52. Fa più male a me che a te

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[Papà] [Giovedì pomeriggio 22/03/2019]

Riccardo rientra che sono passate le due e mezza. Gli ho lasciato il piatto di pasta al caldo, sulla tovaglia. Accanto, un post-it giallo, con su scritto, semplicemente: mangia. Un ordine, non un consiglio. Un altro post-it è quello che lo attende nella sua stanza, sul suo letto, insieme alla cintura e al righello, annunciando una conversazione che si concluderà, inevitabilmente, con una sculacciata.

Per tutto il tempo, mentre mi lascio rodere dal nervosismo, dall'ansia, attendo nel mio studio. Cerco di tenermi impegnato, ma non riesco a far nulla. Fisso lo schermo acceso del mio portatile, lo scruto come a cercarvi profondità di senso, ma questo ottuso display mi restituisce solo l'insensatezza che si scorge nel mio profilo, nei miei occhi opachi, nelle rughe che negli ultimi giorni mi sembrano aumentare a dismisura. Come se superati i quarantacinque ci fosse solo un baratro che mi attende. E' solo questione di tempo.

I gemelli discutono nella loro stanza, li sento parlare, alzare il tono, non capisco se stiano litigando oppure è semplicemente il loro modo di fare, di farsi trascinare dall'emotività, dalla passione. Il piccolo è rimasto a guardare la tv nel salone. Ancora un po' e poi dovranno andare a fare i compiti.

Sento la porta aprirsi, richiudersi con un botto indelicato, la solita incuria di Riccardo, quando è prigioniero di questo mood: sbatte le porte, le ante degli armadi, trascina fastidiosamente le sedie, lancia lo zaino a terra. Le scarpe, tolte mentre sta in equilibrio prima su un piede, poi su un altro – un'asana di yoga, nella versione personalissima di mio figlio – rotolano sul pavimento. Lo intravedo, passa in corridoio davanti al mio studio, guarda dritto come uno zombie, il cappellino ancora in testa, va in bagno, non si cura di chiudere la porta, sento lo scorrere della sua pipì sulla ceramica, poi lo sciacquone, almeno si lava le mani; immagino - perché non riesco a vederlo - che si asciughi malamente sull'asciugamano, appallottolandolo, oppure no, non si prende il disturbo; cammina per il corridoio sgocciolando dappertutto. Entra in camera, lo capisco dalla distanza dei passi, chissà se vede il bigliettino, la cintura sul suo letto, chissà cosa stai pensando, amore mio, se mi stai odiando e se anche nei tuoi pensieri più intimi, prigionieri della tua torre di ossa e tenebra, ricoperto di rovi e spine, io non trovo posto. I tuoi passi si fermano, c'è silenzio, forse sei lì, al centro della stanza, fissi il righello, la cinghia, leggi il bigliettino, lo accartocci e lo getti via, oppure no. Torni indietro, ti sento trascinare le ciabatte sul parquet, tornare verso la cucina, un lontano tintinnio di posate. Mangia, amore mio. Poi faremo i conti.

Esco dallo studio e mi incammino verso il salone. Non arrivo nemmeno alla fine del corridoio, resto lì, come sull'orlo del precipizio, resto al riparo dalla vista della cucina, nascondendomi da mio figlio, lo sento mangiare. In fondo al salone vedo la testa di Giulietto, gli urlo, facendolo sobbalzare, che gli restano cinque minuti di tv, poi deve andare a fare i compiti. Il piccolo si lagna, vuole contrattare, ma oggi non ho pazienza, alzo la voce e me ne vado, lasciando il piccolo a lagnarsi e Riccardo a mangiare, chissà cosa pensi, amore mio, mentre senti la mia voce rimproverare tuo fratello ma evito accuratamente di farmi vedere da te.

Torno nel mio studio, la mia fortezza della solitudine, contemplo la forza delle mie convinzioni, dei miei propositi, punire Riccardo, punire il suo mutismo, abbattere le sue difese... farà più male a me che a te, amore mio.

Il cicalino del telefonino, abbandonato, inerte, in mezzo a una pila di carte sul ripiano della scrivania, mi scuote, destandomi. Rovescio le carte, prendo il telefono e, ma tu guarda, un messaggio di Riccardo. Troppo pigro per venirmi a chiamare? No... è evidente che ha letto il mio post-it. Quindi è così che ora comunichiamo, avrà pensato. Be', non posso biasimarlo. Ho cominciato io. Sblocco lo schermo: è una foto. Una foto del suo letto, con ben visibile la cintura, il righello e, in primo piano, il post-it stretto tra le sue dita. La didascalia alla foto recita: che cazzo significa?!

Le nuove regole di papà (vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora