7. Di mutandine colorate e segreti imbarazzanti

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[Papà] [Domenica mattina 24/02/2019]

Con un gesto affettuoso della mano, sospingo mio figlio Luca in direzione del letto a castello che condivide con la sua metà. "Luca, vai a sederti al posto di Marco." Il gemello guada dapprima Luca, poi, a sentire il proprio nome, quasi sobbalza e solleva lo sguardo verso di me. "Marco, dai, tocca a te."

Il mio figlio più diligente, ma insoddisfacente anche lui, talvolta presuntuoso, irrispettoso nella sua indifferenza verso l'autorità che non risulta più sopportabile della fastidiosa insolenza del suo gemello, si alza velocemente dal letto, ma senza decisione. Sembra voglia fare un passo avanti, ma poi rimane lì, a pochi centimetri dal materasso alle sue spalle e a poca distanza da suo fratello, che prende posto sul letto con difficoltà, il sedere dolorante, gli occhi arrossati, stropicciati sgraziatamente con le dita.  Marco resta lì, in attesa.

"Marco". Ripeto il suo nome, mentre mi risistemo sulla sedia, scomodo per la posizione assunta durante la sculacciata. Marco salta dal letto, si volta verso Luca. I gemelli si guardano intensamente, continuando a parlare quel loro linguaggio segreto, poi Marco si incammina verso di me. Abbandono la paletta da ping-pong sul parquet, accanto alla sedia, mi risistemo l'asciugamano sul grembo. Marco si posiziona in piedi davanti a me, lo sguardo basso, e attende. Alzo il viso e lo osservo, i capelli arruffati, il volto dolce, quel delizioso velo liquido sui suoi occhi, un leggero rossore d'imbarazzo (di già?) sulle gote. Ha il fiato corto, cortissimo, denso d'ansia e di attesa, le spalle e le clavicole che si sollevano ritmicamente. Assaporo questo momento, pur sapendo che il ragazzino vive ogni spazio tra un secondo e il successivo come un abisso siderale. Lascio che il mio sguardo scenda sul suo corpo, la felpa a tema Marvel che lo avvolge dolcemente, i pesanti jeans che gli stanno addosso come incollati a casaccio. La mia attenzione è poi colpita da un particolare. Le mani in tasca armeggiano ossessivamente, come se stessero cercando di sbrogliare la matassa dei fili degli auricolari, intrappolata nel fondo della tasca, da qualche parte sotto i suoi pantaloni. Il fronte dei suoi jeans è in parte coperto dalla felpa che gli cade abbondante sul torso, allungandosi oltre la vita.

"Puoi abbassarti i pantaloni". Gli dico, spezzando l'incantesimo del silenzio in cui eravamo piombati tutti: io, con la mia attenta osservazione, Marco, vittima delle sue angosce, Luca, sul letto, forse travolto dai ricordi degli eventi appena passati, oppure, magari, già dimenticati, mentre freme di impazienza in solidarietà con il gemello. Marco esita, la mano destra ancora intrappolata dentro la tasca. Un movimento sospetto che si agita all'altezza del cavallo dei suoi jeans. "Marco." Gli dico soltanto, puntandogli addosso il mio sguardo.

"Papà..." esordisce lui, un filo di voce. Deglutisce rumorosamente e vistosamente.

"Conosci la regola. O li abbassi tu, o lo farò io per te. Oggi e per sempre."

"No no no ti prego!" Si affretta a ribattere. Subito libera la mano dall'antro oscuro dei suoi jeans, salvo poi sparire nuovamente sotto l'orlo abbondante del suo felpone, per trafficare con il bottone e la cerniera dei jeans. Non riesco a vedere nulla, a causa della felpa, ma il movimento dei suoi polsi lascia intuire l'azione meticolosa, esageratamente lenta: il bottone che viene spinto fuori l'asola, poi la zip che scorre lentamente verso il basso. Con un movimento del bacino lascia che i jeans cadano da soli, sconfitti dalla forza gravità, ma, come già come quelli di Luca, i suoi pantaloni, ruvidi e grinzosi, si bloccano all'altezza delle ginocchia. "Giù, fino alle caviglie", ordino. Marco sospira, si china leggermente e accompagna i suoi jeans verso il pavimento. Si rialza, ma continua a tenere lo sguardo basso.

"Mi piace la tua felpa." Gli dico, accennando un sorriso. Una parte di me vorrebbe tanto rincuorarlo. "Temo però che sia tropo lunga, potrebbe essere d'intralcio." Mio figlio alza il viso, lo sguardo interrogativo. "Forse è meglio che la togli. Puoi rimanere con la maglietta che hai sotto." Marco non dice nulla ed esegue. Si sfila la felpa, in quel modo buffo, sgraziato e infantile che hanno i bambini, a dimostrazione che nonostante tutto è ancora breve la distanza che lo separa dalla sua infanzia. Qualche fruscio dopo, la sua testa ricompare dalla felpa, i capelli lievemente spettinati, la maglietta rialzata, a scoprire un fianco, un lembo di pelle della pancia glabra, non particolarmente snella, caratterizzata ancora da quell'adorabile grasso infantile che ricopre il corpo dei bambini. Lascia cadere la felpa a terra, in assenza di mie dirette istruzioni, si raddrizza e torna a gettare lo sguardo verso il parquet.

Le nuove regole di papà (vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora