo, è comunque un risultato deludente. Sapevano che avrebbero avuto la verifica, non hanno studiato, hanno provato a saltarla, mi sono opposto e hanno avuto quel che si meritano. Dalla loro docente, almeno. Quanto a me... riscuoterò a breve anch'io.

Le nuove regole di papà (vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora