40. Contrattazione

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[Papà] [Sabato pomeriggio 9/03/2019]

Sono trascorse ventiquattro ore da quando il pagamento della prima quota, per così dire, dell'accordo con Riccardo, ha scombussolato la situazione in casa. La discussione con Riccardo, la sculacciata volante inferta a Luca, la mia imperdonabile aggressione alla sua privacy hanno lasciato come una nube densa e pesante che non accenna a diradarsi.

La serata, ieri, è trascorsa in un clima di tiepido nervosismo. Tra parole mozzicate e gesti di fredda cordialità, ci siamo riuniti tutti insieme in salone per guardare un film. A mia moglie è bastato un attimo per comprendere la mutata atmosfera in casa e così, dopo la punizione subita dai miei due pargoli, è toccato a me, una volta a letto, sottopormi al suo inappellabile giudizio. Finora ho goduto della sua totale fiducia, anche quando era evidente il suo disappunto, soprattutto per l'eccessiva asprezza mostrata il primo giorno che ho sculacciato i ragazzi, uno dopo l'altro. Eppure, anche in quel caso non ha offerto alcun giudizio. Stavolta non l'ho fatta franca, e la ramanzina, una volta tanto, me la sono beccata io.

Così, in un sabato mattina stranamente sonnolento, un po' per tutti, ho provato a tornare sui miei passi. Ho allentato le regole, permettendo ai miei figli di dormire più del necessario. Ho preparato loro la colazione e assecondato le richieste. Giulietto, che pure aveva percepito un'atmosfera nervosa, ha subito ritrovato il suo sorriso. Marco ha cercato di fare da paciere con suo fratello, fornendo occasioni di confronto con Luca, ordinandogli – lui stesso, mica io! – di aiutarmi a sparecchiare dopo pranzo. Quanto a Riccardo... è semplicemente tornata quella distanza che c'è sempre stata, una distanza fredda ma incolore, priva di animosità o rancore.

"Ho finito, posso andare?" Mi volto, guardo Luca, impaziente di tornare in camera, a trascorrere questo ennesimo sabato di punizione. Ancora un altro po', cucciolo, e poi sarai libero di uscire, di tornare all'aria aperta, di fare sport. Guardo la tavola, perfettamente pulita e sgombra di qualsiasi traccia del pranzo appena consumato. "Sì, puoi andare... sei stato bravo". Aggiungo, cercando di addolcire mio figlio, o forse solo me stesso. Luca mi sorride timido, cosa rara, forse intimorito più che intimidito, e corre via verso suo fratello, che lo attende in camera per chissà quale attività da compiere insieme, come sempre.

Torno a concentrarmi sulla caffettiera. Cerco di svuotare la mente, mentre eseguo il rituale: l'acqua nel serbatoio, il caffè macinato, una bella avvitata... preparare la moka, meditazione zen per poveri. Fisso la caffettiera sul fuoco, un fruscio alle mie spalle.

"Parla con Riccardo". Mia moglie. Suona come un ordine. Credo voglia ancora farmela pagare per quanto accaduto ieri.

"Lo farò". Le dico, dandole le spalle, non osando sostenere il suo sguardo accusatore.

"Vado a riposare".

Saprò come farmi perdonare, almeno con lei. Quanto a Riccardo... la moka borbotta, mentre tiro fuori il telefonino e scrivo via Whatsapp a mio figlio di palesarsi in cucina. Ripongo il telefono e spengo il fornello. Verso il caffè bollente nella tazzina, aggiungo un mezzo cucchiaino di zucchero di canna. Prendo la tazzina in mano, mi volto e mi appoggio al bordo del bancone. Mescolo lentamente il caffè, lasciando che l'aroma e il vapore mi solleticano il naso.

D'un tratto, compare mio figlio. La felpa di ieri è sparita, adesso ha una felpa larga, un rosso violento. I pantaloni della tuta sono sempre gli stessi.

"Che vuoi". Biascica, più per posa, che per reale insofferenza. E non è nemmeno una domanda.

"Siediti".

* * *

[Riccardo]

"Siediti", dice papà, serio. Già mi viene il nervoso. Non mi siedo, resto in piedi e lo fisso annoiato.

Le nuove regole di papà (vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora